
In primis il calcio è, senza dubbio, un fatto sociale come affermò il sociologo francese Émile Durkheim. Diversi studiosi, dopo di lui, hanno sviluppato concetti applicabili anche questo mondo. Bisogna, ad esempio, ricordare che il termine «ruolo» è un concetto sociologico che esprime l’insieme dei compiti che spettano all’individuo, secondo la sua posizione sociale; esso è definito da norme sociali regolatrici. Nella società possiamo distinguere tra politici, insegnanti, medici, ecc., ma anche nel calcio ogni protagonista ha un ruolo, sia esso il portiere, il difensore o l’attaccante. Sul terreno di gioco i ruoli sono ben definiti, cosa che non sempre avviene in altri campi, senza voler scomodare la vecchia affermazione per cui in Italia ci sono 60 milioni di C.T. della Nazionale, basta far riferimento alla marea di persone che pensano di essere autorizzate a rivestire (senza alcuna specifica competenza) il ruolo di scienziati, economisti, medici, politici, ecc. Tornando al calcio, occorre comunque ammettere che esistono molte sfaccettature quando si affronta questo tema. Parafrasando quanto George Orwell scrisse nella Fattoria degli animali: «Tutti i calciatori sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri». Un concetto sulla gerarchia dei ruoli ben espresso dalla frase attribuita al mitico allenatore Nereo Rocco: « un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono».
Un altro aspetto che va colto è quello delle regole. Tutte le società, se vogliono sopravvivere, devono assicurarsi che i cittadini rispettino determinate convenzioni, ma soprattutto che queste diventino patrimonio etico condiviso. Il furto deve quindi essere considerato (anche se storicamente ci sono state diverse eccezioni) degno di condanna. Dopo di che si pensi al gol di mano di Maradona contro l’Inghilterra nei mondiali del 1986, l’azione è entrata nella storia non come un atto riprovevole ma come un segno divino: «la mano de Dios». Il piano delle regole è forse uno dei più interessanti da analizzare. Da questo punto di vista ci sono dei comportamenti calcistici, come il toccare la palla con le braccia e le mani, che assurgono al ruolo di veri e propri tabù, cioè proibizioni relative ad una certa area di comportamenti. Ovviamente nel corpus giuridico di una società sono altri i tabù, ma il paragone si può fare.
Tantissime sono le metafore che collegano calcio e società, per questo motivo ho pensato di raccogliere le più significative grazie ai contributi di molti autori che, a vario titolo, si sono cimentati nell’impresa di narrare, interpretare, giustificare questo legame. In questo senso mi ritrovo nella parole del drammaturgo americano Wilson Mizner: «Quando rubi da un autore è plagio, quando rubi da tanti è ricerca».
Moltissime sono le locuzioni calcistiche entrate a far parte della nostra vita quotidiana, finanche della storia del nostro Paese: pensiamo, ad esempio, alla famosa «discesa in campo» di Silvio Berlusconi del 1994. Come condiziona la nostra vita questo che è molto più che uno sport?
Non casualmente un capitolo del libro è dedicato agli aspetti semiotici e semantici del calcio. La famosa «discesa in campo» di Berlusconi è un esempio molto citato, anche perché ha condizionato l’evoluzione politica italiana degli anni successivi. Il senso della frase è formalmente ambiguo. Significa «gareggiare, affrontare una competizione, misurarsi con qualcuno» ma la locuzione è applicabile sia ad una posizione pubblica sia ad una gara sportiva. Come ha acutamente osservato in una intervista il cantautore Roberto Vecchioni, grande tifoso interista, la scelta dell’imprenditore lombardo «indica non tanto lo “scendere in campo” quanto una “scelta di campo” ben precisa». Lo scudo crociato della DC, le bandiere rosse, il logo di Forza Italia rappresentano «segni» di riconoscimento e adesione così come, allo stadio, i tifosi che sventolano una bandiera o una sciarpa indicano iconicamente l’appartenenza ad un raggruppamento ben preciso.
Ritornando su un piano più generale, se ci soffermiamo un po’ su alcuni aspetti linguistici troviamo elementi come le iperboli, le similitudini, gli ossimori che (spesso senza rendercene conto) fanno parte della nostra esistenza e che trovano nel linguaggio calcistico un ambiente perfetto. Consideriamo ad esempio una frase che può sembrare banale ma che ha un significato esemplare: nella votazione il Governo, grazie all’assenza di alcuni deputati dell’opposizione, «si è salvato in corner». La frase assume il senso di un salvataggio che provoca un danno minore per evitare un danno maggiore. Se poi vogliamo uscire dalle metafore politiche possiamo ricordare il film del 2010 «Basilicata Coast to Coast»; ovviamente il film strizza l’occhio al più noto viaggio attraverso gli Stati Uniti. Il termine inglese viene però anche utilizzato nel calcio per riferirsi ad un gol realizzato in un’azione partita dalla propria area.
Un’ultima citazione, quasi obbligatoria. Negli anni ’30 vi fu un giocatore della Juventus che aveva la caratteristica di segnare verso la fine della partita, dal nome di questo giocatore fu coniato il motto “in zona Cesarini” per indicare qualcosa che avviene all’ultimo minuto. Quante volte abbiamo detto o sentito pronunciare questa frase?
Nel libro ogni capitolo esamina il calcio sotto diversi aspetti – antropologici, economico–giuridici, fisici, letterari, matematici, medici, psicologici, religiosi, semiotici e linguistici, storici e zoologici: quali sono, a Suo avviso, quelli più notevoli di questo gioco?
Domanda insidiosa, è un po’ come chiedere ad un padre quale dei propri figli si dimostra migliore degli altri. Non voglio però eludere la domanda e quindi risponderò distinguendo tra le mie preferenze e quelle che ritengo essere gli aspetti più notevoli in generale. Personalmente, visto che sono un appassionato tifoso (e praticante non professionista) e che ho passato la mia vita lavorativa ad insegnare matematica, i due temi che più mi coinvolgono sono la matematica e la religione (intesa come fede sportiva).
In realtà, visto che il calcio è un business miliardario credo che gli aspetti economici siano prevalenti. Basta pensare che in Italia il calcio ha contribuito alla crescita del PIL nel 2017-18 per un percentuale del 7%. Non parliamo poi di altri paesi: se si esamina il fatturato delle prime 20 squadre europee si può notare che metà dei club è inglese. L’Inghilterra, notiamo per inciso, fu anche la prima nazione ad avere una società quotata, il Tottenham (1983). Spesso si sentono lamentazioni da parte di molti tifosi che sostengono come il calcio si sia snaturato e negli ultimi anni sia diventato un business. Annotazione corretta ma che va retrodatata; solo alle origini il calcio è stato uno sport amatoriale e i giocatori svolgevano tutti un altro lavoro, ma fin dal 1926, con la Carta di Viareggio, venne introdotta in Italia la possibilità di retribuire i calciatori. Pinzillacchere, direbbe Totò, in confronto agli sviluppi successivi che hanno visto enormi investimenti, modifiche societarie, trasformazioni sul piano giuridico (es.: legge Bosman). Un solo dato economico: se calcoliamo il prezzo di quello che può essere considerato il “prodotto” di una partita si ricava che nella Serie A un gol “costa” circa 40€ mentre in Premier League il gol è più dispendioso (quasi 72€).
In effetti manca, talvolta, uno sguardo d’insieme. C’è una considerazione che ritengo importante: se si esamina la «storia della palla» possiamo scoprire in filigrana un pezzo di storia. Non a caso ho citato nel libro il mitico scontro tra la squadra di Don Camillo (Gagliarda) e quella di Peppone (Dinamo) come metafora di un periodo particolare della nostra storia politica. Ciò è vero anche senza arrivare all’estremo aforisma di George Bernard Shaw: «Il calcio è l’arte di comprimere la storia universale in 90 minuti».
Se passiamo dalla storia alla quotidianità non possiamo non sottolineare il fatto che in questo momento siamo di fronte ad una pandemia che sta sconvolgendo il nostro sistema economico, mette a dura prova quello sanitario, stravolge le nostre abitudini. In concomitanza di ciò è riemerso un termine poco noto: resilienza. In psicologia la resilienza indica la capacità di far fronte a eventi traumatici, di riorganizzarsi dinanzi alle difficoltà. Anche nel calcio si può parlare di resilienza, è essenziale che il singolo calciatore o tutta la squadra abbia la capacità di rispondere positivamente ad ostacoli e insuccessi. Si tratta di un aspetto psicologico non secondario.
Vorrei concludere cercando di fare un passo indietro o forse, come è diventato usuale dire, un passo di lato. Voglio cioè dire che, al di là di tutte le componenti che è possibile analizzare, rimane il fatto che si tratta di un gioco. Sottoposto a vincoli economico-finanziari, fonte di truffe e manipolazione dei risultati, intessuto di scambi non puliti, triste esempio di merce-spettacolo, cloroformio sociale, ma comunque un gioco affascinante (almeno per noi ingenui adepti).
Alessio Drivet, laureato all’Università di Trento nel 1975, docente di Matematica, Probabilità e Statistica, in pensione dal 2011, ha collaborato come professore a contratto con l’Università di Torino. Ha pubblicato libri e articoli di matematica e informatica (ma non solo) presso diverse case editrici. Attualmente è membro del GeoGebra Institute di Torino. Si occupa della diffusione della matematica tra gli studenti delle scuole superiori. Grande amante dei viaggi, la sua passione per il calcio lo ha portato a scrivere Il calcio come metafora per i tipi dell’Editrice Aracne.