
Come scrive Annarita Briganti nella presentazione: «Di Alda Merini e di Philip Roth si dirà sempre: non hanno vinto il premio Nobel per la letteratura. La stessa poeta, come si definisce Merini, al maschile, esorcizza la sua eterna candidatura al Nobel dicendo che, in ogni caso, non sarebbe andata in Svezia a ritirarlo, perché in quel Paese fa freddo.
Ci sono i vincitori annunciati, i grandi sconfitti, gli emergenti. C’è chi farebbe e fa di tutto per schiacciare gli avversari. C’è chi spunta fuori a sorpresa e sbaraglia tutti, vedi Paolo Cognetti allo Strega e Rosella Postorino al Campiello, già pubblicati più volte, prima delle loro vittorie, ma esplosi solo dopo, sia in Italia sia all’estero. Pensiamo anche a Colson Whitehead, vincitore del Pulitzer con la sua opera più ambiziosa, contro il razzismo, nell’America di Trump, mai abbandonato dal suo editore nonostante non riesca ad andare in classifica prima del romanzo che gli cambia la vita. E viene in mente anche un altro Pulitzer, Il cardellino di Donna Tartt.»
Scopriamo così aneddoti e retroscena dei maggiori premi letterari italiani, lo Strega in primis. Si scopre che Cesare Pavese commentò così la vittoria nel 1950, con La bella estate, della terza edizione del premio istituito da Maria Bellonci e Guido Alberti: «Si consolino i perdenti. I libri più importanti di una generazione non prendono premi letterari». Nello stesso anno in cui vince lo Strega, lo scrittore si toglie la vita. O Moravia, la cui opera omnia viene messa all’Indice nello stesso anno, il 1952, in cui con I racconti vince lo Strega e per il quale la vittoria si configura come una forte attestazione di solidarietà da parte del mondo culturale, un vero e proprio «sobbalzo di solidarietà», come egli stesso lo ebbe a definire nell’intervista di Alain Elkann.
Senza dimenticare la «deludente esperienza del premio Strega del 1959. Quell’anno lo Strega viene assegnato al Gattopardo del principe siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa, deceduto due anni prima: è la prima volta che un autore non più in vita viene ammesso a questo premio.»
E se per Gesualdo Bufalino pubblicare significava «far morire l’opera, non più aperta e variabile ad libitum, consegnarsi a una lapide, al marchio del ne varietur», è proprio un premio letterario, il Campiello, a introdurre lo scrittore comisano nel mondo delle lettere italiane. «Mentre lo Strega 1981 è dominato dall’altrettanto stupefacente esordio narrativo di Umberto Eco con Il nome della rosa, Bufalino si impone al Campiello con Diceria dell’untore».
«La cerimonia di quel Campiello sarà palpitante: al teatro La Fenice, in un’atmosfera da stadio, Bufalino vince, in rimonta, per tre soli voti. In un docufilm del 2012, girato da Franco Battiato, è perciò valida la testimonianza di Elisabetta Sgarbi, ancora lontana dal mondo dell’editoria ma votante per il Campiello 1981, scelta per la giuria popolare dall’amico Gian Antonio Cibotto, quell’anno segretario del premio. Un voto sofferto ma convinto, quello di Elisabetta, decisa a premiare Diceria dell’untore ma allo stesso tempo pressata dal fratello Vittorio affinché votasse per Anna Banti. Quest’ultima, a quel tempo, dirigeva “Paragone”, rivista per la quale i giovani critici d’arte come Vittorio Sgarbi ambivano a scrivere. E lo stesso Vittorio era allora borsista della Fondazione di Roberto Longhi, marito di Anna Banti. Bufalino, dopo questo simpatico aneddoto, diverrà amico degli Sgarbi. Un’amicizia feconda se, nel 1986, lo scrittore comisano arriverà a “tradire” Sellerio per Bompiani, dove era approdata nel frattempo Elisabetta» racconta Jacopo Santoro.
L’eterna competizione tra Strega e Campiello. Dice Rosella Postorino, vincitrice nel 2018 del premio Campiello con Le assaggiatrici: «Lo Strega è un premio molto importante, che qualunque scrittore vorrebbe vincere. Io sono molto orgogliosa del Campiello, che è altrettanto prestigioso, e che considero il premio perfetto, perché a formare la cinquina è una giuria tecnica molto sofisticata, che poi però affida la scelta del vincitore a una giuria popolare. Ciò consente anche a libri molto “alti” o sperimentali di avere una maggiore risonanza di pubblico, anche perché girano le piazze di tutta Italia.»
Il Campiello infatti «si è da subito diversificato grazie alla sua particolare modalità di valutazione, rimasta invariata dalla fondazione nel 1962 fino a oggi. Una selezionata giuria di letterati, addetti ai mestieri del libro e della letteratura, è incaricata di vagliare i romanzi concorrenti e di sceglierne cinque; i finalisti, di fatto vincitori del premio Selezione Giuria dei Letterati, vengono quindi sottoposti alla lettura di 300 giurati “popolari” che selezionano il vincitore del premio Campiello.» E quindi «per un semplice sillogismo, basterebbe scorrere i romanzi vincitori del premio Campiello per intercettare e capire il gusto del lettore-medio italiano».
E via via con gli altri premi: il Viareggio, «premio che dal 1929 può vantare un’autorevolezza riconosciuta a livello nazionale, in quanto premio molto antico, secondo solo al Bagutta che risale al 1927», il Bancarella, il premio dei librai italiani, e quelli stranieri, come il premio Goncourt, il più prestigioso premio letterario francese, il premio Hans Christian Andersen – «considerato il più alto riconoscimento internazionale per la letteratura per l’infanzia» – e l’arcinoto Pulitzer: «Il premio Pulitzer per la narrativa è certamente un premio capace di cambiare il destino di un autore, è in grado di far esplodere le vendite di un libro, influenza financo i costumi delle diverse epoche e riflette i gusti dei lettori contemporanei.»
I premi letterari rappresentano una «bussola in un mercato che a volte disorienta i non addetti ai lavori, come spinta per le vendite e come stimolo per chi scrive» senza dimenticare però che «Elena Ferrante, la nostra scrittrice più tradotta all’estero, fenomeno editoriale mondiale e poi anche televisivo, ha partecipato allo Strega, ma non lo ha vinto.»
E allora, per rispondere alla domanda d’esordio di questo articolo, se «non si giudica un’opera né dal numero di copie vendute né da quello delle medaglie che riesce a portare a casa, in un panorama editoriale come quello italiano, con più di sessantamila pubblicazioni all’anno e un indice di lettura tra i più bassi d’Europa, essere in finale o, addirittura, conquistare i riconoscimenti più importanti cambia la storia editoriale di un autore.»