
Nel libro, Lei scandaglia tre millenni di civiltà, fermandosi tutte le volte che si è imbattuto in un re, una regina, un autocrate o uno statista segnati in qualche modo dal demone letterario: quali sono le figure più significative, da questo punto di vista?
Ho provato a ricostruire le biblioteche dei personaggi del libro, cercando sempre di immaginare come certe letture abbiano potuto influenzarne le azioni politiche sia all’interno che sul piano internazionale. Ho scelto luoghi, situazioni e frangenti storici che mi erano in qualche modo familiari, per averli studiati in passato, e personaggi dei quali in oltre trent’anni di missioni diplomatiche all’estero avevo in qualche modo incrociato le storie. E così mi sono reso conto di come Assurbanipal, Alessandro ed Augusto abbiano cercato di modellare le loro imprese su quelle di Gilgameš, Achille ed Enea; come la letteratura filosofica greca e quella giudaico-cristiana abbiano ispirato rispettivamente Marco Aurelio e Costantino; come il califfo Omar sia giunto a Gerusalemme obbedendo al Corano e come i califfi dopo di lui abbiano sviluppato la passione per gli atlanti geografici; come Carlo Magno abbia accettato di farsi incoronare dal papa dopo aver letto La città di Dio di Sant’Agostino e la Vulgata di San Girolamo; come Lorenzo il Magnifico abbia scoperto l’arte di governare mischiando il volgare alto di Petrarca con quello basso di Pulci; come Richelieu abbia saputo per sempre chi era studiando i classici latini e facendo l’editore del re; come Voltaire e Diderot abbiano illuminato i pensieri di Caterina di Russia; come Napoleone si sia inventato le biblioteche da campo per non allontanarsi mai dai suoi libri; come la politica di Bismarck e Cavour sia costellata di momenti letterari; come ai romanzi di Dickens, Eliot o delle sorelle Brontë, la regina Vittoria abbia preferito quelli di Disraeli; come Lenin sia diventato comunista leggendo Chernyshevsky; come Mussolini abbia rubato da Nietzsche e D’Annunzio; come Hitler si sia riconosciuto nel Rienzi di Wagner; come Churchill abbia sconfitto i nazisti con i versi di Macauley; come Spinelli abbia riconciliato Lenin, Lutero e san Paolo con i federalisti inglesi; come De Gasperi abbia intravisto l’unità dell’Europa nel Vangelo di Giovanni, nel Paradiso di Dante, nella Provvidenza di Manzoni…
Sempre nel libro, Lei denuncia l’affermarsi di un modello che ripudia la profondità del sapere, quello digitale, che sta cambiando per l’ennesima volta il mondo, incluso quello dei libri e della politica: in che misura la letteratura continua a influenzare l’arte di governare?
È una domanda inevitabile, cui ho dedicato l’ultima parte del libro. E dico subito che la mia impressione è che letteratura e arte di governo continuino a essere in qualche modo legati a filo doppio, anche se è del tutto evidente che oggi non si legge più come si leggeva una volta e che le leadership planetarie abbiano perso dimestichezza con quella che Kissinger chiama deep literacy ovvero “alfabetizzazione profonda”. Anche le leadership, come tutti, confondono sempre più la conoscenza con l’informazione, visto che il computer permette di richiamare all’istante un’infinità di dati ma non ci permette di decifrarne il significato profondo; e soprattutto hanno perso l’abitudine a formulare concetti e la capacità di immergersi nel passato per provare a profetizzare il futuro. Ciononostante non mancano esempi di leader contemporanei che ragionano di politica a partire dai libri. Ho già citato Putin (perché la letteratura non è sempre salvifica, anzi…). Ma potrei citare l’esempio di papa Francesco, la cui enciclica Laudato si’ richiama immediatamente una certa tradizione letteraria, o quello di Obama, abituato a ragionare di altri mondi possibili anche attraverso certi autori di fantascienza. Sia Francesco che Obama provano dunque a ragionare in termini strategici sul futuro del mondo, tramite la letteratura, ma il discorso non finisce certo con loro. Basti pensare a come i contenuti letterari siano usciti dai libri e abbiano invaso le serie tv, a partire da quelle americane, infarcite di autori ottocentenschi; o alle potenzialità inesauribili dell’epica, dato che come sosteneva Borges l’essere umano non riesce a fare a meno del racconto; oppure al fatto che il digitale consente un rapporto del tutto nuovo tra parola scritta e immagine, da cui potrebbe scaturire qualcosa di veramente grande; o a cosa succederebbe se la letteratura potesse aiutare le leadership a porre al centro della politica non tanto l’umano, come facciamo da secoli, ma il non-umano, con cui va al più presto ricreata l’antica alleanza se vogliamo davvero salvare il pianeta. Insomma, per tornare da dove siamo partiti, l’idea che la letteratura possa continuare a essere il motore del mondo, anche più della geopolitica, non è soltanto una cosa bella da pensare o da scrivere: è molto, ma molto di più.
Fernando Gentilini, diplomatico di carriera, vive e lavora a Bruxelles per il servizio diplomatico europeo ed ha un’esperienza più che ventennale in gestione di crisi internazionali, affari europei e multilaterali. È stato anche direttore del Servizio diplomatico europeo per i Balcani occidentali e la Turchia, Rappresentante speciale dell’Ue in Kosovo e per il processo di pace israelo-palestinese, inviato della Nato in Afghanistan. Dal 2018, direttore generale per il Medio Oriente e il Nord Africa del Servizio diplomatico europeo di Bruxelles, dal luglio del 2022 si occupa della creazione di un’Accademia diplomatica europea. Ha pubblicato In Etiopia (1999), Infiniti Balcani (2007, premi Cesare Pavese e Capalbio), Libero a Kabul (2011), Tre volte a Gerusalemme (2020, premio Gambrinus). Collabora con le pagine culturali de «la Repubblica».