“La scrittura o la vita. Dieci incontri dentro la letteratura” di Annalena Benini

Dott.ssa Annalena Benini, Lei è autrice del libro La scrittura o la vita. Dieci incontri dentro la letteratura edito da Rizzoli. Per tutti gli autori da Lei raccontati la scrittura era un mestiere, ma quando essa diviene una vocazione?
La scrittura o la vita. Dieci incontri dentro la letteratura, Annalena BeniniCredo che la vocazione sia qualcosa di molto precedente al mestiere. La vocazione prende la testa e la porta con sé, dentro la scrittura, quando ancora la scrittura non è un mestiere, quando non si è pubblicato niente, quando ci si siede a un tavolo e si scrive, e basta. E la vocazione resta anche quando la scrittura diventa un mestiere, e supera il mestiere, sopporta il fallimento, quando il fallimento arriva, e supera il successo, se il successo arriva. La definizione più semplice di vocazione è per me quella che ha dato Marina Cvetaeva, poetessa russa, nel 1919: “Perché scrivo? Scrivo perché non posso non scrivere. Alla domanda sullo scopo – risposta sulla causa. E non può essercene altra”. Questa vocazione ho cercato di indagare nelle interviste a dieci importanti scrittori italiani: volevo scoprire quando è arrivato il momento in cui ci si è sentiti “scrittori”, quanto è stato difficile, quali sono gli effetti sulla vita dei giorni di questo pensiero altrove, quali sono stati i libri e gli incontri fondamentali, com’è la giornata di uno scrittore e come si misura con il lavoro, l’ispirazione, il resto del mondo.

Attraverso quali strade si perviene alla scrittura?
Credo che la strada principale attraverso cui arrivare alla scrittura sia la lettura. La maggior parte degli scrittori che ho intervistato mi hanno raccontato dell’impressione vivida dei romanzi letti da bambini e ragazzi. Walter Siti, Michele Mari, Valeria Parrella che attraverso Liala scopriva la bellezza dei titoli e ogni giorno inventava un titolo per il suo primo libro, Francesco Piccolo che a un certo punto ha deciso che, se voleva continuare a scrivere (questo molto prima di pubblicare) doveva leggere molto di più, studiare, vedere molti più film anche. E scriveva su un quaderno frasi e pensieri, alla maniera dei Taccuini di Francis Scott Fitzgerald. Ma anche Melania Mazzucco che sentiva il ticchettio della macchina da scrivere di suo padre, da bambina, e quel rumore era per lei il rumore della vita. Si arriva a scrivere anche attraverso strade tortuose e interrotte, come è accaduto a Domenico Starnone, che fra i sedici e i ventidue anni voleva scrivere ma poi abbandonò, perché non si sentiva abbastanza bravo, perché aveva un figlio e doveva provvedere alla famiglia. E poi, molti anni dopo, la sua vocazione l’ha afferrato di nuovo.

Perché si scrive?
Si scrive per rispondere a un impulso, perché non si può fare altrimenti. Perché una storia preme nella testa, come ha detto Gabriel Garcia Marquez, o perché ci si sente felici mentre si scrive e impacciati nel resto della vita, perché è quello il pensiero con cui ci si sveglia la mattina e si va a dormire la sera. Si scrive per capire qualcosa di più del mondo e di se stessi. Ma si scrive anche, e questa è una cosa meravigliosa e magica, senza sapere dove si arriverà, che cosa si costruirà.

Come ha scelto i protagonisti del Suo racconto?
Ho scelto dieci scrittori molto diversi fra loro, solidi e interessanti, ho scelto dieci scrittori che mi piacciono e di cui ero curiosa, ma la mia curiosità non finisce con loro, vorrei intervistarne altri, più giovani e più vecchi, e disposti a raccontare molto di sé.

Lei descrive la letteratura come follia, un fuoco dentro, che cova «ricoperta di strati di ragionevolezza, doveri», dalla vita quotidiana: da cosa nasce quel fuoco e di cosa si alimenta?
Nasce dal desiderio di scrivere, dal piacere di farlo, dalla fatica di trovare le parole, di migliorare, di portare a termine una pagina, un racconto, un romanzo, un saggio, un’opera. Si alimenta di disciplina, di lavoro e di vita. A me piacciono molto gli scrittori di cui percepisco la curiosità per il mondo, per le cose nuove, che cercano sempre di spostare più in là la letteratura, di movimentarla, attraverso nuove forme di scrittura. Mi entusiasma sentire la libertà di uno scrittore: libertà di passare dal saggio al romanzo, o di mescolare le due cose insieme. E di scendere sempre nel profondo degli esseri umani.

Quali tra le testimonianze da Lei raccolte l’hanno affascinata di più
Ogni scrittore mi ha regalato storie meravigliose: Patrizia Cavalli mi ha raccontato l’incontro fondamentale della sua vita, quello con Elsa Morante, e il motivo per cui ha riscritto completamente le sue prime poesie, Michele Mari mi ha offerto la sua straordinaria e spaventosa infanzia, Domenico Starnone il rapporto importante e doloroso con suo padre, Alessandro Piperno la sua sindrome dell’impostore. Edoardo Albinati la disperazione e gli psicofarmaci con cui ha portato a termine La scuola cattolica, Walter Siti il suo studio matto, l’ambizione, il coraggio e il legame assoluto con sua madre, che si accorgeva anche al telefono se lui aveva pianto molte ore prima. Melania Mazzucco mi ha raccontato il momento in cui ha creduto di avere perso tutto, due anni fa, a quattromila metri di altitudine. Valeria Parrella ha spiegato come affronta il dolore, nella vita e nella letteratura. Francesco Piccolo ha detto anche che canta Renato Zero da solo a squarciagola ma solo se ha lavorato abbastanza, Sandro Veronesi ha raccontato la tentazione della rovina. Ma questi sono solo alcuni dettagli di un racconto più ampio, che tiene insieme intimità, ironia, libri, vita personale, passione.

Chi, a Suo avviso, può dirsi scrittore?
Chi è sicuro di poter dire, come Natalia Ginzburg: questo è il mio mestiere, e lo farò fino alla morte.

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