
L’ignoranza può portarci all’errore, e allora ha senso parlare di cattiva ignoranza. Ma l’ignoranza può anche essere lo stimolo per ottenere nuove conoscenze, o può essere necessaria per la convivenza sociale o avere una giustificazione morale. In questi casi possiamo parlare di buona ignoranza. Altre volte l’ignoranza può essere semplicemente innocua.
La Sua riflessione origina opportunamente da Socrate, sin dal quale la consapevolezza dell’ignoranza è stata posta a fondamento della conoscenza.
C’è chi sostiene che l’ignoranza di Socrate segni addirittura l’inizio della storia della filosofia occidentale: è forse il primo momento in cui qualcuno si dichiara pubblicamente più ignorante degli altri. Socrate diventa così l’esempio perfetto della natura paradossale dell’ignoranza: lui, ignorante, è definito dall’oracolo, l’uomo più sapiente. Il luogo in cui Platone mette in scena l’ignoranza di Socrate è l’Apologia, qui capiamo che l’ignoranza che conta di più per Socrate è quella di chi sopravvaluta le proprie capacità e la propria moralità. Socrate giunge a questa conclusione al termine di un’indagine durata tutta una vita, dopo aver interrogato i sedicenti sapienti della polis: politici, poeti, artigiani. Oggi noi potremmo rivolgere le stesse domane ai presunti sapienti del nostro tempo: economisti, storyteller, guru dell’innovazione. Arriveremmo alla stessa conclusione: tutti credono di sapere. In realtà ignorano la propria ignoranza. La via d’uscita ci viene indicata dal Socrate di Platone in un altro dialogo, il Teeteto: l’unico modo per reagire all’ignoranza è affidarsi a chi è più esperto di noi, a quelli che definiamo maestri. Il difficile è trovarli.
Google ci offre la convinzione che tutto lo scibile sia solamente a distanza di un click: Internet induce all’ignoranza?
Internet è il più potente motore di conoscenza della storia. E allo stesso tempo, e per le stesse ragioni, è anche il più grande motore di ignoranza mai esistito. Il paradosso dell’ignoranza è questo. Grazie a Google noi abbiamo a disposizione il più vasto deposito di conoscenza della storia. E allo stesso tempo, e per le stesse ragioni, Google ci rende più ignoranti. Ma non vuol dire che ci rende più stupidi. Ignoranza e stupidità sono due cose diverse. E se ci comportiamo da stupidi non è colpa di internet, è colpa nostra. Ciascuno ha la responsabilità morale delle proprie scelte. Dall’altra parte Google, inteso come azienda, ha l’ambizione di conoscere tutto. L’ambizione dell’onniscienza accomuna tutti i cosiddetti “Imperi dei dati”, come è anche Facebook per esempio. È un’ideologia totalitaria. Credere che sapere tutto di tutti sia un bene, che i segreti siano sempre il male, è il fondamento dei regimi. Non sempre siamo consapevoli dei rischi che corriamo nell’accettare le ideologie che esaltano la trasparenza, per questo è importante ricordare il ruolo decisivo dell’ignoranza: è uno strumento di difesa contro chi vuole privarci della libertà.
Nel Suo libro Lei esalta la dimensione dell’incertezza in quanto elemento fondante della nostra stessa esistenza.
Spesso parliamo dell’ignoranza come se si trattasse di una malattia. C’è chi vuole curare o debellare l’ignoranza. È un’immagine fuorviante: se l’ignoranza fosse una malattia, allora saremmo tutti malati. Invece l’ignoranza è la normalità, la conoscenza una fragile e rara eccezione. Le nostre conoscenze sono sempre limitate, l’ignoranza è infinita e ci accomuna tutti. Così come sono fuorvianti altre immagini che usiamo per parlare dell’ignoranza: spesso la rappresentiamo usando animali – asini, scimmie, struzzi, soprattutto. Ma l’ignoranza non è bestiale, l’ignoranza è umana. Attenzione: con questo non voglio togliere valore alla conoscenza. Il mio non è un invito alla rassegnazione, ma all’umiltà e al riconoscimento dei propri limiti. Non possiamo sconfiggere l’ignoranza ma non possiamo neanche arrenderci, dobbiamo imparare a gestirla.