
Uomini e Donne è il programma più discusso, criticato e attaccato di Maria De Filippi, «ma è anche il più felicemente longevo (venticinque anni), con un trionfo di ascolti costante e continuo»: in che modo esso aiuta a comprendere l’estetica mariana?
Uomini e Donne aiuta moltissimo a comprendere non soltanto l’estetica mariana, ma anche le eterne dinamiche alla base del discorso amoroso di ieri, oggi e domani. A Uomini e Donne ho dedicato il capitolo Mater amoris, perché MDF con questo programma si è rivelata la più grande ed efficace esploratrice del tema che tutti ci accomuna, l’amore: o perché ce l’abbiamo, o perché non ce l’abbiamo, o perché ce l’abbiamo ma magari vorremmo altro. Anche Uomini e Donne, che va in onda ininterrottamente da un quarto di secolo, si è enormemente evoluto nel tempo. Nasce infatti come talk show, quasi una versione per adulti del primo Amici. L’intuizione della vita arriva nel 2001, quando a MDF viene in mente l’idea del tronista, dapprima come gioco-esperimento sociologico. Il format ne viene in qualche modo stravolto, ma anche incredibilmente rivitalizzato, nella formula e negli ascolti. Il primo tronista ad assurgere al successo mediatico è Costantino Vitagliano, che in quegli anni di inizio millennio diventa popolarissimo, ed è soltanto il primo di una serie infinita di troniste e tronisti che ancora oggi impazzano non soltanto in tivù, ma anche sui social. L’altra grande intuizione di MDF su Uomini e Donne arriva nel 2010, con l’introduzione del trono over, ispirato dal numero sempre maggiore di richieste in tal senso da parte di chi vuol partecipare e non ha più 20 anni. L’amore, infatti, è al centro dei pensieri e della vita di tutti noi anche dopo i 50, i 60, i 70… Ed eccoci arrivati a oggi, con gli amori di Gemma e le discussioni furibonde fra Gemma e Tina. Un successo che è un unicum: quale altro programma della televisione continua a ottenere ascolti record (spesso l’audience supera di gran lunga il 20 per cento) dopo 25 anni di messa in onda? Durante tutto lo show MDF sta seduta sulle gradinate, con il microfono in mano, spesso inquadrata in campo lungo, come in disparte. Ascolta, interviene, suggerisce, tiene le fila del discorso, interrompe quando è il caso. Spettatrice attiva dello show di cui è in realtà ideatrice, conduttrice e massimo nume tutelare.
C’è posta per te è l’unico programma di Maria De Filippi a essere rimasto quasi uguale agli inizi, nel contenuto e nella forma: qual è la ricetta del successo del fortunato programma?
Le risponderò con un aneddoto personale: per scrivere questo saggio, oltre a leggere o rileggere tutte le enciclopedie sulla televisione, i libri usciti finora su MDF e gli articoli e le interviste secondo me più significative che lei ha rilasciato in 30 anni, mi sono guardato molte ore di tutti i suoi programmi. C’è posta per te l’avevo sempre visto in maniera spezzettata e casuale. Ma per addentrarmi al meglio nell’“estetica mariana”, mi sono imposto una full immersion nelle sue creature televisive. Mi sono tenuto per ultimo C’è posta per te, e per fortuna, perché mi ha letteralmente “colpito e affondato”: è bastato assistere alla vicenda di un giovane ragazzo che chiedeva di incontrare il padre – risposato e con altri figli – che non l’aveva mai più voluto rivedere, per ritrovarmi a piangere tutte le mie lacrime. Questo per dire che alla base del successo senza tempo del programma secondo me c’è proprio la capacità unica di toccare corde emozionali che ci accomunano tutti, e ci fanno reagire ogni volta alla stessa maniera. Per questo motivo, credo, spesso come contraltare vengono proposte storie più leggere e in grado di farci ridere o sorridere, con ospiti brillanti come Luciana Littizzetto, Ezio Greggio ed Enzo Iacchetti, Sabrina Ferilli… Nel capitolo del libro dedicato a C’è posta per te, intitolato Mater lacrimarum, ho analizzato come MDF si pone all’interno del meccanismo scenico e drammaturgico, in maniera diversa da tutti gli altri suoi programmi: racconta ogni volta la storia come si fa nelle favole, muovendosi a lungo nello studio («e cammina e cammina…»), e intervenendo con le due parti in causa (il richiedente e il destinatario) separate dalla busta con una delicatezza e una sensibilità rare. Nel libro parlo di «maieutica di Maria», perché questa è una delle sue doti più rare e preziose: la capacità di adeguare ogni volta il proprio eloquio a quello di chi le sta davanti, stabilendo da subito un contatto intimo e fiduciario. Un format già perfetto così come è nato, nel lontano gennaio 2000. E infatti ha avuto pochissimi cambiamenti nella struttura e nella forma, e ancor oggi è un cavallo di battaglia invincibile (e temutissimo dai competitor) del sabato di Canale 5.
Amici è il talent show più longevo della storia della televisione italiana: che cosa ne ha fatto un cult?
Il primo anno (2001), Amici si chiamava Saranno famosi, come il telefilm, e dopo un iniziale periodo di assestamento divenne un programma di culto, non solo molto visto in televisione, ma anche molto commentato fuori (i social non esistevano ancora), e oggetto di un merchandising (magliette e felpe in modo particolare) dal successo spropositato. Dopodiché la casa produttrice americana del telefilm fece causa per il titolo, e MDF fu costretta a cambiarlo. Decise così di chiamarlo come la sua prima creatura televisiva, il talk per adolescenti di qualche anno prima. Da allora, Amici ha attraversato indenne un quarto di secolo di programmazione, tarandosi ogni volta sui gusti, le mode e le esigenze del momento, ma mantenendo sempre una propria identità molto forte e inimitabile, che consiste secondo me in una doppia linea narrativa: la formazione dei talenti dei ragazzi della scuola, e la loro interazione con i professori (e quella dei professori tra loro). Un’anima che evidentemente piace anche alle nuove generazioni, non ancora nate quando erano in onda le prime edizioni: il serale nella primavera 2021 ha registrato record di ascolto imbarazzanti; e nell’autunno 2021 la nuova collocazione del pomeridiano, passato per esigenze di rete dal sabato alla domenica alle 14, sta dando grandi soddisfazioni in termini di audience. Anche qui Maria, che è demiurga e deus ex machina, lavora come sempre di sottrazione su se stessa, facendo parlare ed esibire i ragazzi, e mettendoli a confronto con i professori e con gli ospiti. Personalmente ho trovato molto efficace, nelle strisce quotidiane, l’idea di inserire la voce di MDF che entra in diffusione negli ambienti dove vivono i ragazzi, per spronarli, rimproverarli, avvisarli.
Quale sarà il futuro televisivo di Maria De Filippi?
Non importa il “dove”, che potrà essere sempre su Canale 5, o su Rai Uno, o magari su Sky con una rete interamente dedicata a lei, o ancora sui nuovi media come Amazon o Netflix, ma il “cosa”. Come scrivo nel capitolo finale del libro, Assunzione, «MDF continuerà a essere al centro del piccolo schermo per molti – moltissimi – anni. Con i suoi titoli-totem, ma sempre più anche con altri programmi dove lei non compare in prima persona, che però portano la sua firma inconfondibile. Come si rapporterà con le nuove mode televisive, e con quei generi e formati che devono ancora essere inventati? Esattamente come ha fatto con i generi televisivi del presente e del passato, dal talk al people show, dal reality al talent: MDF ne individuerà le caratteristiche che più le piacciono e sente sue, per farle entrare nel DNA del proprio codice stilistico».
Aldo Dalla Vecchia, nato a Vicenza nel 1968, è giornalista, autore televisivo e scrittore. Ha collaborato con numerose testate, da Epoca al Corriere della Sera, e ha scritto un’infinità di programmi, da Target a Verissimo. Il suo romanzo Rosa Malcontenta (2013) è stato il primo di una lunga serie di pubblicazioni. In nome di Maria. L’era defilippica della tivù (2021), edito da Graphe.it, è il suo diciottesimo libro.