“Aspettando i barbari” di J. M. Coetzee

Aspettando i barbari, J. M. Coetzee, trama, riassuntoCoetzee è uno scrittore che non avrebbe bisogno di presentazione, ma per quelli a cui fosse sfuggito questo autore: è il vincitore del premio Nobel per la Letteratura nel 2003 e due volte vincitore del Booker Prize, per citare due dei più importanti tra i riconoscimenti che può vantare; ha una lunga carriera alle spalle e una lunga serie di libri pubblicati e tradotti in molte lingue.

Aspettando i barbari, pubblicato nel 1980, è il suo terzo romanzo, uno tra i più noti dello scrittore sudafricano di lingua inglese. Il titolo è preso dal poema omonimo del grande autore greco Kavafis; allo stesso poema si ispirò l’italiano Dino Buzzati per Il deserto dei Tartari, libro da cui Coetzee prende le mosse per gli sviluppi del suo romanzo.

Trama

Il romanzo segue un anziano magistrato che vive in un forte sulla frontiera di un impero non meglio identificato, in un periodo non ben definito. Per molto tempo ha avuto una vita semplice, occupandosi dell’amministrazione dell’insediamento e dei suoi piaceri, tra cui l’archeologia e la ricerca di reperti tra le rovine nel deserto oltre le mura, e commerciando con le popolazioni indigene che vivono oltre il confine.

Tutto cambia con l’arrivo del colonnello Joll della Terza Divisione dalla capitale dell’Impero, inviato perché: «la preoccupazione nella capitale era che le tribù barbare del nord e dell’ovest potessero riunirsi».

Il magistrato, da tempo lontano dal centro del potere, si scontra con le modalità di agire e la visione del mondo che ha il comandante Joll, fin da subito non tollera la violenza nei confronti degli stranieri, di cui il comandante Joll fa uso, metodi brutali con cui il comandante conferma le sue ipotesi negli interrogatori.

Una prima spedizione della Terza Divisione oltre il confine porta a una gran quantità di barbari catturati e trascinati fino alla cittadina di frontiera per essere interrogati. E torturati.

Qui la vicenda del magistrato si intreccia con quella di una ragazza, torturata fino a renderla storpia e quasi cieca dal comandante Joll. Una volta che quest’ultimo se ne è andato e il magistrato ha ripreso il controllo sulla cittadina, l’anziano organizza il rimpatrio dei barbari, che, però, lasciano indietro questa ragazza. La relazione con la ragazza si complica, il magistrato si compromette, la spirale di violenza travolge tutto e tutti.

Recensione

Con stile asciutto Coetzee crea un romanzo che si confronta con la Storia, che la affronta. Il magistrato protagonista si ritrova in mezzo al conflitto: da magistrato diventa imputato; da ricco e potente diventa l’ultimo degli straccioni; la sua ricerca di verità, tanto nei processi quanto nella storia, affoga nelle certezze del potere dell’Impero.

Coetzee crea un mondo non specifico, dai contorni sfumati, in cui si possono riconoscere varie epoche frammiste, in cui si possono identificare vari imperi, regni, stati, non è importante dove siamo ma quel che succede, non serve dare indicazioni precise, perché l’obiettivo non è individuare un colpevole singolo nella nostra storia, ma mostrare l’agire generale di una potenza colonialista.

E crea un personaggio anziano e anticonformista, a cui far svelare le pieghe della realtà, della violenza, del pregiudizio. Il magistrato è solo, non ha nemmeno un nome. Ha una vita agiata, ma a tratti incompleta, insoddisfatta. È un uomo che si pone le domande, al suo opposto il comandante Joll che si dà le risposte. «Io mi accanisco con la storia del passato, sperando che prima che finisca mi riveli la ragione per cui ho ritenuto che ne valesse la pena», pensa il magistrato quando riprende il controllo della città dopo la prima venuta del potere della capitale nel suo piccolo centro di frontiera.

Il magistrato inizia a mettere in dubbio il sistema in cui vive, a immedesimarsi nell’Altro; in qualche modo si innamora, di una ragazza storpia e sola, abbandonata e giovane. Riesce a superare la costruzione del nemico, attraverso una ricerca interiore, perché è in grado di vederlo come umano, non Altro, barbaro, pericolo, appunto nemico. Per questo il romanzo si inserisce a pieno diritto all’interno del dibattito postcoloniale, indagando il colonialismo dal punto di vista del colonizzatore.

Il romanzo è scritto dal punto di vista del magistrato, vediamo con lui lo svolgersi della lotta tra Impero e ciò che sta oltre, sentiamo i suoi pensieri, la sua costante analisi di ciò che sta accadendo, cogliamo con i suoi occhi i lati meschini della violenza e dell’odio ingiustificato, sopportiamo con lui le pene e i maltrattamenti per il suo schierarsi.

Coetzee dimostra tutto il suo talento nel creare un microcosmo come quello della cittadina di frontiera e di ciò che sta oltre, senza perdersi in lunghe digressioni ma con rapide immagini e dando soltanto le poche informazioni assolutamente necessarie, non dilungandosi in spiegazioni – che romperebbero il flusso dei pensieri e della vita del magistrato –, e abbozzando solamente il resto: non sappiamo quasi nulla della capitale e dell’Impero, abbiamo ancora meno informazioni su questi luoghi e su come funzionano, ma possiamo immaginarli per opposizione.

Il romanzo merita la notorietà che ha, esamina in forma narrativa tematiche complesse come possono essere quella della costruzione del nemico, del rapporto con il diverso, della colonizzazione, ma anche dell’amore, della vecchiaia, della giustizia. Nonostante la brevità, il libro riesce a gestire magistralmente le tematiche di cui è ricco senza risultare pesante. Ci parla di che cosa sia la storia, quella umana, quella degli imperi.

«Che cos’è che ci ha impedito di vivere nel tempo come i pesci nell’acqua, come gli uccelli nell’aria, come i bambini? È colpa dell’Impero! L’Impero ha creato il tempo della storia. L’Impero ha deciso di esistere non nel tempo lento, ricorrente, circolare delle stagioni, ma in quello acuminato del trionfo e della sconfitta, del principio e della fine, della catastrofe. L’Impero si condanna a vivere nella storia e complotta contro la storia stessa. Un solo pensiero occupa la mente sommersa dell’Impero: come non finire, come non morire, come prolungare la sua era.»

Gabriele Bertinetto

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