
Al contrario, la realtà documentale ha portato a ricostruire un trend che affondava le proprie radici in epoca federiciana e che in epoca angioina, vuoi per il mutamento dei protagonisti, vuoi per il diverso valore assegnato al guelfismo, aveva premiato una linea monetaria che intrecciava gli interessi economici fiorentini, romani e regnicoli.
Il vero protagonista su queste piazze fu il fiorino d’oro, moneta che fu coniata con gli stessi conî di Firenze, per volere stesso della Repubblica fiorentina.
Un fatto ripetutosi metodicamente dalla seconda metà del XIII secolo – il fiorino fu introdotto nel 1252 – sino all’inoltrato XV secolo.
I sovrani napoletani tuttavia non disdegnarono limitate tirature di alcune monete d’oro a proprio nome, che probabilmente furono liberate in occasione delle rispettive incoronazioni e/o pretensioni.
L’unico tentativo di creare in oro una moneta stabile napoletana, al posto del fiorino, fu intrapreso dallo stesso Carlo I d’Angiò, tra il 1278 e il 1285, attraverso la coniazione dei saluti (=carlini d’oro), ma l’iniziativa non ebbe il successo desiderato, in considerazione del successivo abbandono.
Quale provenienza avevano i metalli?
I metalli avevano le provenienze più disparate, ma i minerali in particolare provenivano dall’entroterra balcanico, che i mercanti ragusei avevano monopolizzato, anche se veneziani e fiorentini erano pure coinvolti in questo commercio. Le miniere ungheresi erano comunque quelle più produttive d’oro, tanto che in quelle aree furono emessi fiorini imitativi. Infine il metallo poteva giungere a Napoli anche attraverso pani già affinati o in moneta già coniata da rimettere in zecca per ottenere quella più prestante al momento dell’operazione del caso. Nel caso del Regno di Napoli un enorme quantitativo d’oro giunse verso la metà del XIV secolo, al fine di far conseguire il trono al rampollo ungherese, Andrea.
In che modo il fiorino patì la concorrenza del ducato veneziano?
Sullo sfondo esisteva sempre una forte concorrenza mercantile tra le varie realtà medievali italiane. Infatti i veneziani introdussero il loro ducato d’oro nel 1285, con un peso leggermente superiore a quello del fiorino, tanto che quest’ultimo si dové adeguare successivamente con peso e modulo.
Le scelte numismatiche non rappresentavano però solo una questione economica, ma anche politica. Quindi per forza di cose, nell’infinita dicotomia tra guelfi e ghibellini, chiunque avesse ambito a conquistare il Regno avrebbe optato per la moneta opposta a quella del concorrente. Di conseguenza tutti i potenziali oppositori degli angioini avrebbero optato per i tondelli veneti.
Quali monete si battevano a Napoli al tempo di Alfonso il Magnanimo?
Riallacciandomi al quesito precedente, Alfonso il Magnanimo, di fazione opposta ai regnanti angioini, aveva privilegiato l’uso del ducato veneziano a quello del fiorino. Fece infatti coniare il ducato su varie piazze prima della conquista di Napoli e, dopo l’incoronazione, proprio nella zecca partenopea ne alternò la coniazione alle nuove monete d’oro introdotte a suo nome: i sesquiducati, vale a dire monete da 1 ducato e mezzo.
Simonluca Perfetto è dottorando di ricerca in storia medievale. Dopo gli studi in giurisprudenza ha approfondito temi legati a zecche e monete dell’Italia meridionale con oltre 60 monografie al suo attivo. Nel 2015, nell’ambito del XV International Numismatic Congress, è stato insignito del Premio di Numismatica “Memmo Cagiati”.