
Questo perché non se ne comprende a fondo il profitto. Ritorniamo così al discorso iniziale: l’intelligenza emozionale non va più sottovalutata poiché ha un valore pragmatico, non solo da un punto di vista morale e collettivo (poiché consente di provare compassione e crea una società serena), ma anche da un punto di vista privato. Un individuo con una sana emotività, infatti, integrato in una comunità pacifica ed equilibrata, avrà delle capacità di apprendimento maggiori e un rendimento scolastico superiore.
Il nostro intento quindi è di far in modo che queste recenti scoperte valichino il confine delle Università e dei laboratori di ricerca e inizino a diffondersi, perché vantaggiose, in un ambito che pensiamo possa beneficiarne molto, ossia la scuola e le famiglie, poiché qualsivoglia pedagogista, insegnante o genitore non può prescindere da queste conoscenze se aspira a un apprendimento più costruttivo, più completo e anche più sereno per i bambini e i giovani.
Come è possibile potenziare empatia e intelligenza emotiva?
L’idea del libro nasce da un episodio accaduto a scuola. Un ragazzino, con un vissuto violento alle spalle ma senza bisogni educativi speciali, durante una lettura in classe ha dato segni di squilibrio, iniziando a inveire contro l’antologia e contro i personaggi immaginari del racconto. Si era immedesimato a tal punto col protagonista da stare male. Com’è potuto accadere? Si può provare tale empatia nei confronti di un personaggio di finzione? E se la lettura può avere una forza emotiva così dirompente è possibile servirsene per fini emotivamente educativi?
Per una risposta adeguata a queste domande rimando naturalmente alla lettura del libro. In sintesi posso dire che la questione dell’empatia è controversa, si parla anche di “geni dell’empatia” e quindi di una certa predisposizione al pieno sviluppo o meno della stessa. Ci sono poi molti fattori che possono ridurla (stress, traumi, il potere decisionale) o aumentarla. Il campo di studio è vasto e oggetto di molteplici ricerche della psicologia sociale nei più svariati ambiti (cinema, musica, sport, ambienti naturali, scuola, relazione parentale). Noi ci siamo soffermati principalmente solo su uno dei temi che ha interessato i ricercatori: esiste una relazione tra queste abilità sociali e le discipline umanistiche? La risposta è sorprendente e ci viene dalle neuroscienze: la lettura di racconti, romanzi, fiabe e quindi di fiction narrativa (non saggistica), grazie alla sua capacità di farci vivere l’esperienza dei personaggi in prima persona, produce benefici cognitivi ed emotivi unici, quali il potenziamento della capacità di provare empatia, autoregolazione emotiva, migliore comprensione delle relazioni sociali, sviluppo della Teoria della Mente (la capacità di comprendere cosa sta pensando e provando l’altro) e non solo, è un ottimo strumento per migliorare anche competenze scientifiche, come la capacità di calcolo.
Che ruolo svolge quindi la lettura per lo sviluppo delle abilità cognitive e sociali?
La lettura ha un influsso potente sui nostri processi cognitivi, prima di tutto perché il nostro cervello non è fatto per leggere. È solo grazie alla nostra plasticità neuronale che siamo stati in grado di inventare la scrittura e che siamo in grado di convertire il nostro cervello creatore di immagini in un cervello lettore. È proprio per questo che, nel momento in cui riusciamo a decodificare ciò che leggiamo, trasformiamo poi le parole in immagini, ricreando una sequenza visiva di quello che il testo ci sta raccontando. Il nostro cervello lavorerà quindi di più rispetto alla semplice visione di un film, poiché sarà lui stesso a produrre la sequenza visiva. Inoltre, attraverso il testo scritto, è possibile immettere molti particolari, di cui la nostra memoria deve tenere traccia per la comprensione di ciò che seguirà. La memoria viene così messa a dura prova nel tentativo di ricordare tutto, anche perché nella narrazione se un elemento appare sarà quasi sicuramente funzionale alla trama. Come sembra abbia detto Čechov, “Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari”.
Risulta evidente allora che, oltre alle abilità sociali elencate nella precedente domanda, sono fortemente sollecitate anche quelle cognitive quali: memoria, comprensione del testo, capacità logiche, aumento della connettività neuronale.
Se qualcheduno tra i lettori si sta chiedendo come mai allora il proprio professore di letteratura del liceo o dell’Università fosse così poco empatico, una risposta c’è ed è importante soffermarcisi poiché dovrebbe condizionare anche l’organizzazione del programma scolastico di una classe. Non è infatti sufficiente il semplice atto del leggere, bisogna saper insegnare cosa leggere e come leggere. Ci sono diversi presupposti che devono essere presi in considerazione. Il più importante è che la lettura a cui aspiriamo non è una lettura superficiale e veloce (quale può essere quella di un breve articolo di giornale o di un post su Facebook) ma piuttosto è un tipo di lettura lenta, intensa, capace di coinvolgere totalmente e che viene chiamata “lettura profonda”. Una concentrazione che ci permette di entrare nel flusso del racconto e che ci consente di provare trasporto. Il trasporto è definito come «un processo convergente, in cui tutti i sistemi e le capacità mentali si concentrano sugli eventi che si verificano nella narrativa». Il lettore perde la cognizione del tempo, non interagisce con gli eventi che lo circondano e in alcuni casi potrebbe verificarsi una perdita di autocoscienza. Ed è proprio questo fantastico viaggio mentale che determina nel lettore dei cambiamenti personali, quasi come se si vivesse un’esperienza reale in una realtà parallela.
Chi dice poi che non sia davvero così?
Miriam Falco è docente di Lettere negli istituti di scuola secondaria. Nel 2019 è stata scelta per rappresentare la Facoltà di Filologia Moderna dell’Università degli Studi di Milano per il progetto “Genio e Impresa”. Si è in seguito laureata con una tesi che esplora il rapporto empatico tra lettore e personaggio. Da sempre attiva nell’ambito della sostenibilità ambientale, delle ONG e associazioni no profit, è stata per diversi anni capo-area di un giornale culturale milanese. Con Graphe edizioni ha pubblicato un saggio nel volume L’uomo e l’ecosistema: dal centro urbano alla sfida del rewilding (2019).