
Le ragioni sono molteplici. Pensare alla politica internazionale contemporanea come “Nuova Guerra Fredda” aiuta ad imporre uno schema interpretativo semplice, lineare ed intuitivo che aiuti a ridurre la complessità delle dinamiche generate dall’ascesa cinese. In particolare, negli Stati Uniti, invocare la Guerra Fredda significa cercare di riprodurre un periodo in cui governi di orientamento politico diverso avevano prodotto un consenso politico forte su una grande strategia di lungo periodo, la strategia del contenimento. Questa strategia aveva contribuito ad un alto livello di mobilitazione delle risorse economiche, politiche e tecnologiche del paese verso un obiettivo strategico coerente. Inoltre, la Guerra Fredda ha cementato il ruolo americano di protettore della democrazia e del capitalismo contro l’ “Impero del Male” sovietico. Infine, l’idea di una riedizione della Guerra Fredda, soprattutto dal lato americano è rassicurante, perché evoca uno scontro in cui dopo una lunga lotta, “i buoni” vincono.
Questa macro-narrativa strategica era problematica anche durante la Guerra Fredda vera e propria e ha portato a distorsioni ed errori molto importanti, dal sostegno incondizionato a regime autocratici, alla mancata comprensione delle ragioni per cui alcuni nemici combattevano contro gli Stati Uniti (primo tra tutti il Vietnam).
A maggior ragione, oggi, l’idea della Guerra Fredda 2.0 è particolarmente fuorviante, proprio perché impone uno schema semplice e manicheo su una realtà complessa e che va quindi capita come tale.
Le differenze sostanziali tra la Guerra Fredda ed oggi sono molteplici. In primo luogo, non esistono blocchi isolati tra di loro. Il livello di cooperazione economica tra Cina e Stati Uniti rimane molto alto. La Cina è il primo partner commerciale di buona parte degli alleati asiatici degli Stati Uniti e di parte di quelli europei. In Asia, in Africa ed in Medio Oriente, è molto raro che un paese sia schierato completamente con una delle due grandi potenze. Molto più spesso ci sono elementi di cooperazione con entrambi.
Inoltre, la competizione, in particolare nel settore militare, è concentrata a livello regionale e non è globale come nel periodo della Guerra Fredda. Infine, la competizione ideologica è molto diversa. Durante la Guerra Fredda, l’Unione Sovietica tentava di esportare o di imporre la propria forma di governo e la propria ideologia, basata sul Marxismo-Leninismo. Oggi la Cina non tenta di esportare il proprio modello. Al contrario, teorizza esplicitamente l’unicità delle caratteristiche nazionali cinesi e della propria esperienza storica. Ciò non vuol dire tuttavia che non ci sia un’idea alternativa di ordine internazionale, sulla centralità di concetti quali sovranità e auto-determinazione nazionale.
Quale visione dell’ordine internazionale promuove Pechino?
La Cina promuove una visione di ordine di tipo pluralista-sovranista nel quale sono centrali i concetti di rispetto della sovranità statale, autodeterminazione politica, non interferenza e il capitalismo di stato, ovvero un modello di sviluppo nel quale il potere politico mantiene saldamente il controllo dei settori chiave dell’economia.
In questo contesto, la Cina si propone come potenza guida in Asia, con uno status paritario a quello degli Stati Uniti. Ciò implica un tentativo di ridurre il ruolo americano nella regione sia nel settore della governance economica sia nel settore della sicurezza, con un declino progressivo del ruolo delle alleanze a guida americana.
Questo modello di ordine internazionale è il prodotto dell’interazione tra fattori materiali e fattori ideologici e normativi. Le tradizioni filosofiche, politiche e ideologiche quali il marxismo, il nazionalismo post-coloniale e il confucianesimo hanno avuto un’influenza decisiva per l’elaborazione della posizione cinese sull’ordine internazionale, in particolare durante il periodo di Xi Jinping.
Il nazionalismo post-coloniale e la centralità della memoria del “Secolo dell’Umilianzione” inducono Pechino a rivendicare la centralità dei principi di sovranità e autodeterminazione. Ciò significa dichiarare che il paese, in quanto sovrano, è libero di perseguire la propria «via nazionale» alla modernità e di respingere le influenze ideologiche occidentali. Il Marxismo-Leninismo rimane presente nell’enfasi sul ruolo e sulla necessità storica del Partito Comunista Cinese nel promuovere il processo di modernizzazione del paese. Le idee Neo-Confuciane sono alla base dei concetti di “Sogno Cinese” e “Comunità di Destino Comune”. Queste idee da un lato riaffermano la necessità di inclusione, rispetto per la diversità politica e l’enfasi sullo sviluppo. Dall’altro, tuttavia implicano una nuova centralità cinese nella costruzione dell’ordine internazionale. La Cina si presenta come leader benevolo di un ordine regionale sino-centrico, che aiuta i propri partner a compiere un percorso di sviluppo senza però imporre il proprio modello politico o economico.
Come si articola il processo di rinegoziazione dell’ordine internazionale?
L’approccio teorico adottato nel libro sottolinea come il rapporto tra Cina e Stati Uniti non possa essere considerato solo come una competizione tra grandi potenze in un mondo bipolare o un processo di transizione di potenza come hanno fatto diversi analisti negli ultimi anni (ad esempio Graham Allison, nel suo “Destinati alla Guerra”)[1]
In primo luogo, i rapporti tra Cina e Stati Uniti non sono unicamente competitivi. In secondo luogo, nella misura in cui sono competitivi, non sono basati solo sull’accumulazione di risorse economiche e militari. La leadership a livello internazionale si basa anche sulla capacità di ottenere consenso e la percezione di legittimità da parte degli altri stati. Ciò significa che le risorse economiche o militari devono essere affiancate dalla capacità di ridurre il livello di conflitto, promuovere soluzioni cooperative nel settore economico e avanzare una proposta ideologica e normativa legittima, o almeno accettabile, per gli altri stati della regione.
Da questo punto di vista, analizzare il tentativo cinese di rinegoziazione dell’ordine internazionale significa descrivere il ruolo di Pechino a metà tra uno stato favorevole allo status quo e uno stato revisionista. La Cina ha accettato alcuni elementi dell’ordine internazionale contemporaneo, mentre ha tentato di modificarne altri. Ciò avviene con modalità diverse. Ad esempio, la Cina ha promosso nuove forme di governance regionale come la Banca Asiatica per gli Investimenti in Infrastrutture e la Belt and Road Initiative (ovvero le Nuove Vie della Seta) per promuovere la propria visione dell’ordine regionale e globale. In altre occasioni, Pechino ha adottato un approccio coercitivo. Ad esempio, ha promosso una strategia di guerra ibrida nel Mare Cinese Meridionale che ha come obiettivo la risoluzione a proprio favore, attraverso la coercizione, di una serie di dispute territoriali e marittime con stati del Sud-Est Asiatico quali Vietnam, Filippine e Malesia.
Su quale terreno si gioca la competizione tra Washington e Pechino?
La competizione tra Stati Uniti e Cina si gioca su diversi terreni. Il primo è quello militare. Nel periodo successivo alla guerra fredda il primato militare americano si è fondato su un notevole differenziale di risorse, su un significativo primato tecnologico e sulla capacità di proiettare potere militare in ogni angolo del globo, grazie ad una vasta rete di basi militari e di alleanze.
La principale minaccia alla superiorità militare viene proprio dalla Cina, in particolare nella regione dell’Asia-Pacifico. Il budget delle forze armate cinesi è aumentato di più di dieci volte.
La Cina è ancora lontana dai livelli tecnologici e di spesa americani, ma sta tentando di erodere la superiorità americana e la capacità di proiettare potere militare in modo incontrastato. Ciò ha implicazioni importanti soprattutto per le alleanze tra Washington e gli alleati regionali (ovvero Giappone, Corea del Sud, Filippine, Australia e Thailandia), oltre che al ruolo americano di protettore dell’ordine e della stabilità globale.
La seconda sfida è quella della governance economica. La presidenza Trump ha ulteriormente danneggiato la leadership americana in questa dimensione, già danneggiata dalla crisi finanziaria globale del 2008. Ciò ha aperto una finestra di opportunità per lo sviluppo di alternative, spesso legate al progetto sino-centrico cinese, quali la Belt and Road Initiative e la AIIB. Altre forme di collaborazione multilaterale quali la Regional Comprehensive Economic Partnership sono invece caratterizzate da forme di leadership collettiva che testimoniano, come, in caso di necessità, la regione possa fare progressi anche in assenza di un ruolo guida americano. Un ritorno degli Stati Uniti in questo settore non sarà facile, sia perché oggi la Cina è il primo partner commerciale per quasi tutti i paesi dell’Asia, sia perché degli stati della regione ha storicamente dimostrato una certa resistenza al modello di governance promosso dagli Stati Uniti, basato sulla riduzione del ruolo dello stato, ed una regolazione profonda su materie spesso considerate sensibili come servizi, imprese di stato, diritti dei lavoratori, standard ambientali, protezione delle proprietà intellettuale.
Il terzo terreno di competizione riguarda la capacità di attrarre consenso e cooperazione verso la propria proposta di ordine regionale ed internazionale. Le alleanze sono una delle risorse fondamentali per la leadership americana. Tuttavia, tra gli alleati asiatici solo il Giappone aderisce pienamente al progetto americano di ordine in termini strategici e normativi. La maggioranza degli altri stati, inclusi Corea del Sud e Filippine, o partner come Singapore sono coscienti di quanto l’ascesa cinese sia necessaria al loro sviluppo economico e riconoscono la legittimità del ruolo di grande potenza regionale alla Cina. Spesso la Cina ha utilizzato la propria influenza economica per esercitare pressioni politiche sui propri vicini, in particolare per ridurre le critiche verso i propri standard politici interni, ma anche per prevalere in dispute di carattere politico e territoriale.
Quale futuro per la sfida cinese?
Nei prossimi decenni la Cina diventerà sempre più centrale per gli equilibri economici, politici e strategici globali. Credo che una delle sfide fondamentali per gli Stati Uniti, ma anche per gli stati membri dell’Unione Europea sia quello di adattarsi alla complessità che questa sfida comporta. Durante la Guerra Fredda eravamo abituati ad interpretare il mondo come una sfida manichea tra due blocchi politici, economici, militari e ideologici opposti. Dopo la Guerra Fredda ci siamo abituati a pensare che la proposta liberale e democratica occidentale non avesse alternative e che il resto del mondo si sarebbe, presto o tardi, adattato e socializzato alle idee, le norme ed i principi ad esso associati. La sfida cinese implica un’accettazione della complessità. Pechino è allo stesso tempo un partner commerciale, diplomatico ed istituzionale, uno stato che sostiene di una visione dell’ordine e principi politici profondamente diversi da quelli liberali e democratici, ed uno stato in grado di creare una forte instabilità strategica. Qualsiasi scelta politica che riguardi la Cina deve partire dalla consapevolezza di questa complessità e non da schemi semplificatori come quello della “Nuova Guerra Fredda”.
Matteo Dian è Ricercatore (tipo B, Senior) presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università di Bologna, dove insegna Politica Internazionale dell’Asia Orientale. In precedenza, ha svolto attività di ricerca ed insegnamento presso l’Università di Oxford, la London School of Economics and Political Science e l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
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[1] https://fazieditore.it/catalogo-libri/destinati-alla-guerra/