
Nell’economia della filosofia di Platone il Cratilo è certamente un testo chiave, che anticipa molte riflessioni contenute nei cosiddetti dialoghi dialettici e che intrattiene particolari legami filosofici con il Teeteto e il Sofista. Nel saggio introduttivo ho definito “trilogia del linguaggio” la triade Cratilo–Teeteto–Sofista: in Platone, questi tre dialoghi possono essere letti come un’unica Großschrift sul linguaggio, sulla percezione e sulla verità o falsità delle asserzioni, tutti temi che interessano non solo gli esperti di pensiero antico ma anche chi si interessa di filosofia contemporanea del linguaggio.
Quali temi affronta Platone nel Cratilo?
Il tema generale che occupa Platone nel Cratilo è – per stessa dichiarazione dei suoi protagonisti – “la correttezza dei nomi” (orthotēs onomatōn), un’espressione che richiama l’orthoepeia (la corretta dizione) dell’ambiente sofistico. L’espressione ha una pluralità di significati: in senso generale va intesa come “correttezza nella significazione” vale a dire nel riferimento semantico, come cioè un nome possa correttamente significare qualcosa o qualcuno. Nel corso dell’opera si va chiarendo in che senso Platone sia interessato a questo tema: è necessario che il filosofo possa fare affidamento sul linguaggio e sui nomi (in particolare i nomi comuni dei concetti, dei generi e delle specie, non i nomi propri di persona) per fare filosofia e in particolare per fare dialettica, e tuttavia è anche necessario che non ci si fermi solamente ai nomi, in quanto il logos è un fenomeno mimetico. Il linguaggio per Platone è mimesis, imitazione, un po’ come i dipinti del decimo libro della Repubblica, con una significativa differenza: mentre i dipinti imitano le cose nel loro aspetto fenomenico, i nomi imitano (significano) l’essenza delle cose, dei fatti del mondo. Il nome cioè, in particolare il sostantivo, ha un’intenzione ontologica: significa la sostanza, l’essere specifico di qualcosa.
Il Cratilo ha una struttura particolare: la “cornice dialettica” cioè la prima e la terza parte del dialogo, sezioni impegnate dagli argomenti contro Ermogene (contro il convenzionalismo radicale) e contro Cratilo (contro il naturalismo radicale che non ammette l’esistenza delle asserzioni false), racchiude la lunghissima sezione etimologica, dove Socrate pare ispirarsi ai poeti o ad altre autorità in fatto di etimologia, per scomporre e analizzare una mole infinita di nomi per verificare se sia possibile scoprire il significato corretto di una parola in base al suo etimo antico. In ordine, Socrate si dedica alle etimologie degli eroi, degli dei, dei fenomeni naturali e dei vizi/virtù. Questa lunghissima sezione è stata a lungo motivo di scetticismo nei confronti del dialogo, quantomeno nella moderna storiografia, mentre ha conosciuto grande fortuna nel Platonismo antico fino alle soglie del Medioevo.
In che modo Platone supera le posizioni di eleati e sofisti sul linguaggio come strumento di conoscenza?
Sofisti ed Eleati sono i target polemici di quasi tutta la produzione di Platone, ma nel Cratilo è chiarissima l’opposizione tra il convenzionalismo radicale di matrice protagorea e gorgiana e il naturalismo linguistico di derivazione eraclitea ed eleatica. Ermogene e Cratilo sono i due interlocutori di Socrate: sono giovani di ottima cultura ma profondamente diversi; Ermogene è fratellastro del ricchissimo Callia e conosce i sofisti, nonostante affermi di non sposare le tesi di Protagora, mentre Cratilo sembra ispirato da una curiosa forma di naturalismo linguistico radicale di derivazione eraclitea (ma anche, ed è una delle tesi che ho sostenuto nel mio saggio introduttivo, eleatica, nel senso che sarebbe influenzato dai paradossi di Zenone, il portavoce della filosofia parmenidea ad Atene). Platone intende confutare sia una forma radicale di convenzionalismo linguistico – secondo cui non solo non esiste alcun nome naturale e necessario, corretto e sempre vero, ma neppure un nome che abbia uno stabile riferimento semantico – e allo stesso tempo una forma radicale di naturalismo linguistico secondo cui, di converso, non esistono nomi falsi o scorretti, in quanto il nome è identico alla cosa nominata, essendone una definizione trasparente del significato. Entrambe le posizioni sono inaccettabili per Platone: da un lato, è inaccettabile il relativismo della conoscenza che è insito nel convenzionalismo radicale, una posizione che deriva dall’assunto di Protagora che “l’uomo è misura di tutte le cose” (una analoga confutazione è all’opera anche nel Teeteto), dall’altro, è inaccettabile che non esista alcuna distanza ontologica ed epistemologica tra il nome, ma anche, più in generale, il logos, e la cosa nominata. Da un lato dunque Platone avrebbe inteso confutare il mobilismo eracliteo e il relativismo di Protagora sul piano linguistico (e non solo gnoseologico come fa, di nuovo, nel Teeteto), dall’altro avrebbe inteso confutare – con tutte le sue energie – una posizione pericolosa per la filosofia e la dialettica, cioè l’idea che tutti i nomi e tutte le asserzioni sarebbero veri, una posizione che esclude di fatto la possibilità di dire il falso; quest’ultimo punto è cruciale per i legami che il Cratilo intrattiene con il Sofista, dove la critica alla filosofia eleatica si concentra proprio nel cosiddetto parricidio di Parmenide e nell’ammissione che il falso – il “non essere relativo” – esiste nella dimensione umana e soprattutto linguistica.
Quale riflessione sviluppa, sull’etimologia, il filosofo ateniese?
La sezione etimologica del Cratilo è un vero puzzle filosofico. È lunga ed estremamente complessa, sia sul piano del testo greco (tradurre cercando di far comprendere il meccanismo di scomposizione e derivazione dei termini al lettore, magari non versato in greco antico, è un’impresa ardua) sia per la sfida interpretativa che pone agli storici della filosofia. Socrate ricorre all’etimologia come metodo per valutare la correttezza dei nomi secondo l’ispirazione dei poeti: il maestro dice infatti esplicitamente ad Ermogene, nel dialogo, che non potendo frequentare costose lezioni dei sofisti dovranno rivolgersi a Omero, Esiodo e alle altre autorità poetiche. Ermogene è perplesso, dunque Socrate inizia la sua analisi etimologica con esempi presi dal mito e dall’epopea citando nomi di eroi e mostrando a Ermogene in che senso i loro nomi sarebbero “corretti” cioè “attribuiti in modo corretto” dai progenitori, dai genitori, o persino dalle divinità. Così ad esempio Ettore sarebbe hektor, “colui che regge saldamente”, e sarebbe un nome regale esattamente come quello di suo figlio Astianatte che è asty-anax, letteralmente “signore della rocca (di Troia)”, poiché asty significa rocca, castello, e anax è termine arcaico per indicare capo, re. Socrate non si ispira solo a Omero ed Esiodo (i mostri sacri della paideia greca classica), ma si richiama anche ad altre autorità etimologiche come i sofisti, gli allievi di Anassagora o Anassagora medesimo, e anonimi esperti di astronomia e scienza.
Se la digressione durasse poche pagine Stephanus non desterebbe particolare sconcerto: sono molti infatti i luoghi in cui Platone attinge da saperi non filosofici per lo scopo della sua indagine (in senso positivo, come nel caso del mito nel Simposio, ma anche negativo, come la makrologia del Protagora), ma lo sciame etimologico del Cratilo occupa ben più di un terzo dell’opera, e la sensazione del lettore, a tutta prima, è che sia una divagazione capziosa ed erudita del tutto sproporzionata rispetto alla discussione dialettica della cornice, cioè della prima sezione con Ermogene e della terza con Cratilo. Ma le cose vanno indagate a fondo, e dopo secoli di oblio la sezione etimologica del Cratilo è tornata oggetto di dibattito nella storiografia grazie alla prima pionieristica monografia in lingua inglese sul dialogo (il lavoro di Timothy Baxter, The Cratylus. Plato’s critique of naming, del 1992). Anni di studi hanno portato alla luce il retroterra culturale che sta dietro alle etimologie: come scriveva Baxter, le etimologie si possono definire “Platonic borrowings”, cioè strumenti che Platone prende a prestito dalla tradizione (i poeti, i sofisti, i culti misterici come l’orfismo, la scienza ippocratica, etc) per concentrare in esse riflessioni critiche sul passato ma anche positive per la sua stessa filosofia. Il caso dei più importanti nomi divini è emblematico e chiarisce molto bene questo punto: sebbene Platone non intenda offrire etimologie filologicamente accurate e sia ben accorto del fatto che le sue spiegazioni sono artificiose, concentra nell’analisi etimologica di alcuni nomi chiave alcune sue idee sulla divinità, sull’immortalità e sull’intellettualismo etico di matrice socratica. Il nome di Zeus ad esempio, è considerato “corretto” e “ben attribuito” perché la scomposizione etimologica mostra che il suo significato è quello demiurgico, di una divinità che è causa dell’esistenza di tutti gli esseri; il nome di Ade non significa “invisibile” (aides) come suggerisce a tutta prima il suono, ma deriva invece dall’eidenai, il “sapere” poiché è soltanto nell’aldilà che gli uomini possono attingere alla vera sapienza.
Come ha affermato il grande studioso David Sedley nel suo famoso commento al Cratilo del 2003, le etimologie di Platone sono filologicamente errate ma esegeticamente corrette, nel senso che sono funzionali a una certa interpretazione del linguaggio e della sua filosofia.
Quale ricezione ha avuto il dialogo platonico?
Questa domanda mi consente di porre l’accento sulla curiosa storia del dialogo nell’antichità. Come ho già detto, il Cratilo ha una struttura particolare: la lunghissima sezione etimologica è racchiusa in una cornice dialettica in cui, in estrema sintesi, vengono discussi il convenzionalismo e il naturalismo.
Nell’antichità le etimologie non destavano alcun sospetto filologico o filosofico nei Platonici di scuola ma nemmeno dei pensatori e negli intellettuali di altre scuole filosofiche. Mi spiego: gli antichi presero sul serio l’analisi etimologica, senza mai mettere in discussione che Platone stesso potesse credere non solo al contenuto filosofico di alcuni nomi, ma anche all’analisi tecnica dell’etimo antico dei nomi presi in esame nel dialogo; persino Aristotele (di solito critico e chirurgico nella sua lettura delle fonti) sembra accogliere alcune proposte platoniche. Mentre le sezioni dialettiche del dialogo non ebbero un impatto determinante nella storia del pensiero antico – o meglio, non sono esplicitamente discusse prima di Proclo – la digressione etimologica conobbe una grande popolarità ed ebbe una sua storia indipendente. Sono quasi inesistenti i riferimenti al Cratilo nel suo complesso, se facciamo eccezione per la menzione nel Didaskalikos di Alcinoo, che definisce il Cratilo “dialogo logico”, mentre sono numerosissimi i riferimenti all’etimologia come strumento di conoscenza nel platonismo antico (per esempio in Plutarco) e in altre scuole filosofiche (per esempio nel de Mundo dello Pseudo Aristotele, o nella Teologia Greca dello stoico Cornuto).
Soprattutto le etimologie dei nomi divini ebbero un’importanza rilevante nel platonismo e nel tardo platonismo: Proclo, scolarca neoplatonico ateniese e autore di un Commento al Cratilo, dedica pagine importanti alle etimologie dei nomi divini e dimostra come nel pensiero antico e soprattutto tardoantico fosse determinante l’idea che nella lingua arcaica fosse concentrata una verità filosofica, cosmologica e teologica, fondamentale per la conoscenza umana delle cose immortali. A questo tema, la storia delle etimologie nel mondo antico, ho dedicato l’ultimo paragrafo del mio saggio introduttivo, cercando di discutere il prima e il dopo: il prima delle etimologie sarebbero le fonti delle scomposizioni e delle analisi platoniche, il dopo la loro tradizione nel platonismo e nelle altre scuole filosofiche.
L’impatto delle etimologie del Cratilo e in generale dell’idea del naturalismo linguistico – in due parole l’idea che i nomi non solo siano “corretti” ma contengano anche una verità antropologica o teologica – non si ferma al mondo antico. Il tema dei nomi divini è importante anche per la prima teologia cristiana (pensiamo al De divinis nominibus di Pseudo Dionigi Aeropagita), per la cultura bizantina (posso fare menzione dei Nomoi del grande intellettuale platonico Gemisto Pletone), nel Medioevo (le Etymologiae o Origines di Isidoro di Siviglia) e infine per gli umanisti fiorentini (Marsilio Ficino prima di tutti).
Negli ultimi decenni del ventesimo secolo, e soprattutto nei primi vent’anni del nuovo millennio, il Cratilo ha conosciuto una nuova popolarità grazie anche a una sapiente visione d’insieme degli eccellenti studiosi che ne hanno scritto (tra cui Rachel Barney e in Italia Francesco Ademollo), e le sezioni dialettiche del dialogo hanno ritrovato il posto che meritano nel dibattito filosofico, grazie anche alla sensibilità contemporanea sui temi del linguaggio, della semantica e della logica.
Mariapaola Bergomi insegna Storia della filosofia antica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dove tiene corsi su Platone e il platonismo tardo antico. Ha studiato all’Istituto Arici di Brescia, all’Università degli Studi di Milano e alla Eberhard-Karls Universität di Tubinga in Germania. Ha conseguito il dottorato in Filosofia all’Università degli Studi di Torino e ha perfezionato la sua ricerca come Postdoc al Christ’s College di Cambridge. È socio dell’Associazione Italiana di Cultura Classica ed è da sempre appassionata di pensiero antico. È mamma di Giulio e Guido.