“Cristianesimo e cultura classica” di Charles Norris Cochrane

Cristianesimo e cultura classica, Charles Norris CochraneCristianesimo e cultura classica
di Charles Norris Cochrane
traduzione di Daisy Gallino Michels
Edizioni Dehoniane Bologna

«In questo lavoro ci proponiamo di analizzare la rivoluzione prodottasi nel pensiero e nell’azione quando il cristianesimo si diffuse nel mondo greco-romano. Questo argomento di enorme importanza non è stato considerato con l’attenzione che meritava, particolarmente da parte degli studiosi di lingua inglese. Ciò si deve in parte allo studio piuttosto specializzato richiesto dai singoli problemi, in parte però anche al fatto che oggi gli studiosi hanno accettato generalmente la separazione dei diversi campi d’indagine, separazione, a mio avviso, del tutto arbitraria e per nulla giustificata dal corso degli eventi. Ne risulta che gli studi sulla cultura classica e quelli sul cristianesimo si ignorano reciprocamente, con conseguenze forse deleterie in entrambi i casi.

In questo lavoro ho osato sfidare la consuetudine accettata ed ho affrontato la trasformazione del mondo di Augusto e di Virgilio in quello di Teodosio e di sant’Agostino. Mi rendo perfettamente conto della mia temerarietà nell’affrontare una simile impresa. Ma mi sono deciso ad intraprendere questo studio sia perché presenta un intrinseco interesse, sia perché getta nuova luce sui successivi sviluppi della cultura europea. E mi ha incoraggiato il pensiero che, per quanto difficili siano i problemi religiosi e filosofici che bisogna affrontare, lo storico non può trascurarli se non vuole ignorare il vero significato degli eventi di quel periodo.

Trattandosi di un tema così vasto e intricato, è stato necessario definirlo con una certa precisione. Per questa ragione ho scelto come punto di partenza l’impero di Augusto, con le sue ambizioni di “eternità”, come espressione definitiva e compiuta di un ordine classico. Con questo non si deve intendere che l’opera di Augusto fosse in sé qualcosa di profondamente nuovo. Al contrario, essa segnò il culmine di una tendenza cominciata già da secoli prima in Grecia, lo sforzo di creare un mondo che salvasse la civiltà, e, sotto questo punto di vista, l’originalità dimostrata dall’imperatore fu semplicemente di metodo. In questo senso, tuttavia, le sue realizzazioni possono essere accettate come l’ultimo e non minore risultato importante di ciò che potremmo definire “politica creativa”.

La storia del cristianesimo nell’epoca greco-romana si risolve in gran parte in una critica di questo risultato e delle idee su cui esso si fondava; cioè che fosse possibile raggiungere uno stato permanente di sicurezza, pace e libertà grazie all’azione politica e particolarmente con la sottomissione alla “virtù e fortuna” di un capo politico. I cristiani attaccarono questa teoria con costante vigore e coerenza. Lo stato, ben lungi dall’essere lo strumento supremo dell’elevazione e dell’emancipazione umana, era per loro un sistema di vincoli che poteva essere giustificato al più come “rimedio contro i peccati”. Pensare diversamente era da essi considerato la più grossolana superstizione.

Secondo i cristiani questa superstizione era la conseguenza di una logica difettosa, la logica del “naturalismo” classico, al quale ascrivevano i caratteristici vitia del mondo classico. È importante notare, a questo riguardo, che essi non si ribellavano contro la natura, ma contro la rappresentazione della natura data dalla scientia classica, e particolarmente contro le sue conseguenze nella vita pratica. E ciò che essi richiedevano era una revisione radicale dei principi fondamentali, come presupposto per una concezione adeguata dell’universo e dell’uomo. Essi sostenevano che tale revisione doveva fondarsi sul logos di Cristo, concepito come la rivelazione di una verità che non era nuova, ma eterna ed antica come il mondo. L’accettavano come una risposta alla promessa di luce e di potenza estesa all’umanità, e perciò come base di una nuova visione della natura, di una nuova etica, e soprattutto di una nuova logica, la logica del progresso umano. In Cristo, quindi, essi affermavano di possedere un principio di comprensione superiore a qualunque altro esistesse nel mondo classico. In nome di questa fede erano pronti a resistere o morire.

Non toccherebbe a me, come storico, esprimere un giudizio sul valore in assoluto delle concezioni cristiane contrapposte a quelle classiche. Il mio compito è semplicemente di riconoscere quelle idee come parte essenziale del movimento storico che ho cercato di descrivere. Ho fatto del mio meglio, in questo tentativo, per lasciare che gli esponenti di entrambe le parti parlassero, per quanto possibile, con le loro stesse parole. Ancor meno opportuno sarebbe stato cercar di applicare le questioni dibattute nei primi quattro secoli ai problemi della nostra epoca inquieta. Tuttavia, per coloro che stanno cercando una soluzione a quei problemi, si può almeno accennare che la risposta non si troverà tentando di resuscitare idee sorpassate, connesse ai modi di vita del mondo classico. Questo non significa negare le realizzazioni del pensiero greco-romano, ed ancor meno lo studio approfondito ed attento di esso, al contrario, ciò significa porle in una prospettiva per cui, io credo, acquistano infinitamente di valore e significato. Come dicono i cristiani (con una certa mancanza di generosità), il modo migliore di avvicinarsi alla verità è attraverso un esame dell’errore. E da questo punto di vista non si può negare che i grandi classici furono tutti degli splendidi peccatori. La loro opera costituisce perciò un “possesso perenne”, se non proprio nel senso che essi immaginavano, ad ogni modo come una durevole testimonianza dei pensieri e delle aspirazioni di quello che si deve sempre considerare come un capitolo d’importanza unica nell’esperienza umana.»

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