
Imerio, nato a Prusia (città della Bitinia, nell’odierna Turchia) nel primo ventennio del IV secolo d.C., figlio del retore Aminia, studiò ad Atene. Successivamente divenne insegnante di retorica ad Atene, dove fu rivale del retore Proeresio – il maestro, tra gli altri, di Eunapio – ed ebbe tra i suoi allievi (secondo gli storici ecclesiastici Socrate Scolastico e Sozomeno) due dei Padri cappadoci, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo; è discusso se, prima che ad Atene, abbia insegnato anche a Costantinopoli. Circa metà delle orazioni superstiti di Imerio furono pronunciate nell’ambiente della sua scuola. In epoca imprecisata compì alcuni viaggi a Corinto, Nicomedia e Sparta, la cui esistenza riusciamo a ricostruire dalle sue orazioni. Libanio, importante retore di Antiochia, in una lettera dimostra di conoscere Imerio; è discusso se, in un’altra lettera, lo prenda in giro, comunque il rapporto tra i due sembra poco rilevante. Imerio sposò una ateniese di nobilissima famiglia, discendente da Plutarco di Cheronea; da lei ebbe un figlio, Rufino, che morì adolescente (due orazioni, le Orr. 7-8, ne ricordano rispettivamente l’acquisizione della cittadinanza ateniese e la morte prematura), e una figlia, che gli sopravvisse. Imerio, pagano, fu un sostenitore dell’imperatore Giuliano e si recò alla sua corte a Costantinopoli, come riusciamo a ricostruire da una serie di tre orazioni che pronunciò a Tessalonica (Or. 39), a Filippi (Or. 40) e proprio a Costantinopoli (Or. 41); la sua attività negli anni di Giuliano e in quelli immediatamente successivi è ignota, l’ipotesi che abbia soggiornato in Egitto è discussa. Sicuramente tornò ad insegnare ad Atene dopo la morte del retore rivale Proeresio (nel 366/367 o 369); morì molto anziano, sicuramente entro la fine del secolo (Eunapio, che pubblicò la sua opera negli ultimissimi anni del secolo, riferisce della sua morte) e probabilmente dopo il 383 (quando, secondo la maggior parte degli studiosi, pronunciò un’orazione per un magistrato romano).
Cosa ci resta di Imerio?
Non è noto l’esatto numero delle orazioni che Imerio scrisse. L’unica edizione critica moderna, curata da Aristide Colonna nel 1951, ricostruisce i titoli di 75 orazioni, principalmente basandosi sulla Biblioteca di Fozio (cap. 243); per 60 di queste orazioni restano almeno alcuni frammenti oltre al titolo. I tre nuclei principali che si possono individuare nel corpus di queste 60 orazioni sono: 17 orazioni pronunciate da Imerio in occasione di una sua partenza o di un suo ritorno alla propria scuola, o per accogliere altre persone che arrivavano alla o partivano dalla sua scuola; 15 orazioni pronunciate nel contesto della sua scuola; 15 orazioni rivolte a magistrati romani (tre delle quali sono presentate in questo libro). Altri nuclei più ridotti comprendono: sei declamazioni (in questo libro sono presentate le cinque declamazioni frammentarie); quattro encomi di città; due orazioni riguardanti il figlio Rufino; un epitalamio; frammenti vari.
L’opera di Imerio ha ricevuto la sua prima, finora unica, edizione critica soltanto nel 1951, a cura di Aristide Colonna (1909-1999); precedentemente aveva cominciato a redigere un’edizione critica Karl Schenkl (1827-1900), che tuttavia morì prima di portarla a termine; ancora più recenti sono le prime traduzioni integrali in lingua moderna, precisamente in tedesco (a cura di Harald Völker, nel 2003) e in inglese (a cura di Robert J. Penella, nel 2007); entrambe le traduzioni sono purtroppo prive del testo a fronte in greco; la traduzione inglese presenta le orazioni ordinate in nuclei tematici. Risulta essere in corso di stesura una nuova edizione critica, probabilmente corredata da una traduzione in francese. Dal 2012, inoltre, sette orazioni sono state tradotte e commentate in italiano da Mario Andreassi e Massimo Lazzeri nella collana Satura dell’editore Pensa Multimedia.
Quale stile caratterizza le sue orazioni?
Lo stile della prosa di Imerio è fortemente influenzato dalla poesia: sono frequenti le metafore, attinte soprattutto dalla sfera religiosa e dall’ambito musicale, e le citazioni poetiche (da Omero e dai lirici arcaici: Alcmane, Anacreonte, Bacchilide, Ibico, Pindaro, Saffo e Stesicoro; molti frammenti di questi poeti si sono conservati soltanto grazie a queste citazioni di Imerio). Spesso Imerio compara la sua prosa alla musica che accompagna la poesia; Eduard Norden, infatti, la definì (spregiativamente) come “poesia con l’apparenza di prosa”. Questo stile fu apprezzato dal contemporaneo Eunapio, ma gli studiosi moderni, a partire appunto da Norden, hanno espresso un giudizio prevalentemente negativo, almeno fino agli ultimissimi decenni, ritenendolo artificioso e talvolta di difficile comprensione.
Di certo anche lo stato di conservazione tutt’altro che ottimale di gran parte delle sue orazioni ha influito negativamente sulla considerazione di cui Imerio ha goduto, nettamente inferiore rispetto a quella dei suoi contemporanei pagani Giuliano, Temistio e Libanio, dei quali si sono conservate molte più opere integre.
Un esempio significativo della scarsa considerazione di cui ha goduto Imerio in passato è la vicenda di Gottlieb Wernsdorf (1717-1774), un classicista tedesco che a fine Settecento lavorò oltre vent’anni per tradurre in latino e commentare dettagliatamente l’opera di Imerio; nonostante vari sforzi, Wernsdorf non riuscì a trovare un editore che volesse pubblicare quest’opera, che alla fine fu stampata postuma soltanto nel 1790 grazie agli sforzi del fratello minore Johann Christian (1723-1793). Questo episodio è citato da Robert J. Penella nella prefazione alla propria traduzione inglese di Imerio, coll’augurio che ormai il pregiudizio degli studiosi a sfavore dei testi estranei al canone classico si sia dissolto.
Come si articola la storia della tradizione della sua opera?
Le 75 orazioni i cui titoli sono stati ricostruiti da Colonna possono essere divise in tre parti in base al loro stato di conservazione: per 15 orazioni resta soltanto il titolo; per 26 orazioni sono disponibili citazioni letterali più o meno ampie ricavate dalla Biblioteca di Fozio (cap. 165) e da altre antologie bizantine (il Lexicon Vindobonense di Andrea Lopadiota, una cui edizione critica è stata curata da Augusto Guida nel 2018, e l’antologia anonima contenuta nel manoscritto Neapolitanus gr. II. C. 32); per 34 orazioni, infine, disponiamo di almeno un manoscritto che ne tramanda il testo integrale. Tuttavia, i tre manoscritti che contengono orazioni integre di Imerio sono molto tardi (XIII-XIV secolo, secondo le datazioni fornite da Aristide Colonna) e soprattutto il più importante di essi per quantità di orazioni contenute e per antichità, il Parisinus Suppl. gr. 352 (XIII secolo, siglato R da Colonna), presenta gravi danni materiali nei margini, che ci hanno privato di rilevanti porzioni di testo.
Si può aggiungere che purtroppo l’unica edizione critica attualmente disponibile, quella di Aristide Colonna del 1951, non si basa – “propter belli vices quod nuperrime exarsit” – sulla visione diretta di uno dei tre manoscritti, il Monacensis gr. 564 (XIV secolo, siglato A da Colonna), già consultato nel Settecento da Wernsdorf, poiché esso era (ed è) conservato a Monaco di Baviera, città pesantemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale (Colonna era anzi incerto se il manoscritto “in Monacensi etiam nunc adservetur bibliotheca, an in tam immani gentium ac rerum perturbatione perierit”). In questo libro il manoscritto A è stato consultato al fine di migliorare l’edizione critica dell’Or. 47.
Nel 1956 è stato scoperto un primo (e finora unico) papiro contenente una parte dell’opera di Imerio, il Papyrus Osloensis inv. 1478, la cui prima edizione è stata pubblicata da Sam Eitrem e Leiv Amundsen (l’edizione più recente, del 2008, è contenuta nella parte I.2 del Corpus dei papiri filosofici greci e latini). Tale papiro, oltre a dimostrare come l’opera di Imerio fosse almeno parzialmente nota nell’Egitto del V secolo d.C., ha consentito di migliorare significativamente la nostra conoscenza di vari punti dell’Or. 46 danneggiati nel manoscritto R, in particolare colmando due lacune (una delle quali, peraltro, impercettibile in assenza del papiro). La scoperta del papiro fu infatti commentata con grande interesse da Aristide Colonna nel 1961, il quale si ripropose di farne uso in una futura versione rivista della sua edizione critica di Imerio, che tuttavia in seguito non realizzò. Di conseguenza, in questo libro presento per la prima volta un testo critico dell’Or. 46 che tiene conto del testo del papiro di Oslo e delle integrazioni proposte da Colonna dopo la sua scoperta; inoltre, vengono corretti alcuni errori compiuti da Colonna nella lettura del manoscritto R.
Camillo Carlo Pellizzari di San Girolamo (https://orcid.org/0000-0003-2699-1693) ha conseguito la laurea magistrale in Filologia e storia dell’antichità presso l’Università di Pisa nel 2022 ed è dottorando in Scienze dell’antichità presso la Scuola Normale Superiore; le sue ricerche si sono concentrate su testi retorici greci dell’età imperiale (Imerio, Libanio); è un wikimediano dal 2012, attualmente amministratore di Wikipedia in italiano e Wikidata, ed è tra i fondatori del Gruppo Wikidata per Musei, Archivi e Biblioteche (GWMAB).