“Lettere a Lucilio” di Seneca

Lettere a Lucilio, SenecaLe Epistulae morales ad Lucilium «sono state scritte da Seneca dal 62 al 65, l’anno della morte; si tratta di 124 epistole, distribuite in venti libri, ma la raccolta non è forse completa, giacché Gellio cita i brani contenuti in un’epistola del xxii libro. Il destinatario, l’amico Lucilio, è lo stesso cui sono dedicati il dialogo De providentia e il trattato Naturales quaestiones; dallo stesso Seneca apprendiamo che Lucilio, cavaliere campano di poco più giovane di lui, era in quegli anni procuratore in Sicilia, e coltivava interessi filosofici, scientifici e poetici.

Si è a lungo discusso se l’epistolario di Seneca comprendesse vere lettere o avesse un carattere puramente letterario. Non c’è dubbio che esso contiene una serie di dati reali, di notizie di vita quotidiana riferite all’amico, del quale l’autore ricorda spesso anche alcune risposte; tuttavia è altrettanto evidente che molte epistole sono concepite (o almeno riscritte) in funzione della pubblicazione, e talora costituiscono dei veri trattati. D’altra parte se l’obiettivo dichiarato del filosofo è quello di contribuire al progresso morale dell’amico, il suo messaggio filosofico aspira a raggiungere un destinatario più ampio, gli uomini nella loro universalità, i posteri, nel cui interesse egli ritiene di operare. Il genere epistolare aveva a Roma un modello importante nelle lettere di Cicerone; Seneca vuole tuttavia comporre, sull’esempio di Platone e soprattutto di Epicuro, un vero e proprio epistolario filosofico, un genere che non aveva precedenti nella letteratura latina. Proprio nella scia di Epicuro, egli ritrova nell’epistola la forma più idonea a un insegnamento filosofico, che non ambisce alla sistematicità, ma assume piuttosto il carattere colloquiale della conversazione sui temi più importanti della dottrina stoica, liberata di ogni eccessiva rigidità di scuola.

Seneca discute del problema del tempo, della morte, della paura, del dolore, della libertà individuale, traendo spunto da fatti occasionali e quotidiani, così da giungere a delineare il percorso ideale della vita etico-conoscitiva del sapiens, che deve muovere dalla conoscenza di sé come premessa necessaria alla conoscenza della natura, il suo fine ultimo. La sapientia, come si legge nell’epistola 65, ha una funzione etico-pratica: è remedium doloris perché insegna a essere liberi e la vera libertà consiste nel disprezzo del corpo. È la prospettiva della interiorità, che si contrappone a quella della politica; lo stoicismo di Seneca accetta di aprirsi all’istanza della dottrina epicurea, che consiglia al saggio di allontanarsi – per quanto possibile – dalla vita politica.

Il filosofo attraverso il colloquio continuo con l’amico, che procede costantemente sulla via della sapientia (anche per questo le epistole acquistano una sempre maggiore complessità strutturale e tematica), progredisce anche lui sul piano del perfezionamento morale e della conoscenza di se stesso. Egli diventa l’esempio di un percorso anche doloroso che lo porta a prendere coscienza delle proprie contraddizioni e delle proprie debolezze, così che questo senso del limite si trasforma in aspirazione a raggiungere la contemplazione della natura, in cui si esprime il disegno razionale della divinità.»

tratto da Letteratura latina. Una sintesi storica di Alberto Cavarzere, Arturo De Vivo e Paolo Mastandrea, Carocci editore

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