“Breve storia degli afroamericani” di Jonathan Scott Holloway

Breve storia degli afroamericani, Jonathan Scott HollowayBreve storia degli afroamericani
di Jonathan Scott Holloway
il Mulino

«Cosa significa essere americani? Questo libro, presentando la storia degli afroamericani, dimostra quanto sia difficile dare una risposta a questa domanda. Anche se per il momento non consideriamo che la presenza afroamericana nel Nordamerica precede di oltre 150 anni la fondazione stessa di questo paese, ci troviamo ugualmente davanti a un rebus: gli Stati Uniti d’America, così orgogliosi della loro vocazione alla libertà, nei loro documenti fondativi hanno accettato in più forme il mantenimento della schiavitù. Allo stesso modo, in un paese che assegna tanta importanza retorica alle pari opportunità, abbiamo troppo facilmente abbracciato l’idea che non ci fosse molto da fare per rimediare alle disuguaglianze strutturali nate dalla schiavitù basata sull’appartenenza razziale e presenti ancora oggi.

Decidere cosa significhi essere americani, comunque, non basta a cogliere in tutta la sua complessità la storia degli afroamericani. E ci sono altre domande ingannevolmente semplici che richiedono anch’esse risposte complesse. Per esempio, se il passato degli afroamericani anticipa la fondazione degli Stati Uniti, e se la storia che precede la Dichiarazione d’indipendenza è definita in modo preponderante dalle quotidiane brutalità associate alla schiavitù su base razziale, è utile porsi una domanda più generale: cosa significa essere umani? Chiedersi questo ci aiuta a penetrare nella mentalità dei colonizzatori inglesi che trovarono giustificabile creare un sistema di schiavitù su base razziale in Virginia per sostituire il sistema dei contratti di servaggio che avevano portato con sé quando avevano attraversato l’Atlantico.

Collegare fra loro le domande sull’umanità e sull’«americanità» – e così facendo creare un legame fra i colonizzatori inglesi di Jamestown, in Virginia, e i nuovi autoproclamati americani di Philadelphia, in Pennsylvania, circa 150 anni dopo – porta a sua volta a chiedersi: cosa significa essere cittadini? Questa domanda, che ci poniamo ancora oggi, ci aiuta a comprendere come la presenza di africani ridotti in schiavitù abbia generato crisi esistenziali in chi non era d’accordo con quelle limitazioni della libertà. Perfino per gli abolizionisti, che consideravano la schiavitù un peccato, i confini che delineavano il concetto di libertà per gli africani resi schiavi erano una questione controversa. Il contrasto era tanto concettuale quanto linguistico. La crescente tensione ideologica fra gli stati del Sud e del Nord circa il ruolo di un sistema schiavistico nelle sfere economica e politica del paese sfociò in un bagno di sangue nei primi anni ’60 dell’Ottocento. Circa 750.000 americani morirono nella guerra civile, un conflitto, alla base, su chi dovesse considerarsi un essere umano, un cittadino, un americano.

La questione della cittadinanza americana, dell’appartenenza, è centrale nelle controversie sui diritti civili che sono periodicamente divampate dalla fine della guerra civile a oggi. Mentre inizialmente queste dispute si manifestarono su temi come il diritto di accesso ai trasporti pubblici, agli studi superiori, alla sanità pubblica, all’edilizia sociale e al voto, poco dopo la fine della guerra civile cominciò a profilarsi un problema diverso, parallelo al dibattito sull’umanità degli schiavi africani: cosa significa essere civilizzati? Questa domanda, nata nei primi anni dell’era industriale industriale degli Stati Uniti e delle sue nascenti ambizioni globali, fu un invito per le risposte più malevole e indifendibili, tese a giustificare il fatto che si stavano semplicemente negando ai neri i benefici della cittadinanza americana. In molte più occasioni di quante gli storici abbiano potuto riportare, le risposte a questa domanda presero la forma del terrorismo interno, volto a far sì che gli afroamericani rimanessero sempre insicuri e incapaci di rivendicare il loro diritto di nascita in America senza rischiare il lavoro, la casa e perfino la vita.

Mentre tutte le questioni fin qui elencate richiedono risposte lunghe e articolate, che vanno al di là dei necessari confini di questa breve trattazione, c’è una cosa che è inequivocabilmente chiara: chiunque si avventuri nella storia, concisa quanto si voglia, del passato afroamericano, scopre che gli afroamericani non hanno mai cessato di chiedere di essere considerati umani, cittadini, americani e civilizzati. E hanno sempre rivendicato tutti i diritti, le responsabilità e i privilegi associati con quei riconoscimenti.

Uno dei maggiori ostacoli per l’accettazione di quelle richieste è sempre stato l’ostinato rifiuto di riconoscere agli afroamericani un ruolo attivo nella costruzione della nazione e nell’articolazione del loro stesso passato. […]

Vale la pena di notare che l’idea stessa di una storia degli afroamericani è un complicato terreno ideologico nel quale riverberano tutte le questioni che hanno animato questo libro. Al centro di questo mobile scenario c’è la domanda: «Chi merita di avere una sua storia?». Può sembrare strano chiederselo oggi, ma non è passato molto tempo da quando gli studiosi pensavano che non fosse possibile ottenere un’attendibile documentazione della storia degli afroamericani, e insistevano che non ci fossero documenti scritti che riguardassero il loro passato di schiavitù e che le eventuali continuità culturali fra gli schiavi africani e il continente d’origine non potessero essere sopravvissute alla brutalità della schiavitù. Tutte queste idee si sono dimostrate sbagliate.

Uno dei primi a proporre un identificabile passato afroamericano fu Carter G. Woodson, fondatore nel 1915 della Association for the Study of Negro Life and History ed editore del «Journal of Negro History». Nel 1926 Woodson istituì la Negro History Week, nell’intento di richiamare l’attenzione su specifiche figure del passato dei neri che avevano svolto un ruolo determinante nel dare forma alla nazione (la Negro History Week fu poi ribattezzata Black History Week e in seguito, nel 1976, fu riconosciuta dal governo federale come Black History Month). Woodson dovette combattere molte solitarie battaglie, ma andò avanti nel suo impegno per tutta la vita senza mai scoraggiarsi. Prima della sua morte, nel 1950, cominciò a vedere un lento ma costante aumento nel numero degli studiosi di storia afroamericana. Quella crescita è continuata, e le ricerche e i corsi di studio sulla storia dei neri sono ormai diffusi (anche se non dappertutto) nelle scuole primarie, nelle secondarie e nelle superiori. […]

La storia che segue parte dalle spiagge di Jamestown nel 1619, quando il primo gruppo di africani giunse in quell’insediamento. Da lì ci conduce fino al movimento Black Lives Matter, un sussulto attivistico che ha dichiarato in forme diverse che il presente e il passato degli afroamericani hanno un valore e un significato.»

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