
di John Gardner
traduzione di Cinzia Tafani
Marietti 1820
«Questo è un libro per il romanziere esordiente che si è già reso conto del fatto che le soddisfazioni che dà lo scrivere bene sono molte di più di quelle che dà lo scrivere bene-quanto-basta per essere pubblicato. Non si tratta di un manuale, anche se qui e là do indicazioni che qualcuno potrebbe trovare utili. Non che disapprovi i manuali o creda che non si possa scrivere un buon libro di quel genere – in realtà, ne ho scritto uno anch’io e lo uso con i miei studenti, modificandolo e ampliandolo di anno in anno, in attesa che prima o poi mi sembri degno di essere reso pubblico. Ma l’oggetto di questo volume è più ambizioso e più umile: cerco di occuparmi, facendone possibilmente piazza pulita, delle preoccupazioni del romanziere esordiente.
Cercare di aiutare lo scrittore esordiente a liberarsi delle sue preoccupazioni potrebbe sembrare inizialmente un proposito piuttosto assurdo: il ricordo dei miei anni di apprendistato e la mia esperienza a contatto con altri scrittori principianti stanno a dimostrare che non è così. Il mondo intero sembra cospirare contro il giovane romanziere. Il giovane, uomo o donna che sia, che proclama la sua intenzione di diventare medico o ingegnere elettrico o guardia forestale non viene immediatamente bombardato da spiegazioni che a fin di bene gli mostrano perché quell’ambizione sia poco pratica, irraggiungibile, costituisca uno spreco di tempo e di intelligenza. «Avanti, provaci» è quello che diciamo, pensando dentro di noi al fatto che, se non riesce a farcela come medico, la persona in questione potrà sempre diventare un osteopata. D’altro canto, gli insegnanti di scrittura e i libri sull’arte di scrivere, per non parlare di amici, parenti e scrittori di professione, fanno presto a elencare (esagerando al proposito) le terribili circostanze che si oppongono (sempre e dovunque) alle possibilità che uno ha di diventare uno scrittore di successo. «Per scrivere bisogna avere un talento raro e particolare», essi dicono (non è necessariamente vero); «Il mercato della letteratura peggiora di anno in anno» (il che è in larga misura falso); oppure «Morirai di fame!» (non è escluso). E lo scoraggiamento procurato dagli altri è il meno. Scrivere un romanzo richiede un’immensa quantità di tempo, almeno per la maggior parte delle persone, e può mettere alla prova la psiche dello scrittore oltre il limite della sopportazione. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, lo scrittore si domanda se stia prendendo in giro se stesso, si chiede perché mai la gente scriva romanzi – lunghi, accurati studi delle speranze, le gioie e i fallimenti di persone che, a rigor di termini, non esistono. Lo scrittore può essere insidiato da una strisciante misantropia, mentre sua moglie, o suo marito, diventano sempre più corrucciati e perplessi. Gli idioti che scrivono per la televisione fanno soldi a palate, mentre il romanziere, questo santo fra i mortali, cerca di carpire chiacchiere, batte a macchina degli appunti, o si vende l’assicurazione sulla vita per continuare a dar da mangiare ai propri figli. O magari prende il vizio di bere, che è il primo dei rischi professionali dello scrittore.
Quasi nessuno accenna al fatto che per un determinato tipo di persona non esiste nulla di più gioioso e appagante della vita di un romanziere, se non per le soddisfazioni economiche, almeno per quelle d’altro genere; che non necessariamente uno deve trasformarsi in un misantropo o in un ubriacone; che in realtà può essere medico, ingegnere o guardia forestale più o meno affermato, può perfino esercitare la professione fuori moda di casalinga ed essere anche un romanziere – ad ogni modo, molti romanzieri, sia grandi che mediocri, ci sono riusciti. Questo libro cerca di offrire una rassicurazione onesta esponendo in maniera chiara com’è la vita del romanziere; da quali cose egli debba guardarsi, sia dentro di sé che all’esterno; cosa può ragionevolmente aspettarsi e cosa, mediamente, no. È un libro che tesse le lodi dello scrivere romanzi e incoraggia il lettore o la lettrice a fare un tentativo, se ha sul serio una disposizione in questa direzione. Il peggio che possa capitare allo scrittore che prova e fallisce – a meno che non abbia delle opinioni gonfiate o mistiche di ciò che rappresenta il fatto di essere un romanziere – è di scoprire che per lui scrivere non è il luogo deputato della gioia e della soddisfazione. Sono di più le persone che non riescono a diventare uomini d’affari di successo di quante siano quelle che non riescono a diventare artisti.»