
La relazione tra matematica e monete viene presentata in modo direi esplosivo da Isidoro di Siviglia (560c.-636) il quale propone un’etimologia sorprendente e meravigliosa scrivendo che “la parola nummus (moneta) dà il nome a numero e dalla sua diffusione prese origine il termine”: quindi per lui la primaria funzione della matematica è quella di contare le monete. La sua etimologia non è corretta ma spalanca una visione bellissima della relazione tra i due termini.
Il libro Monete mercanti e matematica è stato per me un’esperienza in un campo nuovo e inaspettato.
Nessuno può fare il mercante, amministrare, gestire, e nessuno può diventare ricco senza saper far di conto. La matematica è fondamentale del resto non solo per l’attività dei mercanti ma anche per qualsiasi altra attività: senza matematica non ci sarebbe la musica e non ci sarebbe l’architettura, e quindi per me lavorare su questi temi è stato come rompere la barriera che divide i saperi umanistici da quelli scientifici. Il sapere è uno e non si dovrebbe ignorarlo: non si può essere esperti di tutto ma si può avere la consapevolezza dell’insieme del sapere e cercare il contatto con gli studiosi di altre discipline.
Il libro raccoglie e commenta le liste di monete presenti in trattati di aritmetica e in libri di mercatura databili tra la fine del Duecento e il Quattrocento: le liste elencano monete di tutta Europa e del Mediterraneo indicandone il contenuto di fino, dati importanti per lo studio delle monete. Partendo dal mio punto di vista di storica delle monete ho cercato di capire l’origine dei testi e la loro struttura e datazione. Ho contattato molti studiosi della scienza e tra questi ringrazio veramente Raffaella Franci e Jens Høyrup, i quali a loro volta scoprivano grazie alle mie domande la ricchezza delle possibilità informative che i nomi delle monete citati potevano dare ad esempio come contributo alle datazioni dei testi e al luogo di redazione originaria.
Con mia grande sorpresa ho potuto constatare di aver dato un contributo alla storia della matematica medievale proponendo una nuova datazione della lista di monete nel trattato di algorismo della Columbia University: la prima edizione del mio libro fu pubblicata nel 2003 e qui la mia datazione della lista Columbia indusse Høyrup alla revisione dell’intero trattato che la conteneva ed iniziò così una collaborazione con storici della matematica, alcuni dei quali mi contattarono inviandomi trascrizioni o copie di testi manoscritti con nuove liste di monete in testi che studiavano per il loro lavoro, e che sono confluite nell’aggiornamento appena edito. La prima edizione era esaurita da tempo mentre continuavo a raccogliere molti materiali nuovi: per questo sono veramente grata alla casa editrice Jouvence di Milano che ha voluto pubblicare questa seconda edizione ampliata con nuove liste inedite e con la ristampa anastatica della prima edizione, e sono grata a Federico Pigozzo che ha curato l’Appendice con le liste inedite. Questo libro già nella prima edizione è stato utile a studiosi di tutta Europa per i riferimenti a monete europee, bizantine, arabe, spingendosi fino ai lingotti d’oro dei Mongoli (‘tanghi’) e molto altro, e spero davvero che possa essere utile a molti altri studiosi in questa nuova edizione. Peraltro, vi è una cospicua bibliografia sulla storia della matematica, delle scuole d’abaco e dei testi di mercatura, oltre che un glossario aggiornato con i nomi delle monete medievali e il loro significato.
Tengo in particolar modo a ricordare che le monete facevano parte della vita di tutti e non solo dei mercanti o dei cambiavalute; la loro presenza quindi in tutti i testi medievali, letterari mercantili, testamenti, compravendite etc. è tale che l’ausilio di un glossario aggiornato può essere di vero aiuto a studiosi dei più diversi ambiti di ricerca.
Quali monete circolavano nell’Italia medievale?
Premetto dicendo che battere moneta era ed è una delle principali prerogative di sovranità e che quindi avere una propria moneta era un forte segno di autonomia, potere, capacità anche fiscali e di gestione e diffusione dell’immagine dello Stato coniata sui due lati delle monete.
Nell’Italia medievale centro-settentrionale vi erano molti Stati autonomi con zecche che battevano monete di standard diversi, mentre nel Regno la produzione monetaria era accentrata a Napoli e poche altre zecche minori. Per i mercanti, gli amministratori, i cambiavalute e per chiunque viaggiasse era fondamentale conoscere e calcolare i rapporti di cambio. Un esempio citato a pagina 63 della prima edizione, dal trattato di algorismo di Jacopo da Firenze del 1307, ci dice che a Bologna il bolognino grosso valeva 13 denari e un terzo di bolognini piccoli mentre a Firenze valeva 15 denari e un quarto; il fiorino d’oro a Bologna valeva soldi 13 e denari 6 di bolognini piccoli mentre a Firenze valeva soldi 39 e denari 6 della moneta di Firenze! Questo è solo un piccolo esempio di una tempesta di variabili tra una città e l’altra e nella stessa città nel corso del tempo, considerando il diverso valore di mercato dell’argento e dell’oro. Non tutte le monete potevano circolare in un dato territorio ma certamente erano presenti monete straniere e quindi per valutare quale fosse la circolazione monetaria in un territorio bisogna affidarsi alle fonti scritte ma anche ritrovamenti monetali che ci possono presentare monete straniere: per esempio carlini d’argento del Regno di Napoli a Roma agli inizi del Quattrocento o grossi francesi in Italia alla fine del Duecento e così via.
Quale incidenza aveva il fenomeno dei falsi?
I falsi erano un problema costante e diffuso sia per monete d’argento e d’oro che perfino di monete di bassa lega. Posso citare una frase presente nel trattato di aritmetica conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia: “che tu non ti fidi a queste leghe, per che tuttavia si muttano le monete ed anche si falsano…”: le mutazioni riguardano riduzioni del contenuto intrinseco operate dagli Stati nell’ambito della zecca ufficiale; vi erano Inoltre imitazioni di monete di successo prodotte da altri stati producendo le loro monete con qualità intrinseca inferiore. Vi erano poi le contrattazioni illegali prodotte da falsari spesso in zecche ubicate in castelli fuori mano e tra questi si può certamente ricordare il castello di Romena dove maestro Adamo coniava fiorini di Firenze con “tre carati di mondiglia” (Dante incontra lo zecchiere all’Inferno, era stato condannato al rogo ma i committenti erano i nobili conti Guidi).
Gli statuti cittadini e tanta azione dei governi prevedevano pene per falsari e tosatori di monete ma molti –troppi- sfuggivano al controllo statale. Studiando i tesori di monete siamo in grado di riconoscere la presenza di monete false: si tratta di monete con nucleo di rame dorate o argentate in superficie e che nel corso del tempo nel terreno hanno perduto la copertura smascherando il nucleo di rame: evidentemente erano state tesaurizzate come buone monete senza sospetto.
Quali erano i principali trattati di aritmetica?
Il capostipite dei trattati di aritmetica con i numeri indo-arabi in Occidente è quello di Leonardo Fibonacci di Pisa il quale scrisse il Liber abaci nel 1202; nel mio libro si parla poi di testi in volgare in gran parte italiani. Posso ricordare il Trattato di Jacopo da Firenze che ebbe una diffusione enorme ed è noto in un grande numero di copie, e anche quello di Paolo Gherardi il quale fu attivo nella zona di Montpellier. Ve ne sono molti altri scritti da maestri attivi nelle scuole d’abaco nelle varie città. Nei nostri libri scolastici di matematica avevamo dei ‘problemi’ da risolvere e questi libri medievali hanno problemi che vengono chiamati normalmente ‘regoluzze’. Un gran numero di esse riguardano il conto e cambio delle monete e la realizzazione delle leghe metalliche.
Va ricordato che tra le cose che i mercanti dovevano contare c’era la ricorrenza della Pasqua che è festa mobile, e anche non mancano le indicazioni per il calcolo degli interessi.
Cos’erano le «pratiche di mercatura»?
Con il termine pratiche di mercatura si indicano dei libri che forse sarebbe meglio definire appunti di mercatura: in gran parte non hanno una struttura omogenea ma contengono comunque informazioni su quali fossero i pesi, le misure, le monete e le merci principali nelle varie piazze commerciali d’Europa e del Mediterraneo. Per esempio in quello di Francesco Balducci Pegolotti compilato entro il 1340 si trovano indicazioni su questi usi in Ancona Napoli Cipro etc. Il problema principale è capire che uso effettivamente avessero tali testi: si era pensato che potessero essere dei manuali di uso pratico nelle botteghe dei mercanti ma la riflessione più recente, che viene analizzata nelle pagine del mio aggiornamento, dimostra che i mercanti avevano bisogno di informazioni aggiornatissime e non potevano appoggiarsi su dati fissati in un libro redatto magari decenni prima della loro attività. Si è così pensato perfino che fossero stati copiati da apprendisti per un uso didattico… In ogni caso però le informazioni che contengono sono per noi molto utili ma dobbiamo utilizzarle rendendoci conto della data di redazione di ogni parte di ciascun testo.
Trapelano in questi testi matematici e mercantili molte osservazioni e frasi che mostrano la vivacità del pensiero e la praticità di questi uomini. In un caso addirittura c’è una ricetta per fare lasagne in chiusura di un libro nel quale l’autore Antonio Di Francesco da Pescia scrive “chi ragiona di cambi e chi di mercatantie sempr’è con affanni e tribulazioni. Io farò il contrario e darovi ricetta a fare lasagnie e maccheroni”! La ricetta è trascritta a pagina 75….
Lucia Travaini insegna presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università Statale di Milano. Tra le sue pubblicazioni: Medieval European Coinage, vol.14. South Italy, Sicily, Sardinia (con Philip Grierson, Cambridge 1998); La monetazione nell’Italia normanna (Roma 1995; 2a ed. ampliata Zürich-London 2016); Monete mercanti e matematica (Roma 2003; 2a ed. ampliata Milano 2020); I Trenta denari di Giuda. Storia di reliquie impreviste nell’Europa medievale e moderna (Roma 2020).