
di Mirko Daniel Garasic
Luiss University Press
«Il Leviatano di Hobbes è uno dei testi più rivoluzionari della filosofia politica, in quanto capace di sottolineare con assoluta chiarezza il contributo che ogni cittadino-sovrano possa (e debba) dare alla propria comunità e al proprio Stato, oltre che delineare le rinunce necessarie per assicurare che il sovrano sia in grado di mantenere il suo potere e, di conseguenza, l’ordine vitale al funzionamento del sistema. Tutto questo in un’ottica pessimistica che coinvolge tanto lo stato di natura, poiché immagina uno stato di guerra perenne, quanto la considerazione dei cittadini, incapaci di essere davvero liberi per via di una paura costante nei riguardi del prossimo.
Questo libro non può avere la pretesa di accostarsi a un lavoro così geniale e innovativo, né vuole necessariamente sposare le tesi di Hobbes sulla condizione e sulla natura umana. Si prefissa invece l’obiettivo di estendere l’analisi […] al mondo digitale, all’intelligenza artificiale e alle neuroscienze. Si tratta, per alcuni versi, di mondi nuovi che si rifanno però, ed è questa è la tesi del libro, a dinamiche di potere non necessariamente nuove. Attraverso questa analisi si cercherà di capire se, di fatto, il Leviatano si è già impadronito delle nuove tecnologie e, nel caso, perché gli è stato permesso.
L’avvento della rivoluzione digitale porta con sé sin dall’inizio un messaggio di valorizzazione dell’autonomia e delle opportunità dell’individuo, ormai completamente libero di interfacciarsi con contesti, realtà, paesi e persone ben al di là dei suoi limiti fisici e geopolitici. Ma se da una parte questo è vero, dall’altra è innegabile che una buona fetta di ciò che fino a ieri vedevamo come direttamente rappresentativo della nostra libertà e autonomia (per esempio la famosa privacy) è rapidamente scomparso negli ultimi anni proprio grazie all’invasione delle tecnologie nella vita privata. […]
Per questa ragione l’analisi dell’uso politico delle tecnologie non si può fermare solo al rapporto che gli individui hanno con l’autorità in senso generico. Le dinamiche elettorali degli ultimi anni hanno evidenziato il forte impatto che la rete può avere sulla rapida ascesa (e spesso altrettanto rapida scomparsa) di soggetti politici improbabili, beneficiari di un supporto tecnico legato alla visibilità conquistata grazie alla conoscenza delle regole alla base di Facebook, Twitter e altre piattaforme in continua evoluzione ed espansione. Gli algoritmi capaci di estrarre informazioni sulla personalità dell’utente diventano quindi elementi determinanti per la categorizzazione dei potenziali elettori e, al tempo stesso, fattori decisivi per la vittoria elettorale.
Questo libro si sviluppa in modo da integrare gradualmente l’analisi delle tecnologie in maniera “neutra”, incentrata quindi su valutazioni oggettive di impatto e uso delle stesse, con la presa di coscienza di come questi cambiamenti sistematici abbiano finito per modificare il modo di relazionarsi con gli altri (la polis) e con sé stessi.
Nel primo capitolo vengono analizzate le ideologie classiche alle quali la politica moderna fa, o ha fatto, riferimento, per poi confrontarle con le varie declinazioni venute alla luce negli ultimi anni. Spesso queste ultime si fondono con definizioni utilizzate in contesti diversi dalla politica – per esempio come nel caso della “politica quantistica”, dove è evidente il legame con la fisica – e questo aspetto viene analizzato con l’intenzione di comprendere l’effettivo valore aggiunto di queste ricercate crasi. La convinzione che una nuova terminologia possa aiutare a districarci in questi territori originali è tale che viene introdotta la nozione di “algorpolitica” – una politica non solo in grado di utilizzare gli algoritmi per leggere, filtrare e riutilizzare i dati degli stessi elettori, ma anche strutturata e concettualizzata in funzione di una società dove il vero governante – il Leviatano – è proprio l’algoritmo.
Nel secondo capitolo si passa da una discussione più generale sugli algoritmi e sulla tecnologia ad applicazioni più specifiche come robot, droni, il 5G, Internet of Things, la Blockchain e l’impatto, enorme, che queste rivoluzionarie tecnologie stanno avendo e avranno sulle dinamiche lavorative (e non solo) a livello politico, etico e antropologico. Quali sono le opportunità uniche dell’Internet delle Cose? E quali sono gli aspetti politici da considerare nella creazione di una rete di copertura a banda larga che ne permetta l’effettivo utilizzo? La capacità di permettere agli oggetti di “parlare” tra loro senza il bisogno di essere nel mezzo e fare da interpreti rappresenta una velocizzazione di tantissime operazioni e facilita la tracciabilità degli spostamenti di merci e persone. Questo è tanto funzionale quanto distopico e va quindi ponderato valutando bene il passaggio epocale da intraprendere, soprattutto alla luce di recenti deviazioni di altre nostre “creature” teoricamente incapaci o legalmente interdette dal causare del male fisico.
Il terzo capitolo prende in considerazione da vicino varie polis globali, città intelligenti che vanno dalla Corea del Sud alla Germania e che vengono viste come esempi virtuosi di democrazia diretta, di attivismo tecnologico in grado di ridurre sostanzialmente le emissioni di gas da parte di veicoli privati e di utilizzo del 5G anche come strumento salvavita (specialmente quando connesso a situazioni di emergenza medica). A tutti questi affascinanti sviluppi fanno da contraltare vari tipi di preoccupazioni legate a questa maniera di concepire e sviluppare le città e la vita politica e sociale. Innanzitutto la nostra privacy sembra destinata a essere annientata una volta per tutte, e questo può certamente preoccupare specialmente se si immagina un futuro distopico nel quale le informazioni riguardanti le nostre vite fossero nelle mani di un dittatore non troppo benevolo. Questo nuovo tipo di città può anche far emergere con forza il divario digitale (già immenso nel nostro Paese) che in un futuro non troppo lontano finirà per far vivere (anche politicamente) in maniera completamente diversa la propria cittadinanza – intesa qui come appartenenza a una certa nazione – a individui residenti in città o in campagna, creando così non solo le condizioni per una crescente discriminazione, ma anche nuove crepe nell’identità nazionale che potrebbero portare verso scenari imprevedibili. Il concetto di discriminazione viene poi ripreso nell’ultima parte del capitolo, dove si cercherà di sottolineare l’importanza di tenere a mente quanto la tecnologia non sia neutra nei suoi pregiudizi e quanto lavoro sia ancora necessario per ricalibrare gli algoritmi verso una lettura del mondo meno razzista, più giusta e meno strutturalmente divisiva.
La relazione tra corpo, tecnologia e politica è al centro del quarto capitolo. L’utilizzo di esoscheletri e altri potenziatori fisici o cognitivi, meccanici o chimici, interni o esterni al nostro corpo, sta diventando sempre più comune. Al momento, l’adagio è quello di farlo per motivi di prevenzione dei danni, ma l’idea di passare dal poter usarli al doverlo fare non sembra molto lontana da altre dinamiche lavorative – come la riduzione del tempo della pausa pranzo per esempio – che butterebbero alle ortiche molti dei diritti dei lavoratori guadagnati con durissime battaglie nei secoli scorsi. I rischi di invasione della privacy e di trasformarsi in cavie ignare di progetti biomedici vanno però bilanciati con le enormi opportunità che la medicina può darci. Interfacce tra cervello e computer possono già permettere a persone con vari tipi di disabilità di beneficiare di progressi impensabili fino a pochi anni fa (dal recuperare parzialmente la vista al muovere un arto meccanico con il pensiero) e quindi progetti come “Neuralink” di Elon Musk rappresentano un’opportunità da non respingere pregiudizialmente solo come negativa, ma vanno supervisionati eticamente e politicamente perché, come vedremo, la tentazione da parte di compagnie private di ricercare profitto dal nostro cervello è grande.
Nell’ultimo capitolo, infine, si prendono in considerazione più da vicino i nuovi diritti (e doveri?) che la nostra società deve prendere in considerazione in maniera seria e chiara, dato che la possibilità di poter leggere il pensiero di qualcuno senza il suo consenso sta diventando ogni giorno una possibilità più concreta. Come ci dovremmo comportare al riguardo? Come per ogni altra tecnologia, il solo legiferare non è sufficiente per garantire un’efficace salvaguardia: come adattarci allora a questa ennesima rivoluzione dei nostri diritti? Dopo la fine della privacy online, dobbiamo rassegnarci a vedere la fine della privacy anche offline? Del resto, come ci dice Luciano Floridi, la distinzione è ormai obsoleta e inutile: viviamo nell’onlife dove, forse l’unica speranza è di essere protetti dagli hacker con i cappelli bianchi. Gli hacker “buoni”. Quanto questo possa effettivamente poi durare, è da vedere.»