
Il nostro mondo è diverso da quello della guerra fredda: vediamo un’accelerata competizione tra due poli, Pechino e Washington, con profonda interconnessione economica, supply chain articolate che vengono alterate da esigenze di sicurezza. E vi sono diversi altri attori che entrano nei processi decisionali. Quindi, non possiamo parlare semplicemente di due blocchi. Anche nell’attuale scenario, dobbiamo sempre tenere presente il rilievo militare dello spazio: un elemento che per il grande pubblico è ancora oggi sottovalutato, a mio avviso. È normale appassionarsi di più alla storia di Elon Musk che a qualche semisconosciuto generale, ma nella corsa spaziale sono importanti tutti e due.
In quali modi si declina il conflitto tecnologico tra Stati Uniti e Cina?
Il mio principale argomento sulle politiche spaziali è che, per una serie di fattori, si è trattato di un “anticipo” del processo di cosiddetto “decoupling” tra Stati Uniti e Cina, e quindi di una più netta separazione tra i due sistemi, tra due sfere di influenza che si ritengono incompatibili. I legami e gli strappi di questa storia sono molteplici.
La stessa storia spaziale cinese deve molto all’impronta di uno studente cinese di Theodore von Kármán, Qian Xuesen, che poi lascia gli Stati Uniti negli anni ’50: studiare la sua storia, che è stata raccontata tra l’altro da Simone Pieranni, è molto interessante. La collaborazione aerospaziale tra Pechino e Washington è un aspetto importante dell’apertura alla Cina decisa da Nixon all’inizio degli anni ’70 e poi della stagione di riforme e apertura di Deng Xiaoping.
A un certo punto succede qualcosa: la tensione tra Stati Uniti e Cina emerge negli anni ’90, quando nel 1996 il razzo cinese che trasporta un satellite di telecomunicazioni americano esplode e gli approfondimenti del caso portano a profonde preoccupazioni sugli scambi di tecnologie sugli armamenti. Insieme ad altri casi, ciò rafforza il contrasto verso la Cina del Congresso degli Stati Uniti, con il Rapporto Cox e la riduzione ai minimi termini della cooperazione con Pechino.
Pertanto, è importante capire che noi viviamo già in una sorta di “separazione” tra il cammino cinese e quello statunitense. Sono convinto che nella prospettiva cinese più ottimistica lo spazio sia considerato un esempio per altri settori colpiti dalle sanzioni degli Stati Uniti per via della “fusione militare-civile” cinese, come i semiconduttori. Questo orgoglio porta anche a errori di calcolo. La convinzione cinese è: abbiamo dimostrato di saper fare da soli, lo rifaremo. E per questo c’è una forte mobilitazione nella formazione e nella ricerca.
Che rilevanza ha l’aspetto geopolitico nell’attuale competizione spaziale?
I conflitti politici si riproducono nello spazio, dove le attività, soprattutto in ambito militare, rispondono agli interessi dei vari Paesi. Le potenze sviluppano un’ambizione spaziale sulla base della loro ambizione generale, e tecnologica, in una data fase storica. Pensiamo per esempio alla Turchia: non era certo una potenza spaziale, ma essendo cresciuto il suo rilievo militare, e avendo enormi ambizioni geopolitiche, anche nello spazio cerca e cercherà di ottenere alcuni risultati che ha già ottenuto in altri settori, di cui i droni, con la vicenda di Selçuk Bayraktar che racconto nel mio libro “Il dominio del XXI secolo”.
Che ruolo svolgerà lo spazio nelle guerre del futuro?
Anzitutto, lo spazio svolge già un ruolo nelle guerre del presente. Pensiamo alla diffusione delle immagini di teatri di guerra, che fa parte della progressiva apertura dell’intelligence su cui Amy Zegart ha scritto lavori pionieristici, che citiamo ne “I cancelli del cielo”. Questo aiuta a mappare i conflitti in corso e influenza anche i processi decisionali a vari livelli.
Pertanto, lo spazio nelle sue varie forme è parte delle guerre del presente e del recente passato, non solo per il ruolo dei satelliti spia, che accompagnano lo sviluppo militare ormai da decenni, ma anche per quello che riguarda la connettività come strumento operativo basilare e il trattamento del dato spaziale in modo sempre più sofisticato e articolato.
Vedremo in futuro quanto andranno considerati anche gli armamenti spaziali e con quali conseguenze.
Che dimensione ha acquisito la cosiddetta space economy e quali prospettive si aprono per lo sfruttamento economico dello spazio?
Direi che la dimensione della space economy è elevata e allo stesso tempo controversa e contesa. Elevata perché le stime indicano un aumento delle attività spaziali. Si pensi ai dati diffusi da banche come Morgan Stanley e Citi, che parlano di un’economia in forte crescita da qui al 2040, fino a mille miliardi di dollari.
Controversa perché la diffusione di queste cifre ovviamente non è oggettiva o basata su parametri incontrovertibili, da un lato perché per le banche d’affari la creazione della space economy come asset class è conveniente, perché porta a fusioni, acquisizioni, quotazioni e quindi commissioni, e dall’altro lato perché circoscrivere la filiera spaziale non è mai semplice. Quanto aerospazio e quanto spazio dobbiamo considerare, quando valutiamo le imprese di questo perimetro? E sul dato spaziale, quanto e secondo quali categorie possiamo o meno considerare aziende spaziali quelle che forniscono software e servizi digitali?
Contesa perché, visto che andiamo più verso la dimensione del mercato (un mercato che resta particolare), si aprono spazi di competizione molto più forti, ai quali i vari attori devono essere preparati. Cresce la torta complessiva, visto che quello che chiamiamo space economy aumenta, ma cresce anche la pressione verso aziende tradizionali a stare dietro ai processi innovativi. Come sottolinea spesso Raffaele Mauro, già oggi aziende che operano in settori tradizionali (per esempio agricoltura, energia e infrastrutture) investono e investiranno nello spazio.
Quali scenari, dunque, a Suo avviso, per il primato spaziale del futuro?
Ci sono molti aspetti e incognite da guardare con attenzione.
Per esempio, sono curioso di vedere gli effetti politici delle promozioni degli esperti cinesi in materia aerospaziale, la cosiddetta “cricca di Beihang”, il loro impatto reale su questa fase della Cina di Xi Jinping.
Sarà poi interessante capire come proseguiranno i rapporti tra Elon Musk e la Cina su Starlink. Com’è noto, Musk per le attività come Tesla ha un forte legame con la Cina, ma ci sono stati molti conflitti sulle attività di Starlink, e i cinesi non vogliono essere superati nel loro territorio dalla sua costellazione, lo vedono come un periodo.
Un altro aspetto importante da verificare è quanto effettivamente ci importerà dello spazio alla luce di diverse priorità. La storia spaziale è anche una storia di annunci di “andremo su Marte nell’anno x” per essere poi smentiti. Su questo è interessante Mars Wars, un libro liberamente disponibile sul sito della NASA che consiglio a tutti di leggere. Vedremo anche questa volta i prossimi traguardi smentiti, e non solo ritardati, dalla realtà economica o da una nuova scala di priorità? E alcune cose di cui si parla molto oggi, come il turismo spaziale, avranno veramente le gambe per sopravvivere oppure no? Anche qui, è importante tenere insieme l’aspetto politico e quello economico.
Alessandro Aresu è direttore scientifico della Scuola di Politiche e consigliere scientifico di Limes. È autore e curatore di diversi volumi, tra i quali L’interesse nazionale. La bussola dell’Italia (con Luca Gori, 2018) e Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina (2020)