“La nota a piè di pagina. Una storia curiosa” di Anthony Grafton

La nota a piè di pagina. Una storia curiosa, Anthony GraftonLa nota a piè di pagina. Una storia curiosa
di Anthony Grafton
traduzione di Gianna Lonza
Editrice Bibliografica

«Molti libri ci offrono note in calce alla storia: raccontano episodi marginali, ricostruiscono battaglie di rilievo secondario, oppure descrivono personaggi curiosi. Tuttavia nessuno, per quanto ne so, ha mai dedicato un libro alla storia delle note vere e proprie che nelle opere storiche moderne compaiono in margine al testo. Eppure per gli storici le note sono importanti. Sono, nel campo umanistico, pressappoco l’equivalente di quella che è nel campo scientifico l’informazione sui dati: presentano il fondamento empirico su cui si reggono le storie raccontate e le argomentazioni proposte. In mancanza di esse, le tesi storiche si possono ammirare o respingere, ma non si possono verificare o confutare. Procedimento basilare sul piano professionale e intellettuale, esse meritano un esame accurato non diverso da quello che da tempo gli storici della scienza dedicano ai taccuini di laboratorio e alle comunicazioni scientifiche.

Asserzioni sulla natura e le origini della nota a piè di pagina se ne trovano nelle storie della storiografia e nelle guide per la redazione delle tesi di storia, in particolare laddove si evocano a scopo polemico i bei tempi in cui gli storici erano veri storici e le note erano vere note. Spesso se ne ricava che in un particolare periodo (generalmente l’Ottocento) e luogo (perlopiù le università tedesche anteriori alla prima guerra mondiale) la nota a piè di pagina avrebbe conosciuto, quanto a solidità e precisione, la propria età dell’oro. Raramente però questi giudizi si basano su ricerche ampie, mentre il più delle volte sono intesi a sostenere, oppure a combattere, i metodi di una determinata scuola più che a ricostruirne le fonti e lo sviluppo. Inoltre gli sparsi studi pur esistenti rispecchiano, com’è naturale, i limiti della specializzazione e della prospettiva dei relativi autori. Ci sono stati studiosi che hanno collocato la nascita della nota a piè di pagina nel dodicesimo secolo, altri nel diciassettesimo, altri ancora nel diciottesimo e nel diciannovesimo, mai senza buone ragioni, ma di solito senza badare agli altri capitoli della storia in questione. Un obiettivo di questo mio saggio è di collegare gli sparsi fili della ricerca. Un altro, e più ambizioso, è di mostrare come, una volta intrecciati fra loro, i diversi capi compongano una narrazione di sorprendente interesse umano e intellettuale al pari di molte, più conosciute vicende della storia intellettuale. La nota a piè di pagina non è così uniforme e attendibile come credono alcuni storici. E neppure è quel marchingegno pretenzioso e autoritario che altri storici rifiutano. È la creazione di una varietà di persone di talento, tra cui filosofi oltre che storici. Il suo sviluppo ha richiesto un lungo periodo di tempo e seguito un percorso accidentato. E la ricostruzione di tale sviluppo getta una luce nuova su molte zone d’ombra della storia non scritta della cultura storica. […]

Nel Settecento la nota a piè di pagina nelle opere storiche fu una forma elevata di arte letteraria. Nessuno storico dell’età dei lumi creò qualcosa che superasse per dimensioni epiche e classicità di stile la Storia del declino e della caduta dell’impero romano di Edward Gibbon. E in quest’opera nulla quanto le note a piè di pagina divertì gli amici e fece infuriare i nemici. La loro irriverenza in materia di religione e di sesso diventò giustamente famosa. “Nei Ricordi”, dice Gibbon lo storico a proposito dell’imperatore Marco Aurelio, marito di Faustina, donna notoriamente “galante”, “[Marco] ringrazia gli dèi che gli hanno concesso una moglie così fedele, così amabile e di così ammirevole semplicità di costumi”. E Gibbon l’annotatore commenta garbatamente: “Il mondo ha riso della credulità di Marco; ma Madame Dacier ci assicura (e dobbiamo dar credito a una signora) che un marito è sempre ingannato se la moglie si degna di dissimulare”. […] “Il dotto Origene” e alcuni altri, spiega, analizzando la capacità dei primi cristiani di osservare la castità, “ritennero fosse cosa prudentissima disarmare il tentatore”. Soltanto la nota chiarisce che il teologo evitò ogni tentazione ricorrendo al drastico espediente di castrarsi, e rivela come Gibbon considerasse l’operazione: “Poiché Origene era solito interpretare allegoricamente la Scrittura, è un peccato che in quest’unico caso abbia preferito prenderla alla lettera”. Questi commenti allegramente sarcastici rimanevano conficcati come spine nella memoria dei lettori ortodossi per ricomparire a perseguitare l’autore negli innumerevoli libelli scritti dai suoi critici. L’arte di Gibbon serviva finalità polemiche non meno che erudite, così come le sue note avevano non soltanto lo scopo di sovvertire, ma anche di sorreggere la struttura monumentale della sua storia. […]

L’ascesa della nota a piè di pagina al rango di indispensabile strumento scientifico fu accompagnata – in molti casi – dal suo declino stilistico fino a diventare un elenco di citazioni molto abbreviate d’archivio. Leopold von Ranke, considerato l’alchimista che aveva creato l’apparato storico moderno, non amava in realtà le note a piè di pagina e non vi si dedicò con la cura e l’ingegnosità che metteva nella ricerca originale e nella stesura delle appendici ai suoi libri. Le note a piè di pagina fiorirono soprattutto nel Settecento, quando servivano da ironico commento al testo e ne sostenevano la veridicità. Nell’Ottocento persero il molo preminente di coro tragico e come tante Carmen si trovarono ridotte al rango di manovalanza di una fabbrica immensa e sporca. Ciò che aveva esordito come arte diventava inevitabilmente abitudine ripetitiva. […]

La storia della nota a piè di pagina dimostra che la forma della narrazione storica è mutata più e più volte nel corso degli ultimi secoli. È stato così anche perché gli storici si sono preoccupati di trovare nuovi modi per raccontare le vicende della loro ricerca e dei loro temi su due livelli distinti e in due momenti distinti. Non si possono, in breve, separare utilmente la storia della ricerca storica e quella della narrazione storica; in tale tentativo perfino gli sforzi più attenti e informati distorcono gli sviluppi che vorrebbero chiarire. I testi storici non sono testi narrativi come gli altri; sono il frutto delle forme di ricerca e di argomentazione critica attestate dalle note. Ma soltanto il lavoro letterario di comporre queste note consente allo storico di rappresentare, imperfettamente, la ricerca che sorregge il testo. […]

Di rado le pratiche di rinvio e citazione degli storici sono state all’altezza dei loro precetti; le note a piè di pagina non hanno mai convalidato, e non possono convalidare, ogni singola affermazione contenuta in una data opera. Nessun apparato riesce a impedire gli errori o abolire il dissenso. […] Tuttavia la nota, culturalmente contingente ed eminentemente fallibile, offre l’unica garanzia che le affermazioni sul passato derivano da fonti identificabili. Ed è l’unica ragione per potersene fidare.»

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