
Quale contesa si accese per i diritti sull’opera dello scrittore?
I diritti sull’opera di Dostoevskij appartenevano alla vedova, Anna Grigor’evna Dostoevskaja (nata Snitkina) e ai due figli, Ljubov’ e Fedor. Per espressa volontà dello scrittore, alla sua morte il tutore legale dei suoi figli divenne K. K. Pobedonoscev, Procuratore Supremo del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa, membro del Consiglio di Stato e consigliere dello zar Alessandro III. Sotto la supervisione di Pobedonoscev, la vedova si prefisse il compito di diffondere l’opera del marito e l’appello di amore alla patria, fedeltà all’ortodossia e alla vocazione messianica della Russia da lui lasciato in eredità. I suoi primi prodotti editoriali (la prima edizione della Raccolta Completa della Opere, del 1882-1883, e un volume per bambini, Russkim detjam, uscito nel 1883) furono il risultato di una serie di decisioni determinate più da motivazioni affettive e ideologiche che da considerazioni di ordine commerciale: da una parte, un debito morale nei confronti del marito, dall’altra, la necessità di preservare l’integrità del messaggio dostoevskiano, legittimato dalle forze conservatrici e minacciato dagli attacchi della critica progressista.
Nel corso degli anni successivi, determinata ad ampliare il contingente dei lettori di Dostoevskij, e nello stesso tempo attenta a cogliere i cambiamenti sociali in atto, Anna Grigor’evna tentò gradualmente di adeguare le sue edizioni alle esigenze di sezioni di pubblico – neonate “comunità di lettori” prima poco famigliari con l’opera di Dostoevskij. Tra gli anni Ottanta e Novanta comparvero così non solo svariate edizioni delle Opere Complete di Dostoevskij, corredate di saggi critico-biografici, ma anche le prime edizioni economiche, nuovi adattamenti rivolti ai bambini e agli adolescenti, nonché alcune edizioni di orientamento ‘popolare,’ contemporaneamente ai primi esperimenti di lettura ad alta voce delle opere di Dostoevskij a uditori di ceto contadino. Questo cambio di passo nella politica editoriale della Dostoevskaja condusse a due nuovi scenari: da una parte, l’ingresso di Dostoevskij nella terra incognita del grande pubblico determinò il sorgere di nuove pratiche di lettura della sua opera, di fatto causando quella ‘perdita di controllo’ che secondo il sociologo Robert Escarpit si verifica quando un libro forza le barriere sociali del suo pubblico teorico; dall’altra, la diffusione dell’opera di Dostoevskij, in termini sia ‘documentali’ (raccolte delle opere, miscellanee, antologie, biografie, ecc.) sia ‘monumentali’ (ritratti, busti), accrebbe il suo capitale simbolico, preparando il campo all’insorgere di ‘tattiche’ di resistenza ai suoi significati così come erano stati codificati all’indomani della sua morte.
Attenta a cogliere gusti e tendenze di un pubblico sempre più diversificato, e nello stesso tempo prudente nel cercare il consenso della critica e delle istituzioni governative, la Dostoevskaja gettò dunque le basi per la canonizzazione postuma di Dostoevskij e per un graduale ampliamento del circuito distributivo delle sue opere, con conseguenze che tuttavia, da un certo momento in poi, per molteplici ragioni, sfuggirono al suo controllo, portandola infine a vendere i diritti nel 1910.
Quali vicende segnarono la battaglia per l’eredità dostoevskiana in Russia prima della Rivoluzione del 1917?
La prima fase della storia editoriale postuma di Dostoevskij si colloca in un periodo di grandi trasformazioni del contesto non solo politico, ma anche culturale russo. Grazie alle riforme introdotte da Alessandro II negli anni Sessanta del XIX secolo, l’editoria venne gradualmente ad affiancarsi agli altri istituti sociali che fino a quel momento avevano regolato i rapporti di forza del campo letterario: nella loro veste di mediatori tra autori e pubblico, gli editori, insieme agli educatori e agli attivisti culturali, diedero un contributo fondamentale alla diffusione dei libri tra le fasce di pubblico medio-basse. Con la graduale istituzione di una vasta rete di scuole elementari, per quanto ancora sbilanciata nel confronto tra città e province, leggere cessò di essere un privilegio di pochi, trasformandosi in una preziosa opportunità di adattamento alle nuove condizioni sociali e al nuovo stile di vita. Nel giro di pochi decenni si assistette a un rapido aumento della quantità di materiale stampato: le nuove industrie editoriali, spesso sostenute da capitali stranieri, sfruttarono le conquiste tecnologiche nel campo della tipografia, dei trasporti e delle comunicazioni per intensificare la produzione, ampliare i propri circuiti di distribuzione, sviluppare nuove reti commerciali. Accanto ai nuovi giganti russi dell’editoria, come I. D. Sytin, A. S. Suvorin e A. F. Marks, nel corso degli anni Settanta nacquero piccole e medie imprese editoriali private, vennero aperte nuove librerie e nuovi punti di prestito librario, non solo nei centri urbani ma anche nelle campagne. Allo sviluppo del mercato librario si accompagnarono un costante aumento e una progressiva diversificazione del pubblico, soprattutto negli strati medio-bassi della popolazione.
Il vero fattore di novità è da rilevarsi tuttavia non tanto nella presenza di un pubblico e di una letteratura popolare – che in Russia vantava già una tradizione legata soprattutto al lubok –, quanto nell’interazione che in questo ultimo scorcio dell’Ottocento viene a crearsi tra due circuiti di produzione, distribuzione e consumo del libro prima indipendenti l’uno dall’altro: quello letterario e quello popolare. Nella massa di materiale stampato per il grande pubblico, tra romanzi-feuilleton, romanzi di avventura, storie tratte dal folklore, racconti didascalici, brochures patriottiche e testi di carattere etico-religioso, negli anni Ottanta iniziano a comparire anche edizioni economiche dei classici, talora adattate a specifiche categorie di lettori solo parzialmente istruiti, come i lettori-bambini o i lettori-contadini.
La proposta di una letteratura ‘colta’ a ceti poco istruiti non solo contribuiva alla crescita culturale di nuove schiere di lettori, ma ne plasmava anche la coscienza sociale, proponendo modelli identitari alternativi a quelli vigenti. Se inizialmente le autorità statali e religiose tentarono di contrastare questo processo di immedesimazione con nuovi modelli diversi da quelli tradizionali, con il tempo finirono per servirsene come strumento di propaganda, promuovendo i nomi dei grandi scrittori come simboli dell’orgoglio nazionale. La storia delle edizioni postume delle opere di Dostoevskij nei trent’anni successivi alla sua morte dimostra l’eterogeneità e la contraddittorietà delle forze coinvolte in questo processo, che qui seguì piuttosto il percorso inverso: se all’inizio infatti il governo zarista tentò di promuovere un’immagine di Dostoevskij come ‘scrittore conservatore e patriottico,’ con il tempo la diffusione editoriale delle sue opere favorì l’insorgere di ‘nuove versioni’ di Dostoevskij che non si allineavano con quella ufficiale. Nella temperie dei grandi mutamenti politici, sociali ed economici che investirono la Russia alla vigilia della rivoluzione del 1917, ebbe luogo un processo di ‘risemantizzazione’ dell’opera di Dostoevskij che schiuse la via a nuove categorie interpretative. L’evoluzione dell’immagine di Dostoevskij nel trentennio successivo alla morte deve essere letta dunque nel contesto di una negoziazione tra diverse forze sociali che spinsero sia dal basso che dall’alto per far prevalere la propria personale lettura dell’opera dostoevskiana, ponendo l’accento ora su alcuni, ora su altri aspetti del suo retaggio.
Raffaella Vassena è Professore Associato di Letteratura russa presso il Dipartimento di lingue e letterature straniere dell’Università degli Studi di Milano