
Chi è, davvero, Matteo Salvini?
Matteo Salvini è un politico. Un politico capace e pragmatico ma, sebbene piaccia in primis perché sembra “una persona normale”, in realtà è un perfetto esempio di politico puro. Quando è diventato segretario della Lega veniva definito un leader “lepenista”, ora invece sono i leader della destra europea a essere etichettati come salviniani: questo è esemplificativo dei grandi risultati raggiunti e del peso che ha oggi. Tutta la destra populista europea guarda a lui come ad un modello.
Di lui si dice, accusandolo, che abbia cambiato troppo spesso posizioni politiche: è innegabile che il suo posizionamento negli anni si sia modificato. Tuttavia, nulla è avvenuto in modo incoerente: il suo cambiamento è stato graduale, e per questo credibile ed efficace. Sebbene la Lega, oggi, abbia un elettorato autocollocato nel centrodestra, non estremista, le sue posizioni degli ultimi tempi rispecchiano in pieno la tendenza “sovranista”, o meglio di “destra populista”: ma queste etichette, per Salvini, sembrano servire a poco. Non si definisce mai come “di destra”, e la “narrazione del buonsenso” che sta portando avanti serve proprio a dare legittimazione a proposte radicali ma condivise da un elettorato che si autocolloca come moderato. Nessuno sa infatti interpretare il senso comune del Paese come Salvini in questo periodo.
Come si è svolta la parabola politica di Matteo Salvini?
Una volta diventato leader, ha messo in campo una strategia con step precisi, che ha rispettato con una tempistica perfetta. Il grande risultato della sua leadership è stato quello di trasformare un partito territoriale in un partito nazionale e identitario nel giro di pochi anni, senza generare traumi in una base che lo adora.
Da subito, ha impresso una svolta nel posizionamento del partito: meno federalismo, più posizioni di orientamento nazionalista, da “destra populista” di stampo europeo. I vecchi cavalli di battaglia non sono stati archiviati, ma hanno assunto un peso sempre minore nella definizione delle priorità della Lega. Per esportare queste idee non più limitate alla cornice del Nord Italia “al di sotto del Po” ha inizialmente creato una lista civica nazionale, “Noi con Salvini”, attiva soprattutto al Sud: utile per portare queste idee dove la Lega, che all’epoca si chiamava ancora “Lega Nord”, aveva per ovvie ragioni meno appeal. “Noi con Salvini” è stata anche fondamentale per creare e formare classe dirigente al Sud, dove la Lega non era mai arrivata prima.
Gradualmente, nel corso degli anni, è cambiata l’identità stessa del partito, con un re-branding curato nei dettagli, culminato con la modifica addirittura dell’identità cromatica di partito che l’immaginario collettivo abbinava al verde: ora la Lega è blu. E infine si è arrivati al cambio del nome stesso: non più “Lega Nord – Padania”, ma “Lega – Salvini Premier”.
Quali sono le caratteristiche dello stile di comunicazione di Salvini?
Anche qui, difficile riassumerle brevemente, ma Salvini è un leader normale, che parla di temi che interessano a tutti con un linguaggio comprensibile a tutti. I toni sono radicali, per intercettare la rabbia e il “rancore” (così definito dal Censis) che gli italiani provano nei confronti delle istituzioni. Radicalità e schiettezza sono servite al leader per arrivare in modo più diretto al cuore dei cittadini. Poi, Salvini sa muoversi perfettamente all’interno del contesto della fast politics: la politica in cui grazie agli smartphone al giorno d’oggi si comunica ventiquattr’ore su ventiquattro ininterrottamente. È il più attivo sui social network, e non disdegna la pubblicazione serale e notturna di contenuti. La sua comunicazione è disintermediata, per questo acquisiscono un valore simbolico le centinaia di selfie scattate con attivisti e simpatizzanti: mostrano un leader vicino, diverso dagli altri. Senza mediazioni. Sui social non parla solo di politica, mostra anche il cibo che mangia e che si prepara a casa, talvolta, sbagliando: sembra a tutti gli effetti una persona normale.
Come si articola la strategia mediatica di Salvini?
La strategia mediatica di Salvini è articolata e soprattutto crossmediale. Il suo guru Luca Morisi la definisce così: Tv- Rete – Territorio.
Parte tutto dalla Tv: il media in cui si informa di politica il 90% degli italiani. Non a caso, gli elettori di Salvini che abbiamo intervistato nel sondaggio esclusivo che si trova all’interno del libro indicano i suoi interventi televisivi come la ragione principale che li hanno portati a votarlo. Salvini è presente costantemente in televisione, anche in programmi minori, per raggiungere pubblici diversi.
La rete amplifica questo messaggio arrivando a target nuovi, e viene usata dal leader in modo interattivo, coinvolgente, da persona semplice che dialoga con gli utenti in modo diverso dal classico politico. Già nel 2010, come evidenziano Matteo Cavallaro e Martina Carone nel capitolo del libro relativo al suo uso dei social, Salvini parlava della crema di mascarpone su Facebook: la sua comunicazione è così dagli inizi, per questo è ritenuto credibile dagli elettori.
Infine, il territorio: anche da Ministro dell’Interno, Salvini gira l’Italia in lungo e in largo ogni giorno. Non va nei teatri, ma sceglie le piazze, i comizi. In questo periodo, le spiagge. Ogni elezione locale, dalle regionali in Abruzzo e Sardegna fino alle comunali in piccoli paesi del Veneto o della Puglia, per Salvini è l’occasione di marcare la presenza, di mostrarsi, di incontrare centinaia di persone per “concedere” un selfie. Poi, la spiaggia ad esempio è l’ennesima occasione di mostrarsi “normale”, “come noi”: Aldo Moro in giacca e cravatta in riva al mare era sicuramente dignitoso, ma Salvini approfitta di occasioni come quella del Papeete per mostrarsi, una volta di più, come una persona normale. E le persone normali vanno in spiaggia in costume.
Come funziona la sua macchina della comunicazione?
Si sono raccontate tante leggende sulla sua “macchina” della comunicazione, la famigerata “Bestia”: come ogni macchina che si rispetti, tuttavia, il suo funzionamento è in buona parte avvolto nel mistero. Rispetto alle tradizionali “macchine di comunicazione” dei partiti, il team guidato da Luca Morisi marca probabilmente di più l’accento sugli aspetti tecnologici e sulla lettura dei dati in tempo reale dai social. La Bestia, per Morisi, non è altro che “un insieme di software collaborativo, per l’automazione di attività di cross-posting, creazione di grafiche, pubblicizzazione di eventi, monitoraggio di news”: in pratica, una war room digitale estremamente avanzata tecnologicamente.
Il suo staff è poi evidentemente molto abile sul fronte della definizione dell’agenda mediatica: è Salvini a dominare sui media e a stabilire, di volta in volta, quali tematiche mettere al centro del dibattito pubblico. Lo fa costantemente, da tempo, e anche di recente ha confermato questa sua abilità: ad esempio il dibattito – che aveva comunicativamente e strategicamente gestito molto male – sulla Russia è durato pochi giorni, sostituito dalla “vicenda di Bibbiano”, sulla quale può muoversi con maggiore libertà e minori rischi.
Qual è il profilo del “nuovo elettore” leghista?
Anzitutto, non è più semplicemente un elettore “del Nord”. Dal 49,9% ottenuto in Veneto alle Europee si arriva al 25% in Puglia: la Lega è un partito nazionale, non più territoriale. Il cambiamento nel posizionamento si è tradotto in nuovi, sorprendenti, insediamenti elettorali.
La Lega, poi, si è rivelata abbastanza trasversale: come fasce d’età, come condizione lavorativa, come titolo di studio. Tuttavia, Davide Policastro all’interno del libro mostra come i punti di forza del partito siano i piccoli comuni, le categorie produttive, gli elettori con scolarità medio-bassa.
Più che un elettorato di un partito di estrema destra, quello della Lega di Salvini sembra a tutti gli effetti un classico elettorato di un partito timone del centrodestra.
Matteo Salvini è destinato a diventare premier?
È probabile: questo governo, che al momento pare tenere (con enormi difficoltà), difficilmente durerà fino alla fine della legislatura, e un eventuale ritorno alle urne vedrebbe il leader del Carroccio come il grande favorito, sia che scelga una coalizione di centrodestra classica, sia che cerchi nuove strade più radicali (ad oggi, non è da escludere una alleanza sovranista Salvini-Meloni). Ci sono però due elementi ulteriori da considerare.
Il primo, paradossale ma vero: il governo non è caduto fino ad ora, nonostante alla Lega convenisse elettoralmente, perché Salvini sa che il boom del partito nei sondaggi è dovuto in buona parte alla sua centralità in ogni scelta del governo. La debolezza dei 5 Stelle ha permesso al Carroccio di portare a casa tutti i propri obiettivi: partiti più strutturati e leader più esperti (come Berlusconi, Tajani, Meloni, La Russa) come partner di governo difficilmente lascerebbero alla Lega la stessa libertà. Lo stesso Salvini, da premier, avrebbe meno libertà (e più responsabilità).
Il secondo elemento è invece un’incognita difficilmente superabile: gli italiani, nelle urne, amano sorprendere, e molto spesso i vincitori annunciati si sono trasformati in sconfitti illustri il giorno dopo il voto. Soprattutto in questi tempi di voto fluido, scegliere la strada delle urne è sempre un grande rischio. Meglio godersi i periodi di consenso capitalizzando al massimo ogni momento. D’altronde, gli manca la premiership, ma il leader del governo è lui.
Il paradigma di Icaro è sempre dietro l’angolo: se si cresce troppo in fretta, la sovraesposizione (che nel medio termine colpirà anche il leader leghista) tende a stancare presto gli elettori. Basta guardare la parabola di Matteo Renzi: il rischio di seguire lo stesso percorso, per Salvini, è indubbiamente alto.
Giovanni Diamanti, classe ’89, è consulente e analista politico, socio co-fondatore di Quorum e YouTrend. Membro del direttivo dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica, è stato stratega elettorale per leader politici come Beppe Sala, Vincenzo De Luca, Dario Nardella, Nicola Zingaretti.
Editorialista de Il Gazzettino, collabora come analista politico con Il Quotidiano del Sud, Linkiesta e Radio Radicale. Ha pubblicato articoli di analisi su La Stampa, Il Fatto Quotidiano, Limes, Aspenia. Già co-autore di Una Nuova Italia (Castelvecchi), nel 2019 con Lorenzo Pregliasco ha scritto Fenomeno Salvini (Castelvecchi).