
Vari sono i modi in cui si esplicita lo stile letterario nelle canzoni: c’è chi va a cercare l’opera sconosciuta ai più (per esempio Paolo Conte col personaggio di Jeeves) e chi invece prende ispirazione, magari attualizzandola, da una delle storie più famose (penso al Perigeo con Alice); c’è chi cita tanto per citare (i New Trolls di Concerto Grosso con Shakespeare) e chi fa volute metafore politiche (Lucio Dalla con Itaca e Ulisse); chi copia anzi canta pedissequamente (Guccini con L’isola non trovata ma anche David Riondino con brani biblici) e chi cita mascherando l’ispirazione (Piero Ciampi con Il Giocatore di Dostoevskij) eccetera. Infinite, insomma, sono le strade e le possibilità di commistione tra le melodie e le armonie insieme alle parole di ispirazione letteraria, a cominciare dal fatto che alcuni artisti scrivono il testo su musiche già pronte e altri, viceversa, mettono in musica le liriche.
Il libro spazia da Fabrizio De André a Caparezza, da Franco Battiato ad Angelo Branduardi, passando per Dalla, Conte, De Gregori, Guccini e molti altri: chi tra loro ha saputo, a Vostro avviso, incarnare maggiormente il legame tra musica e letteratura?
Bartelloni: Potrei rispondere, semplicisticamente, che c’è soltanto l’imbarazzo della scelta, perché davvero si ha la sensazione che i nostri cantautori si siano sfidati a chi fosse più capace di trasformare in canzone un’opera letteraria, quasi esplicitando quel misto di amicizia, stima e sottaciuta competizione che ha caratterizzato molti dei loro rapporti interpersonali. Dovendo fare una scelta credo, tuttavia, che sulla vetta della torre finirebbero per rimanere Francesco Guccini e Fabrizio De André. A questo proposito trovo molto significativo citare un piccolo aneddoto che li lega, nell’ispirazione letteraria. Siamo alla fine del 1970 e il cantautore genovese fa uscire il suo album “La buona novella”, corredato da una lunga, e un po’ leziosa, nota introduttiva di Roberto Danè che spiega come l’album sia ispirato ai vangeli apocrifi – preferiti, come noto, ai canonici perché De André si disse non interessato a mettere in musica la versione “dell’ufficio-stampa di Gesù Cristo” – e come i pezzi che ne sviluppano il concept, secondo una successione d’impronta narrativa, a mo’ di capitoli, insomma, rispettino le fonti con rigore quasi filologico. La cosa dovette sembrare un po’ pretenziosa al Maestrone, che giusto tre anni dopo inserì nella sua “Opera buffa” l’ironico talking musicale “La genesi”, dichiarando all’inizio del brano come esso derivasse da un’ispirazione ricevuta “dall’alto” che lo aveva convinto a mettere in musica tutto l’Antico Testamento, e come lui avesse, per il momento, iniziato coerentemente con il primo libro della Bibbia. Un vero e proprio sberleffo, insomma, all’amico-collega, secondo un costume tipico del Guccini provocatore e guascone, che nel 1976 punzecchierà di nuovo De André (ma anche De Gregori e Vecchioni) nella sua “Via Paolo Fabbri 43”. Non a caso, quindi, nel nostro libro si è valorizzata una canzone come “Cirano”, che al più celebre cadetto di Guascogna della storia della letteratura rende omaggio, a segnalare il convivere, nell’animus del cantautore emiliano, della vena lirica e pensosa e di quella farsesca e ridanciana (ma non per questo meno seria).
In due in cima alla torre non possono proprio restare? E allora, anche se con fatica, butto giù Faber, non fosse altro perché tra Gulliver, Cirano, Odisseo, Don Chisciotte, Ofelia e infiniti altri personaggi letterari evocati nel suo repertorio, Francesco da Pavana ci ha reso davvero difficile scegliere su quali delle sue canzoni soffermarci.
Masoni: concordo in massima parte con Fabrizio; per rispondere in modo diretto e brevissimo alla domanda: dal punto di vista quantitativo, come detto più sopra, chi incarna maggiormente il legame tra musica e letteratura è certamente Roberto Vecchioni; dal punto di vista qualitativo Francesco Guccini; dal punto di vista dell’originalità Ivano Fossati, quando mise in musica (senza parole, solo strumentale) un racconto di Edgar Allan Poe; dal punto di vista del coraggio (al limite con l’azzardo) i Metamorfosi che hanno tentato di ridurre le tre cantiche della Divina Commedia in tre album.
Fabrizio De André ha rappresentato un’icona della letterarietà dei testi musicati: come si esprime, nel cantautore genovese, l’ispirazione letteraria?
Bartelloni: Fabrizio De André è stato, sotto molteplici aspetti, un’anomalia nel panorama musicale italiano. Rampollo dell’alta borghesia genovese, nutrito dal padre a musica e letteratura francese, ha trascorso gran parte della sua gioventù tra i carruggi dell’angiporto di Zena più che nelle grandi stanze di villa Saluzzo Bombini – detta ‘il Paradiso’ – dove la sua famiglia risiedeva. Ne è derivato un mescolarsi di alto e basso, sacro e profano, vizio e virtù, buone e cattive strade – da ripercorrere e reinterpretare, nella poetica deandreiana, in modo diverso rispetto alle direzioni e declinazioni canoniche – che è filtrato nelle sue canzoni anche attraverso l’ispirarsi a opere letterarie e autori che di quell’ibridazione erano già testimoni ed emblemi.
Eccolo, dunque, evocare, nei primi album, poeti non riconciliati come François Villon (tra i vari richiami merita certo un cenno la “Ballata degli impiccati” scritta con Riccardo Mannerini e ispirata alla “Ballade del pendus” del lirico francese), oppure citare il più celebre maudit della storia della poesia italiana, quel Cecco Angiolieri di cui musica, senza cambiare niente del testo, come abbiamo diffusamente raccontato nel nostro libro, il noto sonetto “S’i fosse foco”, o ancora spiegare, da adulto durante i suoi ultimi concerti, quanto i concetti di vizio e virtù siano relativi e discutibili, visto che basta spostarsi geograficamente, per non parlare del viaggiare nel tempo, perché ciò che da una parte è considerato vizio divenga virtù e viceversa, citando quasi letteralmente il De Sade de “La filosofia nel boudoir”. Ma De André è stato un’anomalia anche nell’atto stesso della creazione artistica, facendo, a mo’ di Giacomo Casanova da Venezia, della sua stessa vita un’opera letteraria: un teorico, ma anche un attivo praticante, della solitudine – celebrata nell’ultimo album “Anime salve”, ossia, etimologicamente, “Spiriti Solitari” – che tuttavia per la sua intera carriera, o quasi, si è affiancato e ha collaborato con altri artisti nella realizzazione dei suoi album e tour (De Gregori, PFM, Massimo Bubola, Ivano Fossati, solo per citarne alcuni); un uomo schivo, pigro e indolente che amava passare intere giornate a letto a leggere, tanto da ritenersi affine all’ “Oblomov” di Gončarov – evocato nella splendida “Mègu Megùn”, scritta con Fossati e inserita nell’album “Le nuvole”, a sua volta ispirato ad Aristofane – e che tuttavia era al contempo incapace di restare davvero immobile come il celebre personaggio letterario in cui pure si identificava, e in qualche modo si ritrovava anche nella dromomania delle etnie Rom e Sinti – cantata nella meravigliosa “Khorakhané (A forza di essere vento)”, che si ciba della tradizione narrativa orale di quei popoli -, o nell’irrequietezza e nel perpetuo girovagare di Maqroll il gabbiere, antieroe della saga di romanzi, novelle e liriche creata dallo scrittore colombiano Alvaro Mutis, e ispiratore di quella “Smisurata preghiera” che fa da sigillo finale all’opera deandreiana.
Fabrizio Bartelloni, avvocato e magistrato onorario, evade dalle aule giudiziarie appena può, soprattutto attraverso la scrittura. Dopo la sua prima raccolta di racconti, Frammenti (Ensemble, 2014), inizia la sua collaborazione con MdS Editore, con cui pubblica, tra l’altro, le sillogi Testimoni d’accusa (2016) e Racconti di bolina (2020) e il romanzo Cavalieri di specchi (2019). Dal 2015 dirige, sempre per MdS, la collana di narrativa Cattive strade.
Marco Masoni, diplomato in critica musicale, divulgatore in incontri dal vivo e sui suoi canali social di storie di musiche e musicisti; collabora tra gli altri con Classic Rock e Prog Italia. È anche cantautore evolutivo, produttore artistico, teologo, insegnante, padre. Il suo primo libro è L’alba dentro l’imbrunire – Viaggio nella spiritualità della musica italiana (Pacini ed., 2021).
Insieme hanno ideato e conducono dal 2019 la rassegna Spiriti solitari – cantautori ascoltati, visti e raccontati.