“Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” di Roy Lewis

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene è un romanzo fantascientifico satirico del 1960, scritto dall’economista, saggista e giornalista inglese Roy Lewis. In Italia è tradotto da Carlo Brera e pubblicato da Adelphi.

Trama

A tre milioni di anni da noi, tra le fronde e i mammut della Rift Valley, la famiglia di Edvin – giovane primate in via di evoluzione – cerca di sopravvivere ai pericoli del Pleistocene e alle folli trovate del capo-famiglia Edward. Edward è «il più grande uomo scimmia del Pleistocene», ma non per stazza: ben ritto sulle zampe posteriori, con la testa più piccola del normale e con molari ancora da erbivoro, sfrutta il cervello per trovare il punto di svolta evolutivo e istruisce i figli a fare lo stesso: «Bisognerà pensare a qualcosa di nuovo, che sia nuovo e non banale: è così che si progredisce». Dapprima scettici, Edvin e i suoi fratelli impareranno a imitare e superare il padre in quelle geniali trovate. Dall’invenzione del «vulcano privato» alla conquista della «caverna più lussuosa», dall’invenzione della cottura al matrimonio esogamico: quale sarà la svolta nella storia dell’uomo?

Recensione

«Il libro che avete tra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi cinquecentomila anni» ha scritto Terry Pratcher per presentare Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, e io non potrei essere più d’accordo.

Quello che abbiamo tra le mani è un romanzo di formazione, del narratore interno Edvin quanto per noi lettori, trascinati alle origini della specie per rispondere alle vere domande esistenziali, quelle che ci accompagnano durante tutto il corso della nostra vita: Come sono arrivato fin qui? E mo’ che faccio?

Le risposte che Lewis dà sono molte, varie come sono vari i suoi personaggi e le loro passioni: l’«arte figurativa» per Alexander, l’inventare l’arma da caccia perfetta per Oswald e l’addestramento dell’animale da compagnia per William. Tra queste risposte svetta quell’insegnamento «che sperava di lasciarci alla sua morte», pronunciato dalla bocca del saggio Edward come ultima «solida istruzione» per i suoi figli, ormai grandi e in procinto di diventare capi-famiglia del proprio clan:

«Miei cari,» ci esortava «fate che il vostro motto sia lasciare il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato, e di dare ai vostri figli condizioni di partenza un po’ migliori di quelle che avete avuto voi. Non contate sugli altri. Vivete come se l’intero futuro dell’umanità dipendesse dal vostro impegno; in fondo, potrebbe anche darsi!».

Mascherati dalle vicende dell’allegra famiglia di primati, Roy ci racconta i meccanismi dell’Inghilterra degli anni Sessanta: l’uomo pater-familias e la donna relegata allo spazio della caverna, lo scontro tra padri e figli, l’opposizione tra innovazione e conservatorismo incarnarti da Edward e lo Zio Vania:

«Mi risulta che da queste parti ci sono undici vulcani, Edward… non dodici! Guai in arrivo, quindi, e ho subodorato che c’entravi tu […] Avevo ragione. Vulcani privati, nientemeno! Stavolta l’hai fatta grossa, Edward!»
Papà ebbe un ghigno sornione. «Lo credi davvero, Vania?» gli domandò. «Insomma, secondo te ci siamo, è il punto di svolta? L’avevo pensato anch’io, ma come si fa a esserne sicuri? Indubbiamente è una svolta, nell’ascesa dell’uomo, ma sarà proprio
la svolta?».

Il modo con cui sceglie di raccontarcelo è quello della favola, raccontata da un ormai vecchio Ernest a noi, suoi figli. Il linguaggio, genialmente scelto, non è la lingua di vezzeggiativi e diminutivi che proporremo ai nostri piccoli, né quella disarticolata che immaginiamo dei selvaggi, bensì l’inglese della regina, colto e a tratti saggistico:

«Avevamo un bel daffare a procurarci il combustibile per tutti quei falò […] erano gli elefanti e i mammut a tenerci caldi, con la loro premurosa abitudine di sradicare gli alberi per provare la forza di proboscidi e zanne. L’Elephantus antiquus si dedicava a questo sport anche più del moderno, perché era ancora in pieno sforzo evolutivo, e se un animale in evoluzione ha un chiodo fisso, è lo stato della propria dentatura.»

Il ritmo del libro è veloce, incalzante, fatto di un susseguirsi di vignette comiche e riflessioni esistenziali. Alcuni passaggi sono da togliere il fiato per le risate – come la sequenza che ci racconta della conquista delle compagne per Edvin, Alexander e Oswald – e altri toccanti e commoventi.

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene è un libro intelligente, divertente secondo la più alta forma di humor inglese, e profondo nella sua lettura della vita e degli affetti, ma anche semplice e scorrevole. Lo consiglio a tutti quelli che vogliano passare un paio di ore in poltrona con una cioccolata calda quest’inverno, e a tutti quelli che, come me, stanno cercando la svolta della propria evoluzione.

Alice Ferretti

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