Ciascuno degli invitati pronuncia un breve discorso per celebrare l’amore, Fedro da un punto di vista mitologico, Pausania da quello proprio di un sofista, Agatone da quello di un poeta, e così via; Aristofane volge il dialogo verso la commedia. Ogni discorso è una parodia evidente, da parte di Platone, dello stile dell’interlocutore rappresentato.
Socrate porta la discussione su un piano più elevato. Ha imparato da Diotima, la sacerdotessa di Mantinea, che l’amore può avere un aspetto più nobile. Il bisogno che in un essere umano si manifesta su un piano più basso tramite l’amore sessuale può anche assumere una forma intellettuale: il desiderio dell’anima di dar vita ai concetti di bellezza e saggezza quali sono creati dai poeti e dai legislatori. Uno dovrebbe passare dall’amore di una bella forma alla percezione e all’amore della divina bellezza universale, che non ha aspetto fisico. Allora Alcibiade, un po’ ubriaco, si unisce al gruppo. Egli confessa il fascino che Socrate esercita su di lui e la sua speranza di ricevere da lui lezioni di saggezza. Narra di vari episodi della vita di Socrate, tra i quali il fallimento del proprio tentativo di sedurlo. Socrate è come le statuette di Sileno che nascondono al loro interno immagini di dei, e anche come il satiro Marsia, che con il suo flauto era in grado di incantare gli uomini.
L’espressione «amore platonico» si riferisce alla discussione sulla superiorità dell’amore non sessuale.
tratto da Dizionario delle letterature classiche, diretto da Margaret C. Howatson, edizione italiana a cura di Maurizio Bettini, traduzione di Lucia Beltrami, Einaudi editore