“Storia della canzone italiana” di Felice Liperi

Storia della canzone italiana, Felice LiperiStoria della canzone italiana
di Felice Liperi
Rai Libri

«Perché una storia della canzone? Qualche tempo fa Nicola Piovani ha scritto: «La canzone è una forma di espressione artistica altissima e insidiosa, insidiosa perché, vivendo fra di noi calata nella nostra quotidianità, molto spesso scavalca il giudizio critico per insidiarsi nel nostro cuore e nella nostra memoria a prescindere dalle sue qualità estetiche». È vero, proprio questa “familiarità” rende complicato l’approccio critico e storico a questa arte popolare, perché coinvolge dimensione emotiva e musicale. Ciò non significa che questa lettura storica non sia urgente, motivata da una assenza di nuove ricerche e dal fascino che sprigiona questo messaggio così effimero e impalpabile della fantasia umana. Invece accade che pure ai soggetti più interni al mondo della canzone sfugga gran parte della magia che emerge da questa sintesi di suoni, emozioni. […]

La risposta a queste difficoltà non può che essere quella di riconoscere alla canzone il peso e il ruolo di arte popolare, da salvaguardare quando lo merita da un punto di vista qualitativo o da ricordare nel caso in cui essa si proponga semplicemente come testimonianza di momenti culturali importanti per la storia e il costume del nostro paese.

Proprio alla luce di tali considerazioni, questa Storia della canzone intende far recuperare alla più “leggera” delle nostre arti il ruolo che le compete, offrendo riferimenti storici culturali per riportare alla luce memorie dimenticate e magari cercando di valorizzare, o ridimensionare, il peso di alcuni passaggi dell’avventura canora italiana. […]

C’è poi un’altra ragione più “sentimentale” che giustifica la presunzione di scrivere una Storia della canzone italiana, una ragione già ricordata da Piovani e legata all’aspetto più affascinante di questa “leggera arte popolare”, cioè alla sua straordinaria capacità di emozionarci evocando o proponendo ricordi, suoni, motivi. Perché in fondo Sparring partner, Amarsi un po’, Tu musica divina, insieme a molte altre ancora, sono splendide melodie in sé che ci ammaliano e seducono, per questo meritano di uscire dalla “livella” del semplice consumo quotidiano. Un semplice ragionamento che talvolta viene dimenticato; il presente lavoro vuole cercare quindi di ricordare quanto qualitativamente importante sia il “catalogo” della nostra canzone e come si sia mantenuto vivo e intenso nel corso della recente storia del nostro paese.

Quando si parla di canzone è probabile che il pensiero vada alla produzione di alcuni famosi autori come Dalla, De Gregori, Modugno oppure a immagini del Festival di Sanremo, o ancora al lavoro di grandi interpreti e autori come Frank Sinatra, Celine Dion o i Beatles perché la fruizione della musica, che avviene soprattutto attraverso i grandi mezzi di comunicazione radiotelevisivi e della realtà informatica, propone all’ascolto un grande e indistinto repertorio internazionale costituito da brani molto popolari. Per questa ragione oggi è difficile recuperare le differenze che permettono di distinguere fra stili e strutture dei componimenti musicali, come invece accade negli altri campi della musica. Nessuno, infatti, neanche la persona più sprovveduta, confonderebbe un pezzo d’opera con una composizione da camera, mentre in questa fine Novecento una canzone di Eros Ramazzotti non è poi così lontana da quelle di Celine Dion, perché stili e forme si confondono. Anzi si può affermare che oggi ci troviamo di fronte a una sorta di “globalizzazione della canzone”, cioè a una nuova dimensione linguistica canora determinata dalla spinta di un insieme di elementi che pescano nel jazz, nel pop e nel neo-localismo folk degli anni Novanta. D’altro canto è difficile immaginare oggi una lingua “pura” in un villaggio globale che proprio nell’ibridità dei messaggi trova la sua comunicazione più coerente e moderna. Uno degli scopi di questa ricerca è recuperare proprio eventuali differenze per capire che cosa è stata e cosa è diventata la nostra canzone, qual è, se esiste, la sua vera identità e quali i suoi stili. E se da un lato diventa problema centrale la verifica di questioni inerenti all’origine della canzone, nel terreno della tradizione popolare si dovrà, per esempio, dare particolare attenzione anche alle ragioni per le quali la canzone, nel corso soprattutto del secondo dopoguerra, ha subìto un forte processo di assimilazione di generi e stili provenienti da aree non italiane. Processo che ha vissuto i suoi momenti più forti negli anni Venti-Trenta, quando la diffusione della canzone si è associata alla nascita della radio, e negli anni Cinquanta-Sessanta, quando invece è esploso in tutto il mondo il fenomeno del pop-rock: passaggi che hanno immensamente innalzato la popolarità della canzone fino a trasformarla in un mezzo di comunicazione di massa in tutto il pianeta.

Ma vi è anche un’altra questione più inerente allo stile della canzone che motiva la nostra ricerca, quella che riguarda la perdita di memoria avvenuta nei confronti di una forma melodica ben riconoscibile che è stata invece sempre al centro della nostra tradizione canora nazional-popolare. Crediamo cioè che abbia una certa importanza capire come si sono persi i fili che legavano la forma classica della canzone alla cultura italiana di oggi – anche se i successi di Andrea Bocelli e degli Avion Travel dimostrano come questi fili non si siano persi – e come invece in altri paesi questi legami si mantengano molto vivi e salvaguardati. Basta pensare alla Spagna con il flamenco, alla Francia con la chanson, all’Argentina con il tango, al Portogallo con il fado, all’Irlanda con il folk gaelico e a quanto questi generi di canto e ritmi “nazionali” contribuiscano tuttora a rinnovare il repertorio canoro dei loro paesi in quanto parte integrante e viva della memoria nazionale e non semplice reperto di archeologia musicale. Eppure nessun’altra realtà come l’Italia può vantare un “archivio” altrettanto ricco di canzoni di altissima qualità melodica su ambiti stilistici anche molto diversi fra loro; cionondimeno, a differenza delle nazioni citate, eccezion fatta per le “confezioni” iper consumistiche proposte da “famosi” artisti, sono quasi assenti gli interpreti che si dedicano alla rilettura del grande repertorio della canzone classica e napoletana. Se infatti sono decine, per non dire centinaia, i grandi interpreti che negli Stati Uniti periodicamente ripropongono i grandi classici del repertorio di Tin Pan Alley, dei Porter, di Kern, di Gershwin, ma anche della tradizione folk e afroamericana, e lo stesso avviene in Francia e Spagna, si contano sulle dita di una mano omologhi interpreti presenti nel nostro paese: Mina, Milva, Bocelli, da poco anche Franco Battiato. Chi si cimenta oggi con il grande repertorio napoletano o con la canzone di D’Anzi e Bracchi, di Bixio e Kramer? Nessuno o quasi. Mentre tutta l’attenzione è dedicata alla memoria recente della canzone d’autore, ai Dalla, De Gregori, Conte, perché dotata di una “contemporaneità” che garantisce immediata fruibilità.

Anche per le ragioni appena esposte abbiamo cercato di porre il più indietro possibile nel tempo i confini – il 1200 – da cui partire per questa ricognizione sulla canzone italiana, consci che per i documenti più lontani si tratta di frammenti e reminiscenze di memorie trapassate, ma forse utili a ricostruire il percorso che da quelle origini porta ai giorni nostri. Era però anche una scelta obbligata dal fatto che altri prestigiosi studiosi ci hanno preceduto sulla stessa strada con approfondite ricerche. Era quindi logico tentare di spingere più in là l’osservazione, per fornire nuovi spunti e informazioni agli eventuali interessati.

Proprio per indicare nuovi terreni di lettura, questa ricerca ha cercato di dare particolare attenzione al lavoro dei protagonisti, siano essi gli autori del grande catalogo della canzone (Bixio, D’Anzi, Kramer, Modugno, Battisti, Conte, Fossati, ecc.) o gli interpreti. Anzi, a proposito dell’esperienza di questi ultimi si è cercato di confrontare l’epoca in cui l’interprete era il padrone della scena – grazie alla voce o alla strategia promozionale messa in atto dal direttore d’orchestra – con quella di oggi, in cui ci troviamo di fronte a un curioso paradosso che vede per un verso moltiplicarsi interpreti sempre più condizionati dalle nuove tecnologie e dal mercato, per l’altro registrare il trionfo delle voci “neo-melodiche” di Laura Pausini e Andrea Bocelli. Una tendenza che è la testimonianza più chiara, e positiva, della internazionalizzazione della nostra canzone in cui si può inserire anche l’“anomalia” d’autore di Paolo Conte, divo di culto in molti paesi del mondo.

Da questo punto di vista diventa centrale la considerazione della canzone anche sul piano della sua evoluzione linguistica e formale per comprendere le modalità che sovraintendono alla sua produzione e circolazione come medium. Si scopre così che la canzone italiana nel corso della sua storia ha vissuto momenti molto diversi di stile e impostazione, vere e proprie fasi distinte, da quella in cui dominava la romanza – durata fino ai primi del Novecento – in cui era essenziale utilizzare per le liriche precisi limiti metrici, a una successiva in cui le languidezze poetiche si sono sposate con la produzione dei primi autori. Poi, con la rivoluzione di Modugno, il terreno ritmico e musicale è stato supportato da un linguaggio più vicino ai sentimenti reali e al parlato, una linea formale che ha trionfato con la canzone d’autore dei primi anni Sessanta. Se poi escludiamo la presenza negli anni successivi di una canzone “sanremese” sempre più irreale sul piano linguistico, le novità più interessanti sono arrivate nella fase più recente dove il “parlato” degli autori, sulla spinta del rap e della canzone neodialettale, è diventato sintesi ritmica di parole e musica.

Proprio il grande revival del folk e della musica etnica, con forme comunque molto diverse da quello avvenuto alla fine degli anni Sessanta, è sotto il profilo stilistico uno dei fatti più interessanti avvenuti nel mondo della nuova canzone italiana. E se il recupero di forme e stili provenienti dalla tradizione popolare nella maggior parte dei casi è avvenuto come ibridazione con elementi tipici della modernità musicale (elettronica, rap, rock), il nuovo revival del folk ha messo in crisi anche il tentativo della critica musicale italiana di lanciare una nuova definizione per la musica “leggera”. Com’è noto, infatti, da più parti si contestava questa definizione in quanto eccessivamente svalorizzante per la canzone, anche perché non si comprendeva a quale musica più “pesante” si sarebbe dovuto contrapporla. La scelta di molti critici di adottare la definizione di musica popolare in sostituzione di leggera – su imitazione della critica anglosassone che definisce musica pop(olare) la canzone e il rock più limitrofo alla dimensione melodica – si scontra con il fatto che il revival della musica folk ha visto rilanciare con forza il termine musica popolare per indicare, come già in passato, il folk e la musica etnica. La confusione che ne è seguita ci ha spinto ad adottare per questa ricerca termini più specialistici per definire i vari settori della musica: oltre a rock, jazz, classica, ecc., il folk (inteso come canzone ispirata dalla musica di tradizione popolare), la musica etnica (cioè il suono originato dalle culture musicali delle etnie), il pop (la canzone moderna), lasciando “salomonicamente” il termine musica leggera fra virgolette ed evitando di usare il termine popolare per indicare la canzone, perché appunto passibile di una certa confusione terminologica. Infatti se fino a qualche anno fa si considerava musica popolare l’espressione musicale delle classi proletarie e contadine, oggi che le classi sociali hanno un profilo molto più sfuggente, questa definizione non è più valida, anche perché, come dimostra il successo della musica rock e del rap, il terreno popolare spesso si confonde con quello di massa.

D’altra parte una questione altrettanto complicata sorge anche quando ci si muove sull’analisi della struttura formale della canzone indagando in particolare sullo sviluppo moderno della melodia. Fino a quando la canzone aveva una struttura ben identificabile: per strofe (ballata) o per l’alternarsi di una parte narrativa al ritornello (canzone a ritornello) anche la sua definizione era più semplice; da quando essa si è fortemente imparentata con la musica internazionale, anche la sua struttura è diventata più ibrida sul piano formale e ritmico. È per questa ragione che è stata adottata la definizione di pop, proprio per intendere la canzone moderna che nel suo sviluppo formale utilizza elementi provenienti dal rock, dal jazz, dal folk, dalla canzone melodica.»

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