“Guerra digitale. Il 5G e lo scontro tra Stati Uniti e Cina per il dominio tecnologico” di Francesca Balestrieri e Luca Balestrieri

Dott.ssa Francesca Balestrieri, Lei è autrice con Luca Balestrieri del libro Guerra digitale. Il 5G e lo scontro tra Stati Uniti e Cina per il dominio tecnologico edito da LUISS University Press: quale scontro è in atto tra Stati Uniti e Cina per il predominio tecnologico?
Guerra digitale. Il 5G e lo scontro tra Stati Uniti e Cina per il dominio tecnologico, Francesca Balestrieri, Luca BalestrieriCi troviamo attualmente in una fase di forte rottura e transizione nell’ambito dell’innovazione tecnologica, con ripercussioni economiche, politiche, e sociali a livello globale: quello che nel libro viene definito un “cluster tecnologico secolare” – ovvero, l’insieme di tecnologie interdipendenti formato da 5G, internet delle cose, intelligenza artificiale, supercomputer, cognitive automation – rappresenta infatti un elemento di discontinuità qualitativa che governa il cambiamento del modo di intendere le industrie del futuro, l’organizzazione della società, e gli equilibri tra centri e periferie.

Ciò che rende particolare questa fase storica è che la discontinuità tecnologica si somma ad un riassestamento degli equilibri geopolitici: se, dalla fine della guerra fredda con l’URSS fino al primo decennio del XXI secolo, l’egemonia economica, tecnologica e culturale statunitense era stata talmente marcata da far sì che venisse teorizzata la concezione di un “mondo piatto”, il panorama dell’ultimo decennio cambia invece in favore di un sempre più netto bipolarismo tra Cina e USA – bipolarismo destinato, probabilmente, a evolvere ulteriormente in una pluralità di protagonisti geopolitici.

La Cina, grazie ad un approccio strategico di forte integrazione tra la progettualità politico-istituzionale (con visione di lungo respiro e chiari obiettivi economici, possibili grazie al “modello Cina”, che garantisce una certa stabilità nel tempo) e imprese private, negli ultimi decenni ha infatti saputo rovesciare una condizione di profonda arretratezza sia tecnologica che economica e sta oggi cogliendo l’occasione per sfruttare la discontinuità causata dal cluster tecnologico secolare per proporsi come competitore tecnologico d’avanguardia a livello globale, mettendo in discussione l’egemonia statunitense.

Anche gli Stati Uniti, da parte loro, a partire dall’amministrazione Obama hanno cominciato a instaurare sinergie positive tra progettualità politica e imprese private nazionali con lo scopo di rimanere competitivi nello scontro con la Cina per il controllo delle tecnologie del futuro, con tutte le ramificazioni economiche e sociali che tale controllo implica.

In che modo la lotta per il controllo del 5G si inserisce in questa nuova ‘guerra fredda’?
Il 5G gioca il ruolo di abilitatore trasversale di una serie di tecnologie profondamente innovative e che hanno applicazioni sia in campo civile che militare: senza il 5G, ad esempio, non sono possibili i veicoli a guida automatica (non solo le automobili cittadine, ma anche i droni e i mezzi militari).

Per questo motivo, il 5G è stato identificato, sia da Stati Uniti che da Cina, come il settore oggi decisivo per giocare la partita della supremazia tecnologica. La competizione, in verità, è a largo spettro: nell’intelligenza artificiale, nei supercomputer, nella cognitive automation. Il 5G è in primo piano non solo perché è la tecnologia che consente alle altre di fare sistema, si pensi alle smart cities o alle filiere della logistica, ma perché questo è un settore dove gli Stati Uniti si sono sentiti sorpassati dalla Cina, ed hanno reagito. Le mosse americane nei confronti di Huawei sono il chiaro segnale di una volontà strategica di decoupling, di separazione tra le filiere industriali delle telecomunicazioni americana e cinese.

È un’importante inversione di rotta rispetto alla globalizzazione come l’abbiamo finora conosciuta: in questo caso si preferisce rinunciare ai vantaggi dell’integrazione economica globale perché si avverte il pericolo che una dipendenza tecnologica in un settore chiave possa significare declino di tutto il complesso produttivo. Meglio separarsi, trincerarsi e preparare una controffensiva. Ciascuno cerca di proteggere la propria filiera industriale e di scardinare quella del competitore. Le linee di rottura tecnologico-industriale si sommano e si sovrappongono a quelle del conflitto geopolitico.

Quali retroscena nasconde la lotta per il controllo della rete di telecomunicazioni ultraveloce e come ne siamo coinvolti nel nostro Paese?
Il nuovo bipolarismo tende a spingere tutti a schierarsi, da una parte o dall’altra. Ma in questo contesto, bisogna chiedersi quali opportunità si presentino all’Italia e all’Europa per difendere la propria sovranità digitale, la quale significa capacità di progettare e governare il proprio futuro.

L’Italia, come del resto l’Europa, è indietro rispetto a USA e Cina sia nel 5G, sia, più in generale, nella lotta per assicurarsi posizioni di leadership tecnologica nello scenario mondiale. È un problema di dimensioni, perché nessun paese europeo, se preso singolarmente, ha le risorse finanziarie e produttive, il know-how e le strutture di ricerca necessarie a competere per la supremazia tecnologica; e neanche per tutelare la propria sovranità economica.

Certo, occorre un modello d’innovazione che sia efficace: la struttura economica dell’Europa, i rapporti tra istituzioni e imprese, il suo mercato dei capitali sono diversi da quelli americani e – ovviamente – da quelli cinesi. Servono politiche nazionali ed europee, capaci di coordinare le reti di ricerca, i progetti pubblici (si pensi alle smart cities), l’iniziativa delle imprese e l’interesse dei capitali privati.

In che modo la difesa della sovranità digitale diviene strumento imprescindibile per proteggere lo sviluppo dell’economia e la libertà degli individui?
Il punto critico è che questa nuova fase della rivoluzione digitale creerà vincenti e perdenti a livello mondiale. Nel libro parliamo di imperi 4.0, cioè di un nuovo rapporto centro-periferia dove chi si ritrova nelle aree periferiche vede corrosa la propria sovranità e rischia di essere ridotto a miniera di dati da sfruttare. Ad esempio, l’Africa è un posto dove sia i cinesi che gli americani stanno cercando di penetrare con i loro servizi e il controllo delle tecnologie; l’Africa viene vista come un potenziale bacino di un miliardo di nuovi consumatori digitali, i cui dati verranno saccheggiati, pronti ad essere “locked-in” negli ecosistemi cinesi o americani. I dati sono infatti il motore del machine learning, che è il cuore di questa nuova rivoluzione digitale: più dati di qualità ha a disposizione, più l’intelligenza artificiale impara, divenendo più efficiente e, di conseguenza, offrendo agli individui servizi più efficienti, ma anche rafforzando il potere sul mercato – e sugli individui – dei soggetti che controllano gli ecosistemi che estraggono, raccolgono e utilizzano i dati. Sovranità digitale significa avere controllo di questo processo, sia garantendo che il valore prodotto resti nel proprio sistema industriale e arricchisca la propria economia, sia tutelando gli individui nella loro privacy: un esempio virtuoso di politica per la sovranità digitale è ad esempio la normativa europea, la General Data Protection Regulation, che è diventata un punto di riferimento anche per paesi, come l’India, che non vogliono diventare colonie 4.0.

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