“Principi di stratigrafia archeologica” di Edward C. Harris

Principi di stratigrafia archeologica, Edward C. HarrisPrincipi di stratigrafia archeologica
di Edward C. Harris
Carocci

«Il principio che gli elementi di un sito archeologico possano essere rinvenuti stratificati, uno strato o struttura sopra l’altro, è di primaria importanza nell’indagine di questi monumenti del nostro passato effettuata mediante lo scavo archeologico. Questo libro discute i prin­cipi della stratigrafia archeologica che gli scavatori possono applicare allo studio dei siti archeologici, sia sul campo che nelle analisi succes­sive allo scavo.

L’accento del libro è posto sugli aspetti cronologici, topografici e non-storici della stratificazione archeologica. Viene qui teorizzato che la stratificazione archeologica si presenti generalmente come un fenomeno fisico analogo da un sito ad un altro. I principi della strati­grafia archeologica sono pertanto applicabili ovunque.

Il numero particolare e le forme individuali degli strati e degli elementi di un sito archeologico dipenderanno dalle circostanze stori­che e culturali in cui essi si sono formati. Solo queste caratteristiche storiche e culturali della stratificazione archeo­logica vengono interpretate mediante l’applicazione dei principi delle scienze sociali e storiche. I principi della stratigrafia archeologica in questo genere di interpretazioni hanno solo un ruolo minore.

Tali principi si applicano agli aspetti fisici della stratificazione ar­cheologica. Essi permettono all’archeologo di determinare l’ordine cronologico relativo nel quale la stratificazione si è formata e di do­cumentare le sue caratteristiche topografiche e fisiche; l’archeologo può in tal modo distinguere una fossa dagli strati che la riempiono, ma l’applicazione dei principi della stratigrafia archeologica non con­sente di dedurre in quale periodo storico o culturale la fossa sia stata scavata, usata, o riempita. I principi della stratigrafia archeologica si riferiscono a siti nei quali la stratificazione sia prevalentemente di origine artificiale. Altri siti archeologici saranno composti quasi interamente di stratificazioni naturali o geologiche e la loro interpretazione sarà legata ai principi della stratigrafia geologica.

Alcuni archeologi ritengono che i principi geologici siano adatta­bili allo studio dei siti archeologici. Io non sono d’accordo ed ho inti­tolato questo volume usando le parole «stratigrafia archeologica» per uno scopo molto preciso. Si tratta di questo: quando l’uomo fece la sua comparsa sulla terra diede inizio ad una grande rivoluzione nei processi di stratificazione allora esistenti e condotti da agenti naturali.

Questo grande cambiamento ha avuto almeno tre aspetti fondamen­tali: primo, l’uomo ha dato inizio all’evoluzione di una serie di oggetti (che, una volta sepolti, divengono una sorta di fossile) e questi, essendo inanimati, non si sono uniformati al processo di evoluzione or­ganica attraverso la selezione naturale; secondo, ha cominciato a de­finire aree preferenziali di uso sulla superficie della terra, come ad esempio quelle intorno ai focolari primitivi che, con l’andare del tempo, hanno alterato la stratificazione in tali aree in maniera diversa da qualsiasi forza naturale; terzo, ha cominciato ad effettuare scavi nel terreno piuttosto per scelta culturale che non per istinto. Questa rivoluzione separa la stratigrafia archeologica da quella geologica, il naturale dall’umano. Gli oggetti archeologici, diversamente dalle spe­cie viventi, non hanno un corso di vita stabilito; la loro presenza nella stratificazione sconvolge le ipotesi geologiche di evoluzione e cam­biamento quali ci appaiono attraverso i resti fossili stratificati. Aree preferenziali di uso hanno cominciato ad essere custodite gelosamente come limiti di proprietà di dimensioni familiari o nazionali e si mani­festano stratigraficamente nella comune recinzione da giardino come nella Grande muraglia cinese. Questi limiti raramente si pongono secondo modelli naturali, ma seguono il volere dell’uomo e dividono la terra in appezzamenti innaturali. Diversamente dagli animali che sca­vano in modo ripetitivo, anno dopo anno, la loro tana, l’uomo iniziò a scavare per scelta culturale e non per istinto di ripetizione. Quando l’uomo imparò a scavare (una delle più grandi conquiste umane su­bito dopo la costruzione di utensili?) produsse elementi stratigrafici che non avevano alcun equivalente geologico. Ciascuna cultura, in­fine, sviluppò modi suoi propri di scavo per rispondere a diverse esi­genze, dalla sepoltura per i morti alla costruzione di centri e città.

Quando le diverse società passarono da una forma di vita ad un’altra, quando il nomade cedette il passo alle prime forme di urba­nizzazione, a ciascun incremento della complessità materiale della cul­tura umana si accompagnò una crescita dell’insieme delle sue tracce stratigrafiche. Ad ogni grande cambiamento, come la rivoluzione in­dustriale dei secoli recenti, i modelli materiali della vita dell’uomo sono divenuti meno naturali e più specificamente umani, come gli abitanti delle giungle di asfalto potranno testimoniare. Il più grande mutamento di interesse è stato forse il passaggio ad una vita sedenta­ria e urbana. È a partire da questo momento che i principi geologici della stratigrafia divengono meno utilizzabili per chi studia la stratifi­cazione artificiale: è da questo momento che la richiesta di una “stra­tigrafia archeologica” non può essere più elusa.

Con l’inizio della vita nei centri urbani la natura della stratigrafia archeologica è cambiata in modo radicale. La quantità dei depositi è molto aumentata, così come quella delle distruzioni, riflesso entrambe delle crescenti capacità dell’uomo di scavare e di costruire. Questo cambiamento è evidente nella stratificazione di ogni sito nel mondo e può essere osservato in attività moderne quali l’estrazione in miniera o la costruzione di grattacieli. La rivoluzione urbana si è rivelata così come componente di una rivoluzione verificatasi nei processi di strati­ficazione, sia geologica che archeologica. […]

Questo libro costituisce un tentativo di definire i principi della stratigrafia archeologica, un compito che avrebbe potuto essere as­solto più di cinque decenni or sono. Il lavoro è articolato in tre parti principali: la parte prima esamina lo sviluppo storico di alcuni aspetti dei concetti geologici e archeologici sulla teoria della stratigrafia; in essa si guarda anche alla documentazione e allo scavo della stratifica­zione su siti archeologici in una prospettiva storica. La seconda parte prende in considerazione le singole caratteristiche della stratificazione archeologica, i metodi secondo i quali viene documentata e la sua analisi dopo l’esecuzione dello scavo. La parte finale del libro è costi­tuita da una serie di appendici: la prima traccia uno schema dei mo­derni metodi di documentazione; la seconda discute brevemente lo sviluppo del matrix di Harris e la terza è un glossario dei termini usati nella stratigrafia archeologica.»

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