“La Storia della Chiesa di Socrate di Costantinopoli. Elementi di confronto con l’opera di Eusebio di Cesarea” di Giovanna Martino Piccolino

Prof.ssa Giovanna Martino Piccolino, Lei è autrice del libro La Storia della Chiesa di Socrate di Costantinopoli. Elementi di confronto con l’opera di Eusebio di Cesarea, edito da Nerbini: di quale valore documentario è l’opera dello Scolastico?
La Storia della Chiesa di Socrate di Costantinopoli. Elementi di confronto con l'opera di Eusebio di Cesarea, Giovanna Martino PiccolinoUn valore documentario di ricchezza multiforme: fino a non molti decenni or sono le storie ecclesiastiche scritte dai continuatori di Eusebio di Cesarea, come quella di Socrate, ma anche di Sozomeno di Gaza, di Teodoreto di Ciro e di Evagrio di Epifania erano lette o studiate quali repertorȋ attendibili di informazioni storico-cronologiche, anziché per il valore intrinseco delle opere stesse, prodotti letterari dei loro autori. Se si considera il fatto che, nel solco della tradizione inaugurata da Eusebio, la storiografia ecclesiastica alla narrazione degli eventi associa excerpta ai quali lo storico attinge (citazioni vetero e neotestamentarie, epistole, materiale documentario derivante da fonti citate o per tramiti diretti) si comprende la preziosità di queste opere nel lavoro dell’antichista, afflitto, ipso iure, dalla lacunosità delle fonti. Ad esempio, in Socrate troviamo epistole imperiali trasmesseci da lui solo, nel clima della rovente controversia ariana: quella del 27 novembre 334, un invito a corte rivolto da Costantino ad Ario, del quale di lì a poco seguirà la riabilitazione, poco prima della morte dell’eresiarca, avvenuta nel 336 nei bagni di Costantinopoli, alle spalle del foro voluto da Costantino, come nel dettaglio racconta proprio Socrate nel primo libro della Storia. Il concilio di Nicea del 325 non era stato affatto risolutivo per la controversia ariana, e Socrate per spiegare e lodare il comportamento dell’imperatore Costantino, teso a cementare la concordia in seno alla Chiesa, adduce, a testimonianza del fattivo impegno dell’imperatore per la pace, diverse missive, taluna delle quali tramandata anche da Eusebio nella Vita Constantini, talaltra da Atanasio di Alessandria, il campione dell’ortodossia nicena, nel De decretis Nycaenae sinodi. Certamente, siamo di fronte a un modo nuovo di scrivere la storia rispetto al passato (se pensiamo a Polibio, Tucidide o Erodoto): la veridicità del dato storico è testimoniata anzitutto dal ricorso all’Antico e al Nuovo Testamento (e su questo punto ritornerò), ma anche dagli auctores citati. Altro elemento che restituisce veridicità alla narrazione è lo stile piano, la sintassi semplice che riveste di immediatezza il messaggio storiografico: in linea con i dettami di Luciano di Samosata che aveva invitato, in Come si deve scrivere la storia, a mostrare i fatti con chiarezza e a renderli comprensibili nella loro semplicità, il Nostro precisa in ben due proemȋ, rispettivamente al primo e al sesto libro, l’intenzione di non lasciarsi andare all’encomio, e dunque a una profluvie di aggettivi altisonanti e orpelli stilistici, e di non volersi curare della kallilexìa che è l’eleganza formale. Quest’ultima, infatti, avrebbe potuto distoglierlo dal raggiungimento del suo obiettivo, ovvero rivolgersi a un pubblico ampio di lettori, costituito anche da pagani colti e meno colti, interessati a essere informati sui fatti. Siamo nella Costantinopoli dei primi decenni del V secolo: Socrate è incaricato da un certo Teodoro (del quale poco sappiamo ma che si può identificare col sovrintendente agli archivi imperiali) di scrivere la continuazione della Storia della Chiesa di Eusebio di Cesarea. Nel 429 l’imperatore, Teodosio II, aveva incaricato una commissione apposita di riordinare le opere della giurisprudenza classica, raccogliendo tutte le costituzioni imperiali, a partire da Costantino. La mole di difficoltà affrontate per la realizzazione dell’ambizioso progetto, nel quale probabilmente doveva inscriversi anche la stesura della Storia della Chiesa, non aveva precedenti nella storia del diritto, tanto che nella costituzione del 20 dicembre 435 risulta abbandonato il primiero intento di accogliere anche le opere della giurisprudenza classica, mentre il numero dei componenti la commissione viene raddoppiato: da otto a sedici. Nel clima di restaurazione culturale – perché molte furono le misure costantiniane recuperate in favore dell’insegnamento e dell’istruzione, basti pensare alla fondazione dell’università di Costantinopoli nel 425- e morale – lo stato confessionale avviato da Teodosio I con l’editto di Tessalonica del 380 – Socrate doveva veicolare l’immagine più veritiera del restaurato impero, calarsi nella realtà del dibattito cittadino costantinopolitano, dilaniato dall’eresia, dal quale avrebbe anche attinto informazioni per scrivere, intervenendo con la sua opera proprio in quel dibattito in corso. Mi spiego meglio: molto si è discusso sulle fonti orali in Socrate Scolastico (a me piace definirlo ancora così, in linea con la scuola italiana di Simonetti e Prinzivalli, altri studiosi europei hanno messo in dubbio che si trattasse di un avvocato legato alla corte imperiale, con argomenti relativi ai manoscritti recanti l’appellativo scholastikòs). Il suo ricorso alle testimonianze orali ha la finalità di redimere dubbi, definire contese tra le sette, affermare l’auctoritas di personalità ormai anziane appartenenti al suo gruppo religioso che è quello dei Novaziani. Ma i suoi interventi sono articolati con sapienza d’eloquio e consistenza di argomenti: lo storico costantinopolitano aveva studiato retorica alla scuola del sofista Troilo di Side, autore, secondo il lessico di Suida, di discorsi politici e di raccolte epistolografiche; il Sidete aveva anche ricoperto cariche politiche di prestigio durante il regno di Arcadio e la reggenza del prefetto del pretorio Antemio, prima dell’ascesa effettiva al trono di Teodosio II; era, inoltre, in grado di riunire, in quello che era un vero e proprio cenacolo di intellettuali, letterati come Sinesio di Cirene, che ci testimonia la frequentazione del maestro nel suo epistolario e dal quale apprendiamo anche dell’interesse di Troilo per le opere di Nicostrate, dunque per la filosofia neoplatonica, e per Alessandro di Afrodisia. Dunque, tutto questo per affermare la capillare conoscenza da parte di Socrate della società costantinopolitana di fine IV inizio V secolo: nel VI libro egli infatti afferma di non essere mai andato via dalla capitale, punto di osservazione privilegiato della contemporaneità. Per meglio definire il discorso sulle fonti orali, bisogna però puntualizzare quali siano le fonti che per Socrate assurgano a tale dignità. In breve: se il racconto di un testimone oculare di indiscussa autorevolezza (quale era Auxano, presbitero della chiesa dei Novaziani, che aveva accompagnato il vescovo Acesio al Concilio di Nicea nel primo libro) è fededegno, sarà attendibile anche la testimonianza scritta di chi ha partecipato agli eventi narrati in prima persona. È questo il caso di Atanasio di Alessandria, dopo la scoperta delle cui opere, come il De decretis Nycaenae sinodi o la Apologia de fuga sua, Socrate si vede costretto a dare una riedizione dei primi due libri della sua Storia, per correggere le imprecisioni di Rufino o anche di Sabino di Eraclea, autore di una silloge di atti conciliari del IV secolo, partigiano dell’eresia macedoniana, che è solito riportare solo le lettere di quanti tacciono o rigettano il concetto di «consustanziale». Accanto a queste testimonianze, giova ricordare, come dicevo agli inizȋ, il valore delle fonti documentarie, prime fra tutte le epistole ufficiali. Va altresì aggiunto che è probabile, che nel clima di fervore per la stesura del Codex Theodosianus, nel cui ampio progetto l’opera dové iscriversi, Socrate abbia avuto accesso a una Cronaca cittadina, che recasse la scansione degli eventi anno per anno.

In definitiva, per tornare alla Sua domanda iniziale, il valore documentario della Storia della Chiesa di Socrate è di elevatissima attendibilità, in quanto lo stile programmaticamente semplice e chiaro volle veicolare senza deformazioni il vero storico attinto da documenti di prima mano, dal racconto di autorevoli testimoni oculari, dalle opere dei protagonisti di quegli eventi stessi.

Che rapporti intrattiene l’opera del Nostro con quella omonima del pater Historiae ecclesiasticae?
A metà dell’Ottocento Eusebio fu definito, a giusta ragione, pater Historiae Ecclesiasticae da Ferdinand Christian Baur, un filologo tedesco, poi professore all’università di Tubinga, sulla scorta della definizione di pater Historiae attribuita a Erodoto da Cicerone nel De legibus. Ma di quale chiesa si occupava Eusebio? Nel ginepraio di eresie e lotte intestine che sconvolsero il cristianesimo lungo tutto il IV secolo, è lecito chiedersi di quale chiesa Eusebio ci voglia raccontare la storia: nel testo del cesariense il termine greco ekklesìa raramente appare al singolare, ma è quasi sempre usato al plurale, a indicare la molteplicità delle comunità dei fedeli distribuite sull’orbe terrestre fino ad allora conosciuto; dunque il titolo al singolare evidenzia il credo di Eusebio in una realtà più profonda sottesa alle dinamiche eretiche, che si configura come popolo voluto e guidato da Dio, e che si riconosce in una fede ortodossa, di cui le diverse sette non sono altro che oggetto di confutazione.

Ma torniamo al rapporto di Socrate con Eusebio: la Storia della Chiesa (che si può leggere in traduzione italiana nella Collana Testi Patristici 267-268, edita da Città Nuova) esordisce con queste parole: Eusèbios Pamfìlou, ovvero “Eusebio di Panfilo”, marcando subito un rapporto di continuità, di discepolato, di condivisione, specie del genere letterario: Socrate precisa subito che non condividerà i toni encomiastici nella definizione del ruolo e della figura di Costantino. Sua fonte fu, infatti, la Storia della Chiesa di Rufino di Concordia, traduzione in lingua latina dell’opera eusebiana, la cui narrazione si estende fino al principato di Teodosio I. La continuazione rufiniana dové apparire a Socrate non solo più completa, in quanto corredata delle notizie dei successori di Costantino, ma in alcuni casi, come la storia del battesimo di Costantino, alcune notizie che avrebbero potuto generare dubbi sull’ortodossia di Costantino erano state completamente omesse da Eusebio. Va detto, che Socrate non si spinge fino a sollevare dubbi sull’immagine del primo imperatore cristiano; sua intenzione non è denigrarne l’immagine, come invece alcuni toni utilizzati da Rufino inducono a pensare; tuttavia dall’esame delle due fonti lo storico costantinopolitano riesce a plasmare la figura di un imperatore che aveva svolto in maniera dignitosa il suo ruolo di immagine di Cristo in terra e (nell’ultimo capitolo del primo libro) lascia la terra riconciliandosi con Dio Padre. Al vero storico Socrate sacrifica qualsiasi forma di esaltazione del personaggio, ma al contempo non contribuisce ad alimentare l’accusa di arianesimo che velatamente gli rivolge Rufino. In altri termini Socrate eredita da Eusebio la cd. «teologia della storia», ove l’impero è immagine (eikòn) del Regno del Padre, mentre l’imperatore è rappresentazione (mìmesis) del Logos- Cristo Re. Ma se Eusebio aveva descritto Costantino prima nella biografia a lui dedicata, poi nel Discorso per il Trentennale, con attributi mutuati dalla retorica classica, e in particolare dal Sole, Socrate pone l’accento sull’ortodosso operato imperiale in favore della pace nella chiesa, perché se la chiesa è in pace lo sarà anche l’impero. La portata di questo assunto dello storico di Costantinopoli è innovativa perché sottintende la ricezione della visione eusebiana: la stessa struttura delle storie ecclesiastiche che narrano le vicende della chiesa, nel più ampio quadro dell’operato imperiale, sottintende che esiste un reciproco influenzarsi tra gli eventi dello stato e della/e chiesa/e. Sulla teologia politica Socrate perfeziona la visione eusebiana: nel clima di restaurazione culturale e morale dello stato, il princeps, rappresentazione di Cristo in terra, non ha più solo attributi regali, ma è anche colui che vive una vita dedita alla pratica religiosa nella realtà dell’amministrazione dei sudditi. Questo aspetto è riscontrabile già nel ritratto che di Teodosio I ci fornisce Rufino, con Socrate Teodosio II mediante la preghiera rivolta a Dio riesce a guidare i suoi sudditi ( e qui il grande antecedente è re David delle Sacre Scritture, che vince Goliat e i Filistei per volontà divina); l’aspetto a cui Socrate non rinuncia è la definizione della vasta cultura che caratterizzava il sovrano, tanto da aver corredato il suo palazzo imperiale di una biblioteca paragonabile a quella istituita dai Lagidi nel Museo di Alessandria. Anche questo punto si spiega con la formazione classica dell’avvocato di Costantinopoli, i cui maestri provenivano da Alessandria d’Egitto e, uno di essi, Elladio venne nominato docente nell’università di Costantinopoli nell’università fondata da Teodosio II nel 425. Il dato importante è la vitalità della cultura classica in età teodosiana, che si deduce non solo dalla raffinata formazione culturale che Socrate deve ai suoi maestri, Elladio, Ammonio e poi Troilo, ma anche dalla politica imperiale tesa certamente alla restaurazione dei costumi, ma anche al recupero della cultura antica: basti pensare ai provvedimenti in favore dei docenti che si leggono nel Codex Theodosianus, alla stessa istituzione dell’università nella capitale e, oserei affermare, anche alla figura dell’imperatrice Eudocia, figlia di Leonzio, sofista ateniese, dal quale aveva ricevuto un’educazione raffinata che possiamo cogliere nei Centoni omerici da lei scritti, sintesi della sapienza classica inverata alla luce del messaggio cristiano.

In che modo le mutate condizioni storiche si riverberano sulla mentalità storiografica di Socrate?
Le mutate condizioni storiche determinano la scelta del genere letterario: la storiografia ecclesiastica nasce in Oriente per iniziativa di Eusebio di Cesarea, allorché il cristianesimo diventa con Costantino una professione di fede tollerata. L’imperatore cristiano, che in breve tempo aveva realizzato l’integrazione della Chiesa nella più vasta e complessa struttura dell’impero, era visto come epìskopos tòn ektòs, vale a dire il vescovo di quanti si trovano all’esterno della chiesa, secondo la definizione data dallo stesso Eusebio. In questa circostanza storica, che a partire dal 313 (dal cd. editto di Milano) rappresenta un unicum sul piano amministrativo dell’impero, le due realtà, stato e chiesa, risultano necessariamente interrelate. I cristiani seppero dare vita a nuovi generi letterarȋ in grado di assecondare le nuove esigenze comunicative e, tra essi, la storiografia ecclesiastica rappresenta un esempio eclatante: basti pensare all’idea, sostenuta da diversi studiosi, che identifica la prima storia ecclesiastica con gli Atti degli Apostoli attribuiti all’evangelista Luca. Certamente questo è il primo testo scritto che riguardi le origini della Chiesa, le relazioni di quest’ultima con le persecuzioni imperiali, collocabile all’incirca nell’ultimo quarantennio del I secolo. L’opera di Eusebio presuppone però anche un altro genere letterario col quale il Cesariense si era cimentato, che è la cronografia, e che vantava un illustre predecessore nel III secolo in Giulio Africano, autore delle Chronographiae. La solida impalcatura cronologica che regge l’argomentazione storiografica eusebiana era stata oggetto di una precedente trattazione i Canoni dei tempi (Chronikòi kànones), a noi pervenuta in una versione armena, una siriaca intermedia e, naturalmente, dalla traduzione latina che Gerolamo effettuò del secondo libro, estendendolo fino al consolato di Valente del 378. Socrate è certamente da questo punto di vista un fedele discepolo di Eusebio: ciascun libro tratta le contese tra le diverse confessioni cristiane, nel quadro di una cornice cronologica puntuale, stabilita sia dall’indicazione del giorno, del mese, dell’anno dell’Olimpiade, sia dalla durata del regno di ciascun imperatore. Dunque, proprio nel proemio al V libro Socrate risponde all’eventuale critica sull’interazione nella sua opera di argomenti inerenti lo stato con la storia ecclesiastica: egli afferma che esiste una certa sumpàtheia tra Chiesa e impero, un reciproco condizionarsi, laddove le sciagure dell’una, generate dall’errore umano sono seguite da problemi pubblici e viceversa, in una logica di consequenzialità. Quindi, in definitiva, per rispondere alla Sua domanda, è già la scelta del genere letterario il manifesto di una nuova mentalità storiografica, che al contempo però eredita dai grandi storici del passato, come Erodoto e soprattutto Tucidide, l’impegno a trattare della guerra, siano essi conflitti religiosi o scontri imperiali con un usurpatore.

Che rapporto ebbe Eusebio con Origene?
La collaborazione di Eusebio con Panfilo nella stesura della Apologia pro Origene autorizza il lettore moderno a mettere in relazione il vescovo di Cesarea con l’Alessandrino. Da Fozio apprendiamo che Eusebio si occupò della stesura del sesto libro dell’opera, i cui primi cinque vengono attribuiti a Panfilo, martirizzato durante le persecuzioni di Decio. A noi è pervenuta solo la traduzione rufiniana del I libro. Abbiamo poi il sesto libro della Storia della Chiesa di Eusebio, altresì noto come Vita Origenis, che offre un ragguaglio esauriente sulle tappe fondamentali del bìos, senza alcun accenno alla polemica divampata nel IV secolo intorno alle sue opere. La continuità Origene-Eusebio è certamente collocabile e ascrivibile anzitutto a un luogo fisico, la biblioteca di Cesarea, ove il suo fondatore da soggetto è divenuto poi oggetto di studio: Origene che aveva cominciato la propria carriera vendendo la sua biblioteca ad Alessandria, ne fondò rapidamente un’altra in territorio palestinese, promuovendo forme – libro e tecniche di produzione nuove, dall’alto dell’acribia filologica e della grande spiritualità che lo contraddistinse. Eusebio raccolse senza dubbio l’eredità origeniana, specie per quanto riguarda l’indagine sull’antichità cristiana, basti pensare al fil rouge che lega gli Hexaplà di Origene ai Chronikòi kànones  di Eusebio. Dunque, all’acribia filologica origeniana, trasmessagli anche per il tramite di Panfilo, Eusebio aggiunse la ricerca storico-antiquaria, da cui discesero nuovi generi letterari che rispondevano alle nuove necessità e responsabilità che la svolta costantiniana assegnava all’intellettuale cristiano: con l’espressione Umanesimo cristiano oggi si intende il recupero di forme e metodi classici in una visione reinterpretativa che si nutre dell’insegnamento scritturistico, della vita di Gesù e dei suoi seguaci, dei vescovi e dei martiri, ovvero della Chiesa, dei primi secoli. La scuola-biblioteca di Cesarea Marittima, dove si poteva giungere per ascoltare le lezioni di Panfilo, o anche per subire un processo, nei Martyres Palestinae, diventa il simbolo del sacrificio martirale, ove intorno alla memoria e all’insegnamento di Origene è sorta la vera Chiesa, vittima della persecuzione secolare, ma al contempo testimone di fede e di dottrina. Di certo lo slancio, oserei dire, mistico che caratterizzò Origene non si ravvisa nella personalità di Eusebio: il platonismo origeniano, che porta l’intellettuale cristiano a innalzarsi dal sensibile all’intellegibile, per Eusebio è un comodo schema di decodificazione scritturistica, che gli permette di interpretare i dati della tradizione cristiana, senza per questo produrre innalzamento spirituale. Di questa Weltanschaung eusebiana, seppur nella rimodulazione di temi e forme espressive, Socrate è certamente il più diretto erede: ne è una testimonianza la sua posizione filo-origeniana, che percorre soprattutto gli ultimi libri della sua opera, benché quasi certamente, nella Costantinopoli del V secolo, lo Scolastico non disponesse della possibilità di consultare direttamente le opere dell’Alessandrino, ma dove poté certamente leggere l’Apologia pro Origene di Eusebio e del maestro Panfilo.

Giovanna Martino Piccolino è docente di Italiano e Latino nei licei. Cultrice di Storia del Cristianesimo presso la cattedra della Prof.ssa I. Aulisa all’Università di Bari, ha concluso il dottorato presso il Pontificium Institutum Altioris Latinitatis e, tra le altre pubblicazioni, ha tradotto in lingua italiana la Storia della Chiesa di Socrate di Costantinopoli (CTP 267-268).

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