
di Peter Schäfer
traduzione di Federico Dal Bo
Paideia
«I passi inerenti a Gesù nella letteratura rabbinica, soprattutto nel Talmud babilonese, sono un pittoresco caleidoscopio di diversi frammenti – spesso liquidati come invenzioni – della vita, degli insegnamenti e non in ultimo della morte di Gesù. Non si presentano come racconti autonomi e coerenti, ma sono dispersi per tutto l’enorme corpus della letteratura lasciata dai rabbi e, quel che è peggio, soltanto molto di rado si occupano esplicitamente di Gesù, l’oggetto della nostra indagine.
In molti casi i rabbi discutono di argomenti che non hanno a che vedere con Gesù e la sua vita. Gesù viene menzionato solo di passaggio, come particolare (minore) di questioni altrimenti diverse e più importanti, oppure lui e il suo gruppo sono attentamente dissimulati dietro codici che richiedono d’essere decifrati. La lettura ravvicinata dei testi pertinenti conduce a una serie di risultati che è possibile riassumere e situare nel loro contesto appropriato.
Anzitutto è da sottolineare nuovamente che i testi presi in esame, nonostante si presentino in modo confuso e frammentario, non possono essere scartati come sciocchezze, assolute invenzioni, fantasie di qualche vago rabbi che non sapeva o nulla voleva sapere della setta cristiana e del suo eroe. Si può propendere per un tale e affrettato giudizio – e nella realtà lo si è fatto fin troppo spesso – soltanto sulla base di un criterio
sbagliato, ossia se si fanno passare al setaccio i racconti rabbinici alla ricerca di qualche frammento di storicità, alla ricerca della verità storica che si nasconderebbe sotto le macerie e gli scarti di informazioni andate perse o che sono state fraintese.
Più volte ho affermato che un tale modo di procedere non conduce a molto (per non dire a nulla), ma che è semplicemente la domanda sbagliata rivolta ai testi sbagliati. I testi rabbinici che qui interessano non conservano – né intendono conservare – informazioni storiche su Gesù e il cristianesimo che possano essere paragonate al Nuovo Testamento e che gettino nuova (e diversa) luce sulla narrazione neotestamentaria. Un atteggiamento tanto semplicistico – che domina la parte preponderante, se non tutta, della letteratura specialistica sull’argomento, pur in gradi diversi e con risultati diversi – dovrebbe essere evitato una volta per tutte. Lo stesso vale per il tentativo positivista di riscoprire e giustificare i testi rabbinici come fonti storicamente attendibili sulla vita di Gesù (è la posizione di Travers Herford, suo esponente più eminente), come per il tentativo non meno positivista di provare l’opposto e quindi di concludere che i racconti rabbinici non hanno alcun valore e in molti casi neppure si riferiscono a Gesù (è la posizione di Johann Maier, suo maggior fautore) – nessuna delle due posizioni porta molto lontano e riesce a non essere che l’esercizio vacuo di una sterile erudizione specialistica.
Entrambe le prospettive fraintendono la natura letteraria sia del Nuovo Testamento sia delle fonti rabbiniche e sottovalutano la capacità di discernimento dei loro autori. Nella parte preponderante della ricerca neotestamentaria (fatta eccezione per le frange fondamentaliste ed evangeliche) si è da tempo riconosciuto che il Nuovo Testamento è tutt’altro che il resoconto di «meri» fatti storici, di ciò che è accaduto «realmente» – ma ciò ovviamente non significa che quanto viene raccontato sia pura invenzione. Si è piuttosto davanti alla rinarrazione di «ciò che è accaduto» in modi peculiari, o per essere più precisi in modi alquanto diversi a seconda dei diversi autori. Fra molti degli studiosi di giudaismo rabbinico si è parimenti riconosciuto che lo stesso vale per la letteratura rabbinica, nel senso che i rabbi non erano particolarmente interessati a «ciò che è accaduto» – una simile prospettiva storicistica e positivistica si è guadagnata il giudizio sprezzante maj
de-hawa hawa («ciò che è stato è stato») –, ma raccontano la storia a modo loro; non si è quindi davanti a invenzione ma alla loro interpretazione di «che cosa è accaduto» nei modi loro peculiari e altamente stravaganti.
Questo è appunto ciò che accade nei racconti rabbinici qui in esame, inerenti a Gesù e alla setta cristiana. Questi racconti sono una rinarrazione meditata e attentamente calibrata – non di ciò che «è effettivamente accaduto» ma di quanto è giunto ai rabbi o ne ha attirato l’attenzione. La loro fonte non è qualche informazione isolata su Gesù, la sua vita e i suoi discepoli, pervenuta loro per chissà quali canali segreti, quanto piuttosto […] è il Nuovo Testamento (quasi esclusivamente i quattro vangeli) come lo conosciamo o in una forma analoga a quella odierna. Le storie rabbiniche in molti casi sono dunque la rielaborazione della narrazione neotestamentaria, una risposta letteraria a testi letterari.»