“L’archeologia dell’amore” di Cătălin Pavel

L'archeologia dell'amore, Cătălin PavelL’archeologia dell’amore
di Cătălin Pavel
Neo Edizioni

«Si è detto che l’uomo è l’animale che classifica, e non si è sentito di un archeologo a cui non piacciano le tipologie, gli schemi e le ripartizioni. Io prenderò per buono ciò che altri hanno stabilito, che l’amore ha più nature. Sceglierò però qui solo una di queste […]. I casi di studio che presenterò più avanti sono sufficientemente fattuali nella loro natura ed evitano vistose polemiche. […] Inoltre farei un torto al libro se pretendessi che esso sviluppi una teoria olistica dell’amore, e si dimostrasse poi che non ho fatto altro che raccogliere delle informazioni disparate su come amavano gli individui in spazi diversi e in secoli dalla differente numerazione. Preferisco dunque mettere assieme un piccolo catalogo archeologico che documenti l’amore di coppia. […]

Una volta limitata l’indagine all’amore di coppia, le cose sono un po’, ma solo un po’, meno vaghe. Si può parlare di un amore romantico nella preistoria? Perché secondo Denis de Rougemont qualcosa del genere non compare prima del XII secolo, con i trovatori della Linguadoca, sullo sfondo dell’influenza araba sulla cultura provenzale. L’amore romantico non è quindi naturale ma costruito culturalmente, così come il cuore non è un simbolo grafico naturale dell’amore ma un simbolo costruito appena nel Medioevo. (Le antiche monete d’argento con “cuori”, come i tetradrammi di Cirene, rappresentano in realtà il frutto secco della pianta silphium. […]). Secondo Anthony Giddens, l’amore romantico compare in realtà solo verso la fine del XVIII secolo ed è legato non soltanto alla rivoluzione industriale, ma anche al romanzo moderno. In ogni caso, per entrambi esso rimane un’invenzione europea […]. Per l’antropologo Jack Goody, l’amore romantico esiste da sempre nelle società che conoscono la scrittura, il che lascia però al di fuori i nostri scheletri abbracciati del neolitico. Forse la cosa più prudente è dire che nei capitoli che seguiranno si parlerà di un amore universale, passionale, in cui la sessualità riveste un ruolo importante. […]

Ciò che studio qui è ciò che resta dell’amore, letteralmente: le prove effettive, fisiche, di tale amore. E non resta molto: quest’amore non si lascia afferrare nel corso degli scavi, se non da angoli talmente ristretti che non si riesce ad arrivare a 180° mettendoli tutti assieme. Fintanto che si amano, le coppie escono fuori, si usa dire, da questo mondo banale; lo fanno poi di nuovo, con certezza questa volta, quando muoiono, e lo abbandonano ancora più banale. Che cosa succede quando sotto una lente archeologica si pone il centesimo rimasto di questa vita, il millesimo rimasto di quest’amore? […]

Due obiettivi secondari sono ben celati nel libro. Oltre che parlare d’amore, m’interessa portare il discorso anche sull’archeologia in generale, sui suoi metodi, i suoi problemi e le sue soluzioni. Tutte le scoperte archeologiche, che siano affreschi, scheletri o monili del tipo saltaleoni, richiedono una narrazione che le faccia vivere. Troppe volte questa narrazione è una monografia solida e specialistica, con un disegno sobrio e originale sulla copertina. Perché gli oggetti trovati nello scavo rivivano, è necessario far partire il motore dell’empatia e trasporre in parole ciò che è successo qui, giusto nel punto in cui siamo in questo istante, sotto il sole, con una busta di caramelle in mano, ma con una fuga all’indietro, diciamo pure esattamente a cinquemila anni fa. Questo non significa ridurre la scienza a letteratura, ma neppure trasformare la storia in elenchi di misurazioni. Il secondo obiettivo sussidiario è, ancora più in generale, parlare sia pure indirettamente del transfer culturale, cioè della vita delle cose morte. […]

In ultima analisi, credo di potermi spiegare meglio presentando in breve il contenuto del libro. Mi sono deciso a organizzare il materiale, ancora una volta disciplinatamente, in successione cronologica. È una scelta priva d’immaginazione, ma che comporta maggiore chiarezza, conseguita senza sforzo. Non potevo iniziare che con l’archeologia dei contatti tra i neandertaliani e l’uomo anatomicamente moderno (Capitolo 1), contatti mediante i quali le due sottospecie hanno spinto così avanti lo scambio culturale che continuiamo tuttora ad avere un DNA che ci viene dai neandertaliani. L’archeologia non è riuscita ancora a documentare tale “familiarità”, ma può aiutarci nella ricostruzione delle premesse (le ultime scoperte legate all’arte e al linguaggio) per le quali la coppia neanderthalensis-sapiens era perfettamente possibile, anche se imperfetta e poco probabile. Le ultime analisi paleogenetiche ci giungono con ipotesi prima inconcepibili: che una donna sapiens potesse, ad esempio, generare da un padre neandertaliano quasi soltanto figlie femmine.

Sempre alla preistoria è legato anche il Capitolo 2, dove apro due dossier di tutta evidenza: i più celebri casi di scheletri abbracciati, uno proveniente dall’Italia, l’altro dall’Iran odierno. Le loro posizioni e le loro storie sono differenti, ma la loro coreografia è parimenti sorprendente, ed entrambi i casi sollevano domande-chiave, legate alla morte in coppia durante un’invasione o su come un museo si possa arricchire grazie a una simile scoperta.

Una prospettiva nuova, a volte davvero rischiosa, sulle coppie antiche ce la offrono i testi scoperti su tavolette di piombo o su papiro in Egitto, specialmente in epoca ellenistica e romana. Di esse m’interessano, nel Capitolo 3, da un lato gli esorcismi d’amore (l’invocazione agli dei perché tu sia soltanto mia “per un lasso di dieci mesi a partire da oggi, 25 Hathor, nell’anno secondo del ciclo erariale”) e, dall’altro, la corrispondenza privata tra coniugi (“P.S.: manda il materasso a nostro figlio!”).

Gli scavi recenti di Roma sono lo sfondo del Capitolo 4, dove le dicerie erotiche su Augusto e su Cesare si materializzano nel rapporto topografico apparentemente sessuato dei loro due rispettivi fori. In tale contesto, gli edifici con abbozzo fallico introdotti da Piranesi nelle sue piante cominciano ad avere maggiore senso, soprattutto se confrontati con l’architettura dei bordelli concepiti dagli utopisti francesi del XVIII secolo.

Il mondo greco è presente tramite un albo delle avventure amorose degli dei e degli eroi (Capitolo 5), così come esse si riflettono nell’arte antica, in particolare sui vasi dipinti dei secoli VII-III a.C. I loro creatori mettono in scena un altro film rispetto a quello che noi abbiamo da sempre imparato dai testi. Vi troviamo Andromeda che lancia anche lei pietre contro il mostro, a fianco del suo salvatore Perseo, e Afrodite che scaraventa olle, insieme con il bell’Adone, contro il cinghiale che li assale. È un’altra vita di coppia rispetto al mito, con scene di cui non eravamo a conoscenza, o che percepiamo in maniera del tutto diversa: Afrodite pone dei piccoli Eros su una bilancia per vedere come siamo messi con i sentimenti, Eracle, in un criminoso litigio domestico, dà fuoco a una caterva di mobilia, mentre Paride, nel celebre giudizio, sceglie Era, e non Afrodite.

L’Antichità è il periodo maggiormente rappresentato nel libro, senza che ciò significhi che le persone si siano amate allora più che mai. Un capitolo (6) su Adamo ed Eva collega in ogni caso questa sezione alla preistoria, poiché qui illustro anche un paradiso neolitico, non soltanto quello greco e quello persiano. Il nucleo della discussione è legato alle raffigurazioni di loro due nell’arte dei primi secoli della cristianità, con le sue stranezze e perfino con i rari momenti erotici. Inevitabile è anche il riferimento all’epoca islamica, perché cercheremo la tomba di Adamo ed Eva là dove la colloca la tradizione, nei sotterranei che stanno sotto lo straordinario edificio eretto da Erode a Hebron (Cisgiordania).

I successivi due capitoli presentano le trasformazioni di alcuni grandi temi fra l’Antichità e il Medioevo. Nel Capitolo 7 parlo di due mausolei, quello di Alicarnasso, costruito da una moglie per un marito e, duemila anni dopo, il Taj Mahal, costruito da un marito per una moglie. Sono due storie d’amore non solo fortemente politicizzate, ma altresì marcate religiosamente; entrambe con i loro dettagli terreni – l’archeologia ha recuperato negli anni ’60 le tracce del banchetto funebre offerto da Artemisia per Mausolo e, negli anni ’90, i giardini originali del Taj Mahal.

Solo mille anni separano i due casi di studio del Capitolo 8: da una parte i graffiti erotici sui muri delle case di Pompei sotterrate dall’eruzione del Vesuvio, dall’altra quelli impressi sulle ossa e sul legname recuperati dagli scavi sul molo medievale della vecchia capitale della Norvegia, Bergen. Come dati di contesto, direi che l’emulazione nei Balcani è illustrata dalla scoperta in Bulgaria, nel 1987, del primo equivalente in greco antico del vocabolo latino cunnilingus. La varietà di tali graffiti è ugualmente sorprendente quanto l’uniformità dei desideri sessuali che essi trasmettono. Conosceremo Maritimus, che annota su un muro che “accetta anche ragazze vergini”, e quelli che si descrivono come fututor maximus. Nulla di sconvolgente: la fouterie est le lyrisme du peuple, come diceva Baudelaire. Sorprende di più che tra le rune scurrili medievali dei vichinghi appaiano anche versi di Virgilio.

Un dittico sulla vita di alcune comunità isolate è formato dai successivi due capitoli, dedicati all’archeologia del Medioevo (sul Mar Nero) e a quella del Rinascimento (sull’Atlantico). Il Capitolo 9 non è altro che un esercizio storiografico. Nel complesso monastico di Murfatlar-Basarabi (nel distretto romeno di Constanţa) sono state scoperte, accanto alle incredibili chiesette, alcune cose ancora non sufficientemente elucidate: due scheletri appartenenti a donne e testimonianze legate alla visita di alcuni soldati di origine nordica. I recenti scavi di Nufăru (distretto romeno di Tulcea) sembra abbiano identificato l’unico insediamento vichingo della Dobrugia; tra l’altro, le donne della necropoli sono state seppellite successivamente con un numero insolitamente alto di ornamenti d’ambra (portata dal Mar Baltico?).

Sempre molto lontani da casa sono anche gli uomini della prima città fondata da Colombo nel Nuovo Mondo (Capitolo 10). Nei primi giorni dell’anno 1494, mille e cinquecento uomini sbarcano nelle Antille, dove vivranno – solo per alcuni anni – in un vincolo con le donne indigene taíno. Provo a mettere assieme gli elementi archeologici di tale legame, osservando anche la cultura materiale araba della città di La Isabela (Repubblica Dominicana).

L’ultima sezione del libro è dedicata alla modernità. Due capitoli hanno come oggetto due distinte figure femminili il cui contributo all’archeologia non è stato valutato a sufficienza. Gertrude Bell (Capitolo 11) ha fama di essere stata la donna più potente dell’Impero Britannico al tempo della Prima Guerra Mondiale, tant’è che lei non solo ha messo Faisal sul trono dell’Iraq, ma ha pubblicato importanti monografie su Binbirkilise e altri siti orientali. […]

Agatha Christie (Capitolo 12) è finita nel mondo dell’archeologia senza averne colpa, solo perché ha sposato nel 1930 un archeologo che aveva conosciuto a Ur, in Mesopotamia. L’ha poi seguito, per amore (per lui e per l’Oriente), in campagne archeologiche per più di trent’anni. La scrittrice inglese è diventata il fotografo ufficiale dei suoi cantieri di scavo e ha restaurato oggetti antichi (utilizzando anche la sua crema per il viso). Il diario delle campagne di scavo di Agatha, terminato nel 1944, è delizioso – quando non è razzista (anche se per nulla più razzista dei documenti del tempo in generale, anzi).

Il Capitolo 13 si concentra sulle trasformazioni moderne dei motivi erotici dell’arte antica. Nelle avanguardie dell’inizio del secolo scorso troviamo perfino erotizzazioni di talune immagini ritagliate dal mondo greco-romano. Les demoiselles d’Avignon non trae ispirazione, in verità, solo dall’arte africana, ma anche da quella geometrica greca e da quella dell’antichità iberica, mentre le donne delle piazze indicibilmente malinconiche di de Chirico sono la stessa Arianna, abbandonata da un amato e in attesa dell’altro.

Un altro riferimento della modernità è Freud, il cui rapporto con l’archeologia è esaminato nel Capitolo 14. Il medico viennese ha scritto un significativo commento a un romanzo d’amore che si svolge a Pompei. In questo romanzo un archeologo s’innamora di un bassorilievo antico, la cui riproduzione Freud e altri psicanalisti hanno esposto nei loro studi medici. Le metafore archeologiche appaiono in molti dei suoi scritti, per non parlare dell’implicazione di Freud negli scavi illegali del castrum romano di Intercisa (Pannonia).

Infine, l’ultimo capitolo è scritto sotto un cielo ugualmente rannuvolato come quello sopra gli amanti abbracciati del neolitico, che troviamo all’inizio del volume. In questo capitolo finale sono ospitati i manufatti che parlano d’amore scoperti durante gli scavi nei siti archeologici moderni, incluse le tombe dei soldati della Prima Guerra Mondiale. In ognuno di questi siti ci sono indizi che gli uomini abbiano amato fino all’ultimo istante: la ciocca di capelli che portava con sé un soldato australiano morto in Francia è ancora identificabile dopo cent’anni. Un emblema, del resto, dei rischi dell’archeologia dell’amore, collocata, si direbbe, al confine con la sdolcinatura, ma anche con la presunzione, poiché da dove altro potrebbe venire la missione di quantificare cose imponderabili, lavorando con indizi minimi, come i filamenti di carta rimasti da una vecchia fotografia lacera. Penso tuttavia che, se mettiamo assieme tutti questi punti, sia possibile ottenere la storia della società umana, riflessa, in piccolo, nei sentimenti dei suoi attori e delle sue comparse.»

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link