
Fermo restando la collaborazione di ambienti italiani alla preparazione dell’attentato, resta da stabilire da chi partì l’ordine di uccidere Mattei. Alcuni indizi portano alla Francia, a società petrolifere come l’Erap, da cui poi nascerà la Elf Aquitaine, che consideravano il deserto del Sahara, anche dopo l’indipendenza dell’Algeria, una sorta di loro dependance. A società come l’Erap dava fastidio che Mattei, ancora in prossimità del suo assassinio, stesse negoziando con il governo della nuova Algeria e con De Gaulle un accordo triangolare per ottenere concessioni petrolifere nel deserto e realizzare un metanodotto con Gaz de France per il trasporto del gas naturale, attraverso lo Stretto di Gibilterra, in Spagna, Francia, Belgio e Italia. Nello stesso tempo destava preoccupazione l’avvicinamento che era in corso nell’autunno 1962 tra Mattei e il Dipartimento di Stato americano e che avrebbe dovuto portare a un rasserenamento nei rapporti tra l’Eni e le major petrolifere Usa. La Dc nell’autunno 1962 spingeva perché Mattei si dimettesse dall’Eni prima della scadenza naturale del suo mandato, prevista per il 31 marzo 1963. Se Mattei fosse riuscito a chiudere l’intesa con Algeria e Francia e quella che aveva parallelamente in corso con la Standard Oil of New Jersey negli Stati Uniti, la sua posizione si sarebbe consolidata e i suoi nemici interni ed esterni all’Italia avrebbero dovuto farsene una ragione.
Quali vicende segnarono le carriere di Enrico Mattei e di Eugenio Cefis?
Per entrambi fu determinante la partecipazione alla Resistenza. Mattei vi prese parte come organizzatore e finanziatore delle formazioni autonome e monarchiche, con il compito di portarle sotto la guida politica della Democrazia cristiana. La Dc si candidava ad essere il futuro partito di governo e aveva bisogno di intestarsi una parte della Resistenza, al cui interno erano dominanti il Partito comunista e il Partito d’azione. Cefis invece vi partecipò come militare di carriera ed esponente del Sim rimasto fedele al re. Dopo l’8 settembre si diede alla macchia in Val d’Ossola, costituendo con Alfredo di Dio, che come lui proveniva dall’esercito, la divisione Valtoce in un’area strategica al confine con la Svizzera dove operavano i servizi inglesi e statunitensi e poco distante dal luogo in cui venivano paracadutate le principali missioni alleate.
Quali differenti visioni strategiche caratterizzarono i due personaggi?
Mattei operò per l’indipendenza dell’Italia dal petrolio delle grandi compagnie angloamericane come la Esso e la Bp, che allora rifornivano il nostro paese con il greggio che producevano in Medio Oriente. L’Italia, pur avendo ricevuto lo status di paese cobelligerante, era uscita sconfitta dalla guerra e aveva bisogno di far ripartire l’economia e di rimettere in piedi la sua struttura industriale. Per rimettere in moto il paese serviva energia a basso prezzo che Mattei individuò, grazie alle scoperte effettuate dall’Agip in epoca fascista, nel metano, una fonte di energia che allora rimaneva pressoché inutilizzata. Mattei realizzò una rete di distribuzione nell’Italia del Nord e diede impulso al mercato nazionale del gas, tracciando una linea di politica energetica che sarà sviluppata nei decenni successivi e che spingerà l’Eni, con l’esaurimento tendenziale dei giacimenti della Valle Padana, a importare il metano via tubo dall’Unione Sovietica, dall’Olanda e dall’Algeria.
Nello stesso tempo Mattei spinse il gruppo oltre i confini dell’Italia, stabilendo alleanze industriali inedite con il mondo islamico: con i paesi arabi del Mediterraneo come Egitto, Libia, Tunisia e Marocco, con l’Iran e con l’Iraq. L’Italia era e resta un paese povero di risorse energetiche. Quindi il petrolio Mattei dovette andare a cercarlo all’estero, inserendosi nel processo di decolonizzazione del Medio Oriente e dell’Africa e importandolo anche dall’Urss, il cui greggio costava la metà di quello venduto in Europa dalle major angloamericane. Questo destò grande allarme non solo tra le compagnie petrolifere internazionali, ma anche tra i paesi della Nato e all’interno del Dipartimento di Stato, per i quali Mattei era considerato la quinta colonna del comunismo. In realtà Mattei operava nell’interesse del nostro paese. Senza l’azione propulsiva dell’Eni, il miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta non avrebbe avuto quell’accelerazione che permise in poco tempo all’Italia di entrare nel club delle grandi potenze industriali dell’Occidente.
Cefis fu invece un normalizzatore. Non condivideva lo scontro con le sette sorelle portato avanti da Mattei e riteneva che l’Eni si fosse indebitato troppo, investendo in attività a rischio elevato e di dubbia redditività. Quando nel novembre 1962 fu nominato vicepresidente esecutivo dell’Eni, con i pieni poteri, la prima cosa che fece fu di accordarsi commercialmente con la Esso, con un contratto pluriennale di importazione di greggio, e di stoppare i negoziati con l’Algeria. Tranquillizzò gli ambienti atlantici e americani, riducendo l’impatto delle importazioni di petrolio dall’Urss sul totale dell’import petrolifero del gruppo Eni, e riconciliò l’Eni con i partiti e con le principali correnti democristiane. Pur essendo un militare che guardava i partiti dall’alto in basso e che come Mattei li finanziava in modo occulto, con le sue continue richieste di fondi di dotazione allo Stato finì per spalancare le porte dell’Eni alla Dc. La stessa scalata alla Montedison, di cui poi divenne presidente, si trasformò in un disastro industriale. Il suo progetto di costituire un grande polo petrolchimico pubblico/privato intorno alla Montedison, con l’Eni in posizione subalterna, si rivelò un completo fallimento.
Perché Pier Paolo Pasolini introdusse nel suo romanzo interrotto, Petrolio, alcuni capitoli in cui adombra una responsabilità di Cefis nell’eliminazione di Mattei?
Pasolini era convinto che Cefis avesse una qualche corresponsabiltà nell’uccisione di Mattei. Che cosa lo inducesse a credere che la nomina di Cefis all’Eni comportasse l’eliminazione del suo predecessore non è ancora del tutto chiaro. Aveva ricevuto alcuni discorsi di Cefis e un libro ricattatorio in cui erano descritti nei particolari gli affari segreti dell’allora presidente della Montedison, i suoi prestanome, il dedalo di società attraverso cui operava in conflitto di interesse con la carica che ricopriva al vertice della maggiore impresa chimica italiana. Di giorno Pasolini scriveva sul Corriere diretto da Piero Ottone “Io so ma non ho le prove” e di notte riportava in Petrolio i nomi di coloro che riteneva responsabili della strategia della tensione messa a segno per impedire il ricambio politico del paese e per bloccare l’avanzata dei comunisti al governo, che tra il 1975 e il 1976 sembrò vicina a realizzarsi. Sappiamo che ebbe anche almeno un incontro con Giulio Andreotti e che ricevette un dossier su un potente democristiano, forse il capitolo mancante o lasciato in bianco che l’ex senatore Marcello Dell’Utri disse di avere visto e di cui fu prossimo all’acquisto. Sarebbe stato destabilizzante per il sistema di potere se in quegli anni uno scrittore di fama internazionale come Pasolini fosse uscito con un romanzo che ribaltava la narrazione dell’incidente di Bascapè, sostenendo che Mattei era stato ucciso e avanzando sospetti su Cefis. Importanti studiosi collegano ormai l’assassinio all’idroscalo di Ostia con quanto Pasolini tra il 1974 e il 1975 andava annotando in Petrolio sul presidente dell’Eni e sul suo ex braccio destro.
Giuseppe Oddo è stato a lungo inviato del “Sole 24 Ore” e si occupa di giornalismo d’inchiesta. Ha pubblicato, tra l’altro, L’intrigo. Banche e risparmiatori nell’era Fazio (con Giovanni Pons; 2005) e Opus dei. Il segreto dei soldi (con Angelo Mincuzzi; 2011), entrambi per i tipi di Feltrinelli.