“Il senso della storia. Il confronto tra Karl Löwith e Reinhold Niebuhr” di Luisa Borghesi

Dott.ssa Luisa Borghesi, Lei è autrice del libro Il senso della storia. Il confronto tra Karl Löwith e Reinhold Niebuhr edito da Studium: in quale contesto politico-culturale videro la luce le opere Meaning in History di Löwith e Faith and History di Niebuhr?
Il senso della storia. Il confronto tra Karl Löwith e Reinhold Niebuhr, Luisa BorghesiLe opere di Löwith e Niebuhr, Meaning in History (trad. it. Significato e fine della storia) e Faith and History (trad. it. Fede e storia) trattano argomenti simili e vengono pubblicate nello stesso luogo e nello stesso momento, gli Stati Uniti del 1949. Sia Löwith che Niebuhr si chiedono se sia possibile rispondere alla domanda sul “senso” o “non senso” della storia.

Il contesto politico-culturale in cui le opere vengono pubblicate è quello del mondo post-Seconda guerra mondiale e dei primi anni della guerra fredda. Gli Stati Uniti, dove le due opere vedono la luce, sono usciti vincitori dal conflitto mondiale ma il tono di entrambi gli scritti è tutto fuorchè trionfalistico. La guerra, al contrario, aveva confermato, sia per Löwith che per Niebuhr, l’illusorietà di qualsiasi idea di progresso storico. La genesi dei due testi si deve perciò a riflessioni nate già negli anni precedenti, quando il virus dello storicismo aveva dilagato in Europa contribuendo all’ascesa dei regimi politici autoritari.

Al pessimismo che permea i due volumi avevano contribuito anche le vicissitudini personali e intellettuali dei due autori. Com’è noto, il filosofo ebreo-tedesco Karl Löwith, allievo e, al contempo, il critico più lucido di Martin Heidegger, era stato costretto a lasciare la Germania negli anni ’30 a causa delle leggi razziali e da quel momento aveva iniziato una serie di peregrinazioni che lo avevano portato dapprima in Italia, poi in Giappone ed infine in America.

Fu proprio grazie al teologo e filosofo americano Reinhold Niebuhr se Löwith riuscì, nel 1941, ad arrivare negli Stati Uniti: Niebuhr, insieme al teologo tedesco Paul Tillich, aiutò infatti Löwith a trovare un incarico di insegnamento in un seminario protestante americano.

Il primo contatto con l’ambiente culturale americano non fu dei migliori: come molti intellettuali europei, Löwith soffriva la mancanza di interlocutori che riteneva all’altezza. La situazione era inasprita dal fatto che il seminario dove insegnava si trovava ad Hartford, una cittadina di provincia americana. A causa di questo relativo isolamento intellettuale egli manteneva fitti contatti epistolari con altri intellettuali “in esilio” in terra americana quali Leo Strauss o Eric Voegelin. Negli ultimi anni di permanenza americana, tuttavia, il suo giudizio migliorò, complice il trasferimento a New York per insegnare alla New School. Nel ‘52 fece ritorno in Germania ma dal carteggio con Niebuhr si evince come Löwith intendesse mantenere la cittadinanza americana.

L’idea della crisi della filosofia della storia moderna era stata già affronata da Löwith in un’opera precedente, Da Hegel a Nietzsche, del 1941. In quel saggio tuttavia non era ancora presente l’idea di secolarizzazione. Essa si sviluppò anche grazie al contatto con il mondo del cristianesimo americano, allora fortemente influenzato dalla teologia progressista. Mentre il protestantesimo europeo, soprattutto quello di area tedesca, era sotto l’influenza della neo-ortodossia di Karl Barth, in America la liberal theology era ancora la tendenza dominante.

Reinhold Niebuhr, uno dei più importanti intellettuali americani del ’900, proveniva da un background diverso ma non completamente estraneo a quello di Löwith. Era infatti americano ma di origini tedesche e la sua prima formazione avvenne in un contesto profondamente germanizzato.

Proprio tale retroterra particolare permise a Niebuhr di dialogare con molti intellettuali europei e di rappresentare un collegamento, dal punto di vista culturale, tra le due sponde dell’Atlantico. Egli entrò infatti in dialogo, oltre che con Löwith, con figure come Dietrich Bonhoeffer, Jacques Maritain, Emil Brunner, Paul Tillich, W. H. Auden, Karl Barth e Hans Morgenthau. Proprio insieme a Morgenthau e George Kennan, Niebuhr fu uno dei principali esponenti della corrente del realismo politico della guerra fredda. Era un realismo particolare, privo di coloriture manichee, che permise ai tre intellettuali di difendere la liberal-democrazia americana ma, al contempo, di criticarne le pretese messianiche.

In Fede e storia l’analisi di Niebuhr prende soprattutto la forma di una critica all’idea di progresso storico, idea che nel contesto nordamericano possedeva una forza e una longevità maggiore che nel Vecchio continente. Se in Europa la Prima guerra mondiale aveva sgretolato la fiducia in un corso storico trionfalistico, la partecipazione limitata dell’America al conflitto non aveva invece avuto lo stesso potere dirompente. È piuttosto con la crisi economica del ’29 che le filosofie progressiste e la mentalità positivista, in America, perdono di credito. Ma il New Deal, la vittoria nel secondo conflitto mondiale e il nuovo ruolo di protagonista politico internazionale acquisito dopo la guerra fanno riacquistare un po’ della vecchia fiducia. Fiducia che si era affievolita ma mai del tutto sopita perché trovava espressione in due importanti tendenze della cultura e della religione americana: nell’ottimismo delle filosofie di Emerson, James e, più tardi, Dewey e, come già accennato, nella teologia protestante di stampo liberal.

Quali tesi sviluppavano nei loro lavori i due filosofi?
La tesi centrale di entrambe le opere è che la filosofia della storia moderna, con la sua idea di storia progressiva, sia il risultato della secolarizzazione della teologia della storia ebraico-cristiana.

Il tema della secolarizzazione, com’è noto, animò soprattutto il dibattito filosofico europeo. È perciò interessante conoscere il punto di vista di un autore americano come Niebuhr e farlo nel contesto del confronto con Karl Löwith. Ciò permette anche di approfondire il “periodo americano” di Löwith.

Fede e storia di Niebuhr è scritto per confutare l’idea che la redenzione si operi nella storia e per mezzo della storia. Tale idea è alla base delle moderne filosofie della storia che avrebbero in tal modo storicizzato l’escatologia ebraico-cristiana. Anche al centro di Significato e fine della storia di Löwith vi è la stessa tesi.

La dimensione della storia, che per gli antichi greci non possedeva alcun significato particolare, assume, soprattutto a partire dalla rivelazione cristiana, una nuova rilevanza. Per i greci la storia era soggetta alle leggi cicliche della natura e non aveva uno status o un significato indipendente dal mondo naturale.

Sia per gli antichi che per i primi cristiani tuttavia la storia non possedeva un andamento progressivo. I “tempi ultimi” non erano i tempi storici e Cristo aveva già compiuto la storia. Ciò che avviene nella modernità, nell’Illuminismo prima e nell’Idealismo poi, è che l’attesa religiosa del compimento finale della storia perde il suo carattere trascendente e si storicizza. La storia non si muove più verso la fine, ma verso un fine. I “tempi ultimi” divengono così l’utopia storica di Condorcet, il terzo stadio di Comte, l’“Era dello spirito” di Hegel, la società post-capitalista di Marx.

Löwith e Niebuhr recensirono l’uno l’opera dell’altro: quali parole spesero al riguardo?
Come accennavo, le opere di Löwith e Niebuhr condividono, in larga misura, le idee centrali e si confrontano con gli stessi autori. Nelle conclusioni, tuttavia, divergono. Ciò emerge dalle recensioni che fecero delle rispettive opere, pubblicate in appendice al volume insieme ad alcune lettere che i due si scambiarono.

La critica che Löwith muove alla tesi di Niebuhr è quella di essere sostanzialmente ancora troppo “storicista”. Niebuhr concordava infatti con Löwith sulla critica alla filosofia della storia moderna e alla sua idea di storia redentrice. Egli riteneva tuttavia che un senso teologico della storia fosse un’opzione percorribile. Il dibattito tuttavia non si risolve unicamente tra un’opzione religiosa e una che rifiuta tale orizzonte.

Quello che Löwith rimprovera a Niebuhr è di teorizzare una teologia della storia non completamente trascendente. Il modello più coerente, se si accetta la posizione cristiana, è infatti, per Löwith, quello di Karl Barth. La teologia barthiana separava nettamente il piano divino da quello umano, il piano teologico da quello storico-politico. In tale prospettiva, la dimensione storica non ha nulla a che vedere con quella della Heilgeschichte, della storia sacra.

Niebuhr rifiuta un’idea di teologia della storia completamente “disincarnata”. Si potrebbe dire, in termini agostiniani, che egli concepiva la civitas dei e la civitas mundi come due piani distinti ma anche continuamente intrecciati. Proprio da questo difficile intreccio, che segue una dinamica tragica, si apre quella dimensione che definiamo “storia”.

L’intento con cui vengono concepite le opere è, ovviamente, diverso: mentre Niebuhr si muove nell’orizzonte di domanda di “senso” sulla storia, l’intento di Löwith è quello di abbandonare questo stesso piano. In un’opera che precede di qualche anno Faith and History, dal titolo The Nature and Destiny of Man, Niebuhr sostiene che «nulla è più incredibile di una risposta ad una domanda che non si pone». Ed è proprio questo l’intento di Löwith, quello di abbandonare non solo l’orizzonte storicista ma anche le domande stesse che hanno animato la modernità, in primis quella sul “significato” della storia. Porsi questa domanda getta infatti l’esistenza umana di fronte ad un dilemma tragico al quale, tradizionalmente, sono state date due risposte: quella di Prometeo e quella di Cristo.

Luisa Borghesi è dottoranda in Storia e Scienze filosofico-sociali presso il Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

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