“La Lega. Una storia” di Paolo Barcella

Prof. Paolo Barcella, Lei è autore del libro La Lega. Una storia edito da Carocci. La Lega Nord ha segnato un pezzo importante della più recente storia repubblicana: quando e come nasce il movimento?
La Lega. Una storia, Paolo BarcellaCon un atto costitutivo firmato a Bergamo alla fine del 1989 nasceva la Lega Nord, forza politica che federava le leghe regionali sviluppatesi nel corso del decennio precedente. Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, infatti, in Veneto si formarono gli embrioni della Liga Veneta, partito capace di eleggere un consigliere comunale già nel 1980, oltre a un senatore e un deputato – rispettivamente Graziano Girardi e Achille Tramarin – alle politiche del 1983. Negli stessi anni, Umberto Bossi – ispirato da Bruno Salvadori dell’Union Valdôtaine – pubblicava il giornale “Lombardia autonomista”, gettando le fondamenta di quella che, il 12 aprile del 1984, venne registrata presso un notaio di Varese come “Lega autonomista lombarda”, poi diventata semplicemente Lega Lombarda. In Piemonte, invece, l’Union Piemontèisa era retta da Roberto Gremmo che, tuttavia, ruppe con Bossi prima del 1989, lasciando a Gipo Farassino lo spazio per un autonomismo piemontese compatibile con il modo di concepire la politica di Umberto Bossi. Queste formazioni politiche possono essere considerate conseguenze indirette di alcuni processi di trasformazione e di crisi che attraversavano l’Italia del tempo. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, infatti, il paese aveva cambiato il suo volto, grazie a un rapido sviluppo economico, all’urbanizzazione, all’industrializzazione, alle migrazioni interne che portarono milioni di persone verso le città, prevalentemente da Sud verso Nord. Tutto ciò comportò la fine della civiltà contadina cattolica, potenti trasformazioni nei costumi, nella moralità popolare, nei modi di vita: tutti processi non privi di contraddizioni e generatori di tensioni di varia natura, che nel libro ho provato a indicare. Intanto, a cavallo tra anni Settanta e anni Ottanta, si avviò anche la crisi dei grandi partiti di massa – in particolare della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista –, dei sindacati e delle loro organizzazioni collaterali. L’autonomismo e il neoregionalismo leghista emersero da questo gomitolo di questioni.

In che modo la Lega assurge a fenomeno di rilevanza nazionale?
Il partito di Umberto Bossi accelera la sua cavalcata tra il 1989 e il 1992. Anzitutto, la caduta del muro di Berlino aprì l’irreversibile processo che porterà allo sgretolamento del Partito Comunista e al collasso delle sue varie ramificazioni territoriali. Si dice spesso che la Lega Nord si diffuse soprattutto nelle regioni ex-democristiane. È vero, ma le ricerche del tempo mostrano bene come il partito attecchisse poco tra gli ex-elettori del PCI residenti nelle regioni a subcultura rossa, mentre riusciva a farsi largo tra gli ex-elettori comunisti residenti nelle regioni a subcultura bianca. Il leghismo rappresentò quindi da subito un problema per il mondo operaio lombardo perché, come mostravano inchieste sindacali della CGIL-FIOM e gli studi di Vittorio Moioli del 1990, riusciva a affermarsi anche tra i lavoratori sindacalizzati del Nord. In secondo luogo, tra il 1991 e il 1992 giunse la grande crisi del sistema politico italiano, culminata con le inchieste di Tangentopoli, il collasso del “sistema Milano”, la fine del PSI e della DC. Infine, nel corso dello stesso triennio, l’immigrazione straniera – soprattutto dopo i primi sbarchi dall’Albania – ebbe grande centralità nel dibattito politico, trovando nella Lega una forza pronta a cavalcare i sentimenti di ostilità verso i migranti. Proprio in quel frangente Bossi riuscì a conquistare l’attenzione dei media nazionali, le sue istanze e i suoi uomini ebbero spazio anche in TV, per esempio iniziarono ad apparire regolarmente nella trasmissione “Profondo Nord” di Gad Lerner che andava in onda in seconda serata, su Rai3. Alle elezioni del 1992, la Lega Nord passò in una notte da 2 a 80 parlamentari.

Come ha attraversato, il partito, la sua prima esperienza di governo?
La Lega Nord andò al governo per la prima volta nel 1994, ma quel governo durò ben poco, perché lo stesso Bossi aprì una crisi negli ultimi mesi dell’anno. La maggioranza di cui la Lega era parte si basava su un accordo e una mossa assai ardita orchestrati da Berlusconi: ossia comporre un blocco conservatore che raccogliesse attorno a Forza Italia i rappresentanti del neoconservatorismo settentrionale, ovvero i leghisti, e i conservatori meridionali, rappresentati da Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini. La Lega Nord, sebbene fosse una forza politica chiaramente orientata in senso neoconservatore, si caratterizzava per una solida retorica antimeridionale e per una forte ostilità al centralismo romano, da cui faceva derivare la sua vocazione antifascista di quegli anni: fascista, per i leghisti, era lo stato centrale che dominava e sfruttava il Nord, considerato la vacca munta quotidianamente da file di presunti agenti parassitari meridionali. Questa impostazione creava tensioni continue con Gianfranco Fini e il suo partito che, invece, era sostenuto da un blocco di elettori e interessi a forte trazione meridionale. Inoltre, l’accordo con Berlusconi – inviso a larga parte dell’elettorato leghista del tempo – aveva fortemente penalizzato la Lega dal punto di vista elettorale. Per la prima volta dalla sua nascita, nel 1994, la Lega aveva subito un arretramento in termini percentuali, compensato solo da una distribuzione dei candidati nei collegi elettorali per il maggioritario, che nel Nord avvantaggiò ampiamente Bossi rispetto a Berlusconi.

Cosa spinge la Lega, nel 1996, alla scelta secessionista?
Dopo la crisi di governo del 1994, prese il via una fase in cui la Lega Nord dialogò con la principale forza della sinistra del tempo, ovvero il PDS di Massimo D’Alema. Alle elezioni amministrative del 1995, i due partiti giunsero ad accordi di reciproco sostegno, in caso di ballottaggio, contro i candidati del Polo. A Bergamo, per esempio, la Lega sostenne al secondo turno il candidato sindaco della sinistra Vicentini, mentre la sinistra sosteneva il candidato leghista per la presidenza della regione Cappelluzzo. Alle politiche del 1996, però, Bossi non poté presentarsi alleato della sinistra, perché il suo partito non era ideologicamente compatibile con la stessa, se non strategicamente, su questioni specifiche, come poteva essere una riforma dello stato in senso federale. Nel frattempo, però, l’alleanza tra Berlusconi e Fini si era consolidata e rappresentava un blocco politico conservatore nazionale. La sinistra vinse le elezioni e fece di una riforma costituzionale in senso federalista uno dei suoi obiettivi. Quindi, per dirla grossolanamente, allo scopo di darsi una nuova identità politica e di differenziare il suo partito dalla sinistra e dalla destra, Bossi avviò una nuova stagione, quella secessionista, con nuovi simboli e rituali che lo rimisero al centro dell’attenzione nazionale. Si pensi all’ampolla d’acqua raccolta alle sorgenti del Po e alla calata su Venezia per la dichiarazione di indipendenza dei “popoli padani”.

Cosa ha significato, per il partito, la malattia di Bossi?
Nel 2004, la malattia di Bossi ha aperto una fase molto critica per la Lega Nord. Venne infatti minata l’autonomia fisica ed emotiva dell’uomo che aveva sempre governato il partito in modo internamente autoritario ma anche autorevole, grazie al suo carisma. Bossi era stato capace di creare e ricreare il partito, ridefinendone obiettivi e strategie, in modo spesso ardito e certo contraddittorio per chiunque ponesse valori e principi al di sopra degli interessi: non a caso, si contarono numerosi fuoriusciti come Franco Castellazzi, Franco Rocchetta, Leonardo Facco e numerosi altri. Tuttavia, Bossi fu sempre efficace nella conquista di influenza e di posizioni di potere. La Lega Nord, anche per questo, ha occupato politicamente alcuni territori del Nord, dove – al di là di come la si pensi – occorre riconoscere che ha saputo costruire una subcultura politica “verde”, ardua da sfidare per le opposizioni di sinistra. Dopo la malattia, Bossi dovette essere costantemente accompagnato e assistito. Tra il 2008 e il 2011 il suo partito riuscì comunque a crescere, ma per fattori che – come ho cercato di evidenziare nel libro – si spiegano con fattori politici, sociali e culturali in parte autonomi rispetto alle scelte specifiche della dirigenza.

Come si giunge alla segreteria di Matteo Salvini e quale rinnovamento ha impresso al partito il nuovo segretario?
La crisi del “cerchio magico” – ovvero un insieme di scandali che tra il 2011 e il 2012 colpirono la dirigenza leghista e gli stretti assistenti e collaboratori di Bossi – segnò la fine politica del leader della Lega. Si aprì una fase di transizione che portò alla segreteria Roberto Maroni, grande amico di Bossi e uno degli uomini più solidi e autonomi all’interno del partito. Alle amministrative del 2013 il partito raggiunse il minimo storico e riuscì a conquistare la regione Lombardia probabilmente solo grazie alla candidatura a governatore dello stesso Roberto Maroni che, una volta eletto governatore, si dimise dalla segreteria. Fu in quel momento di confusione e di crisi che il giovane e spavaldo Matteo Salvini si candidò alla segreteria, in alternativa al vecchio Bossi, conquistandola, il 7 dicembre 2013. La vera grande svolta impressa da Salvini alla Lega riguarda la comunicazione politica, l’intuizione delle potenzialità del web, l’investimento su meccanismi di propaganda politica online in un momento in cui, in Italia, ne faceva massiccio uso solo il Movimento 5 Stelle. Proprio dalla deterritorializzazione della comunicazione politica discendono, a mio parere, alcune altre svolte, prima tra tutte quella che ha consentito a Salvini di fare della Lega (amputata del “Nord”) un partito di riferimento per tutte le province d’Italia, schierato su posizioni oscillanti tra destra ed destra estrema, dove l’ostilità nei confronti di migranti e rifugiati ha mantenuto una centralità decisiva nella retorica del partito.

Che partito è, oggi, la Lega Nord?
La Lega Nord è oggi un partito in difficoltà. La crisi di governo scatenata da Salvini nel 2019 ha avviato una fase di arretramento. Pesanti sono poi state le conseguenze del Covid-19 che ha colpito duro proprio le regioni governate dalla Lega, a partire dal suo zoccolo più duro, la bergamasca Valle Seriana. Si sono create tensioni tra un segretario che, nel tentativo di recuperare consensi, ha mantenuto posizioni ambigue e ambivalenti in merito alle misure di contenimento, alle mascherine, ai vaccini, e gli amministratori regionali che, dovendo gestire le strutture sanitarie e l’impatto della pandemia sul territorio, non erano felici di oscillazioni e attendismi da barometro del consenso. Inoltre, il forte sostegno dato da Salvini a Putin negli anni della sua segreteria – Salvini giunse a considerare il presidente russo come un esempio di democrazia e liberalismo da preferire alla Germania e all’Unione Europea – ha aggiunto ragioni di imbarazzo e difficoltà. Tuttavia, soprattutto in un momento politico così complicato, è difficile fare previsioni rispetto alle future evoluzioni.

Paolo Barcella insegna Storia contemporanea all’Università degli studi di Bergamo. Si è occupato di organizzazioni xenofobe e di migrazioni italiane, con particolare riferimento alla Svizzera e agli Stati Uniti. È autore, con Valerio Furneri, di Una vita migrante. Leonardo Zanier, sindacalista e poeta (1935-2017), Carocci, Roma, 2020.

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