
Il re Šahriyār, scopertosi tradito dalla moglie, e vista ribadita la propria esperienza, e quella analoga del fratello Šāhzamān, da incredibili esempi di astuzia e perfidia femminile, stabilisce di passare ogni notte con una fanciulla dei suoi sudditi, che al mattino fa uccidere. Il triste tributo è interrotto dalla bella e saggia Šahrazād, che sa destare l’interesse dei re raccontandogli una novella: il re, per udirne la fine, rimanda alla notte seguente l’esecuzione, ma nella notte seguente un’altra novella si è innestata sulla prima non finita, e così di seguito per mille e una notte. A capo delle quali il re, che ha avuto ormai tre figli da Šahrazād e le si è affezionato, le fa grazia e la tiene con sé sposa felice, guarito della sua truce misoginia.
In questa storia-cornice, dilatabile a piacere con l’allungare il contenuto delle singole notti, si è sistemato uno dei più ricchi e multiformi patrimoni narrativi delle letterature orientali. Usiamo intenzionalmente il plurale, poiché il materiale novellistico delle Mille e una notte non è soltanto arabo, ma affonda in parte le sue origini oltre il mondo arabo musulmano e semitico, raggiungendo la Persia e l’India, nelle più antiche fasi della loro produzione spirituale. L’origine della storia-cornice, e di buona parte dei materiali più antichi, è insomma quasi certamente aria, indo-iranica. A questo fondo se ne è aggiunto un secondo sorto nell’ambiente musulmano dell’alto Medioevo, che ritrae, per quanto già con colori più fantastici che storici, la società islamica sotto gli Abbāsidi di Baghdad.
Un terzo e più recente strato sembra doversi riconoscere in parti dell’opera più tipicamente egiziane, raffiguranti con vivacità e immediatezza di contemporanei la vita specialmente delle classi popolari d’Egitto sotto i Mamelucchi (secc. XIV-XV). E attorno al 1400, e in Egitto, si suole localizzare la redazione definitiva della raccolta, quale noi possediamo, conglobante in sé anche interi cicli narrativi originariamente indipendenti.
Le parti più antiche dell’opera, sulla cui esistenza in stadi anteriori di tipo persiano fanno accenni fugaci le fonti musulmane, sono distinguibili per il contenuto assai più che per la forma, che ha ricevuto nella redazione definitiva una impronta abbastanza unitaria, e islamizzata; solo la lingua acquista nelle parti più recenti un colorito più decisamente vicino al volgare.
Attraverso le numerose, più o meno dirette versioni, gli adattamenti e i rifacimenti, tutti conoscono il mondo fantastico delle Mille e una notte, che per molti è l’unico aspetto, in verità assai stilizzato e unilaterale, sotto cui appare l’Oriente musulmano. Racconti soprannaturali con intervento di geni, giganti e spiriti folletti (“Il pescatore e il genio”, “Il cavallo magico”, “Qamar al-zamān e la principessa Budūr”, “Aladino e la lampada meravigliosa”). quadri piuttosto fantastici della Baghdad di Hārūn al-Rašīd, col suo sfarzoso splendore, viaggi meravigliosi (Viaggi di Sindbād), avventure cavalleresche, “‘Umar ibn al-Nu’mān”, gesta picaresche di ladri, scrocconi e marioli del Cairo: è una materia immensa, brulicante di personaggi e fitta di intrecci talvolta abbastanza complicati, ma svolta per lo più senza riflessa coscienza e intento d’arte, con qualche indulgenza alla lubricità, con modi e stile popolareschi; le Mille e una notte non hanno infatti mai goduto gran prestigio negli ambienti dotti del mondo islamico, fuorché in tempi assai recenti, sotto l’influsso dell’interessamento occidentale.»