
Nel 2000, con il recepimento delle indicazioni del processo di Bologna si avvia la costituzione, oltre alla laurea di primo livello di tre anni in scienze del servizio sociale, di un biennio di specializzazione in programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali. Anche l’albo dell’Ordine degli assistenti sociali si articola in due livelli: albo B per chi passa l’esame di Stato dopo il triennio e albo A per coloro che lo sostengono dopo aver acquisito la laurea magistrale.
Dal punto di vista del ruolo professionale, è interessante notare che nella relazione illustrativa del testo di riforma dell’assistenza, presentata alle Camere nel 2000 da Livia Turco, si riconosceva «alla figura dell’assistente sociale una sorta di “ruolo chiave”, di vera centralità nella costruzione della rete», attraverso «la valorizzazione delle tecniche del servizio sociale professionale, considerato uno dei livelli essenziali di assistenza, che ogni ambito territoriale deve assicurare ai cittadini del proprio territorio» [Turco, 2000].
Al servizio sociale venivano attribuite inoltre funzioni di promozione, coordinamento ed impulso degli interventi volti a rispondere ai bisogni, a valorizzare le risorse e ad incentivare lo sviluppo armonico della persona intesa nella sua globalità, tenendo conto delle interazioni profonde che la vincolano al suo contesto.
Questa legge riconosce pienamente l’evoluzione del servizio sociale italiano. Nato prevalentemente con una funzione assistenziale, volto a riparare e contenere problematiche conclamate ed emergenti, il servizio sociale è diventato, a pieno titolo, una professione dotata di una propria metodologia, orientata a costruire progetti personalizzati e a programmare di interventi volti al reinserimento delle persone in difficoltà, ma anche coinvolta nella prevenzione del disagio latente, nella promozione delle potenzialità e delle qualità dei singoli individui e dei sistemi con i quali essi interagiscono.
Con l’attivazione della laurea magistrale il ruolo del servizio sociale viene ad occupare anche spazi maggiormente orientati alla programmazione dei servizi ed al coordinamento/direzione degli stessi.
Se negli anni 70 e 80 l’assistente sociale trovava impiego prevalentemente nel contesto pubblico, in questi ultimi decenni è andato aumentando il suo inserimento nei servizi del terzo settore e, anche se in misura molto limitata, nella libera professione.
Questo fatto è senz’altro legato all’affermarsi di una struttura di welfare plurale o welfare mix. Infatti, a fronte di un ridotto impegno finanziario dello Stato, nel nome di logiche neomanageriali, le richieste provenienti dai cittadini vengono sempre più spesso riorientate verso fornitori del privato sociale, accreditati dal pubblico (cooperative, imprese sociali, ecc).
Quali sono gli ambiti e la metodologia d’intervento del servizio sociale?
Gli ambiti di intervento, come abbiamo cercato di descrivere nel testo, sono molteplici e coprono tutte le fasi della vita (famiglia, minori, giovani, adulti, anziani) e le diverse problematiche quali lavoro, salute, salute mentale, disabilità, fine vita, dipendenze, giustizia, immigrazione, emergenze…
La metodologia di intervento del servizio sociale è fondata su un approccio scientifico e credo vadano sfatate rappresentazioni sociali riduttive e talvolta lesive dell’immagine di questo professionista. L’assistente sociale non è solo erogatore di prestazioni, non è la strega cattiva che toglie i figli ai genitori, non è il volontario di buon cuore e che usa il buon senso.
È un professionista che si muove utilizzando precisi riferimenti teorici, che offrono sia delle chiavi di lettura dei fenomeni (come ad es. sociologia, psicologia, antropologia), sia delle cornici entro cui muoversi (politica sociale, diritto) e grazie alle discipline specifiche di servizio sociale, degli strumenti operativi da attivare in relazione ai problemi e al contesto.
Quali problematiche affliggono il lavoro dell’assistente sociale?
Credo che vi siano una serie di problematiche di diversa natura che stanno rendendo faticoso il lavoro dell’assistente sociale. A livello generale, lo scarso riconoscimento anche economico della professione, nonostante il percorso accademico, la presenza dell’Ordine, le responsabilità che sono attribuite a questa figura professionale il cui intervento incide profondamente nella vita delle persone e nel benessere della comunità.
Un altro problema deriva dal minor investimento del pubblico nell’ambito del sistema di welfare, con la conseguente carenza di risorse per rispondere ai bisogni dei cittadini. Questo ha, inoltre, creato tensione nella popolazione che spesso si rivolge agli assistenti sociali con modalità aggressive.
I dati raccolti da una ricerca promossa e finanziata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, dalla Fondazione Nazionale Assistenti Sociali e da numerosi Consigli Regionali dell’Ordine degli Assistenti Sociali, evidenzia l’ampia diffusione del fenomeno e le possibili connessioni con le condizioni di crescente precarietà delle politiche sociali e di conseguente indebolimento delle reti dei servizi sociali posti a supporto alle persone con difficoltà psico-sociali. Si sottolinea anche una poca chiarezza in rapporto al ruolo del servizio sociale e, come dicevo, prima immagini negative enfatizzate dai media.
Un altro problema sicuramente è il sottodimensionamento del personale in servizio rispetto alle necessità che provoca non solo la possibilità di incorrere in fenomeni di burn out, ma anche la difficoltà a svolgere in maniera accurata e corretta il proprio lavoro per un sovraccarico delle situazioni da seguire.
A questo si aggiunge, in alcuni casi, la precarietà del posto di lavoro, legata alla delega di servizi attraverso appalto da parte del pubblico al privato sociale, con rapporti professionali spesso non adeguatamente retribuiti.
Come opera il servizio sociale nell’ambito di famiglie e minori?
Il servizio sociale nel proprio Codice deontologico, «riconosce la famiglia nelle sue diverse forme ed espressioni, nonchè i rapporti elettivi di ciascuna persona, come luogo privilegiato di relazioni» per cui il primo obiettivo è quello di sostenerla nelle diverse fasi del ciclo vitale (formazione della coppia, nascita dei figli, adolescenza, età anziana…) ma anche in quei momenti di crisi come la separazione, il divorzio, le difficoltà economiche, la presenza di anziani o persone con difficoltà.
L’attenzione al contesto familiare rappresenta in un certo modo la lente attraverso la quale l’assistente sociale guarda a ogni persona che incontra e con la quale intraprende un processo di aiuto. Gli interventi possono essere di diversa natura, di consulenza psicosociale per i problemi relazionali o di prestazioni assistenziali, ma sempre devono essere inseriti in un progetto che punti al riconoscimento delle capacità e delle competenze delle persone per sviluppare percorsi di autonomia.
Anche il tema dei minori viene affrontato in questa prospettiva. È oramai radicata la concezione che i bambini non siano più soggetti “minori” ma titolari di diritti a tutti gli effetti ed è evidente che la loro tutela deve essere perseguita come primo dovere dell’assistente sociale, laddove per motivi diversi i genitori non siano in grado di garantire un accudimento adeguato.
I genitori vengono aiutati, fin dove possibile, a migliorare le loro capacità genitoriali, vengono sostenuti con interventi diversi e solo quando il minore si trovi in situazioni di grave rischio o di pericolo si provvede con una segnalazione al giudice che può decidere l’allontanamento dal nucleo familiare e la collocazione in affidamento, comunità o adozione.
Certamente nel far fronte alle esigenze di tutela dei minori si possono individuare diversi orientamenti delle politiche sociali. Il sistema italiano ha cercato di combinare due diversi approcci: quello tipicamente diffuso nei paesi anglosassoni, che ha come priorità la protezione e la difesa dei bambini da abusi e negligenze e quindi l’identificazione dei rischi, e quello tipico dei paesi nordeuropei, che si focalizza sulla promozione e il benessere e considera il maltrattamento e l’abuso in relazione al contesto di vita e punta sulla prevenzione e il supporto alla famiglia. Aiuto e controllo trovano quindi una ricomposizione nell’ambito del lavoro dell’assistente sociale.
Quali interventi di servizio sociale sono rivolti alla popolazione anziana e alle persone con disabilità?
Credo sia importante sottolineare una linea di tendenza generale che si è instaurata a partire dagli anni 70: domiciliarità e integrazione sono due termini che caratterizzano gli interventi professionali del servizio sociale. Mi spiego meglio, il processo di deistituzionalizzazione e di valorizzazione del mantenimento della persona nel proprio contesto di vita, ha condotto a sviluppare esperienze di assistenza domiciliare per gli anziani, con sostegno economico come l’erogazione degli assegni di cura, con interventi di aiuto concreto nell’ambito della propria abitazione (pulizia, igiene personale, infermieristica, pasti pronti, servizio lavanderia..) o con interventi di sollievo come i centri diurni e i ricoveri di respiro. Certamente rimangono presenti diversi supporti residenziali per le situazioni in cui o non ci siano risorse familiari o l’aggravamento delle condizioni di salute e autonomia richieda una cura più intensa. Interessanti gli interventi a supporto dei care givers, soprattutto per i malati di Alzheimer.
Per quanto riguarda la disabilità, i processi di integrazione sono partiti dall’abolizione delle scuole speciali e differenziali e l’inserimento dei minori nelle scuole normali, per poi procedere verso esperienze di inserimento lavorativo. Anche in questo settore la linea guida della domiciliarità è fondamentale. A fronte di percorsi di istituzionalizzazione che erano presenti nel passato, si è privilegiato il mantenimento dei soggetti disabili all’interno della propria famiglia, con interventi simili a quelli del settore anziani e quando questo non sia più possibile si individuano soluzioni alternative come gruppi appartamento più o meno protetti a seconda della gravità del soggetto.
Quali nuove sfide pongono al servizio sociale i mutamenti della nostra società?
I mutamenti della nostra società hanno portato sicuramente ad una maggiore pressione sul sistema dei servizi sociali e quindi sul ruolo dell’assistente sociale.
Sinteticamente possiamo elencare alcune sfide:
- gli effetti della globalizzazione che si ripercuotono sia a livello economico che culturale anche sulla nostra società e in modo particolare il fenomeno dell’immigrazione;
- l’emersione di nuovi problemi sociali e la complessificazione di vecchi e nuovi bisogni, che oggi trovano il servizio sociale in difficoltà ad offrire risposte adeguate per la notevole diminuzione delle risorse socioeconomiche;
- la moltiplicazione dei soggetti istituzionali e professionali che caratterizzano il panorama dell’organizzazione dei servizi, nel sistema di welfare mix di cui abbiamo parlato prima e che quindi richiedono una capacità di creare reti e processi di collaborazione tra soggetti diversi;
- le logiche neo liberistiche e managerialistiche che hanno prodotto una riduzione non solo dei budget a disposizione dei servizi sociali, ma anche una burocratizzazione negli interventi sociali, con scelte politiche più vicine a modelli di beneficenza e mercantili, anziché di diritto e di giustizia sociale.
Quali prospettive future per il servizio sociale?
Personalmente credo che nel prossimo futuro il servizio sociale dovrà affrontare una criticità molto forte, legata agli effetti anche economici, oltre che sanitari e psicologici della pandemia.
Il servizio sociale deve attivarsi per sviluppare proposte che possano essere recepite dalle politiche sociali, orientate a non lasciare indietro nessuno. La consapevolezza del ruolo che il servizio sociale può svolgere per contribuire attivamente al raggiungimento dei Social Development Goals deve diventare parte integrante dell’impegno dell’assistente sociale nell’attività quotidiana.
La sfida che la professione si trova ad affrontare è molto grande, va fatto uno sforzo di pensiero e di innovazione per trovare modalità operative e di programmazione degli interventi che non si pieghino a logiche burocratiche, ma che attivino processi di promozione della salute, coinvolgendo gli attori sociali presenti all’interno delle comunità.
Da un punto di vista più strutturale, è necessario che si rinforzino i parametri di assistenti sociali per numero abitanti, molto disomogenei sul territorio nazionale e di molto inferiori a quelli in vigore in altri paesi europei. Infatti, in questo momento il sostegno alle persone ed alle famiglie che hanno visto aggravarsi le condizioni di emarginazione e disagio è fondamentale, ma è anche centrale prendersi cura di un’area di popolazione che non aveva precedentemente avuto necessità di accedere ai servizi, ma che ha visto la discesa verso una situazione di povertà per la perdita del lavoro a causa della pandemia.
Vanno finalmente definiti i livelli essenziali di assistenza, va messo in campo un impegno significativo per integrare i servizi sanitari con il sociale, necessità emersa chiaramente in questi mesi.
Ritengo, inoltre, fondamentale dal mio osservatorio di Presidente dell’Associazione Internazionale delle Scuole di Servizio Sociale, il riconoscimento della disciplina di servizio sociale come disciplina autonoma, un ripensamento radicale dei percorsi formativi con l’adeguamento dei corsi agli standard definiti dalle associazioni internazionali (IASSW e IFSW) affinchè vi sia una preparazione più adeguata degli assistenti sociali per rispondere alle sfide della società contemporanea.
Annamaria Campanini, assistente sociale, sociologa e terapeuta della famiglia, è professore associato presso l’Università di Milano Bicocca e presidente dell’IASSW (International Association of Schools of Social Work). Svolge una intensa attività di docenza e conferenze in Italia e all’estero. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Intervento sistemico (Carocci) tradotto in spagnolo e cinese e la direzione del Nuovo Dizionario di Servizio sociale (Carocci).