“Il testamento di Alessandro. La Grecia dall’Impero ai Regni” di Franca Landucci

Prof.ssa Franca Landucci, Lei è autrice del libro Il testamento di Alessandro. La Grecia dall’Impero ai Regni edito da Laterza: che ne è dell’impero di Alessandro alla sua morte?
Il testamento di Alessandro. La Grecia dall'Impero ai Regni, Franca LanducciAlla morte di Alessandro, i Macedoni dovettero affrontare la spinosa questione della successione al trono rimasto improvvisamente vacante. Non vi era infatti un erede diretto in grado di prendere in mano le redini del potere: Rossane, la moglie persiana di Alessandro, era incinta, di altri figli legittimi non vi era traccia, mentre il fratellastro Arrideo, figlio di Filippo II e di una donna tessala di nome Filinna, all’incirca coetaneo del defunto sovrano, era un minorato mentale, che tutti i Macedoni ritenevano incapace di governare in maniera autonoma, pur essendo in grado di condividere la normale quotidianità della vita di corte .

Alessandro, già moribondo, aveva affidato il suo anello-sigillo a Perdicca, che, dopo la morte dell’amato Efestione, era uno dei suoi più stretti collaboratori, e, con l’ultimo filo di voce, aveva sussurrato che l’anello era destinato al “migliore” dei suoi. Con in mano il sigillo del re appena defunto, Perdicca si assunse l’onere e l’onore di trovare una soluzione dignitosa, che salvaguardasse sia la continuità (almeno formale) della sovranità della dinastia dei Temenidi (o Argeadi), che guidava i Macedoni dagli albori del regno, sia le ambizioni di potere dei più eminenti ufficiali dell’esercito, i quali, con l’assenso della cavalleria, sostenevano la necessità di aspettare la nascita del figlio di Alessandro e Rossane. Di diverso parere, invece, la fanteria, che, appoggiata da un unico alto ufficiale, di nome Meleagro, voleva acclamare re Arrideo, ultimo erede diretto di Filippo II, il re che tutto il popolo dei Macedoni ricordava con struggente rimpianto. Lo scontro, di grande asprezza e non solo a livello verbale, tra la cavalleria e la fanteria rischiò davvero di degenerare in guerra civile, ma, dopo molti contrasti, la frattura nell’esercito macedone fu infine ricomposta, grazie a un compromesso basato sul riconoscimento delle posizioni di entrambe le parti: Arrideo, ribattezzato Filippo (e ancor oggi comunemente noto come Filippo III Arrideo), ottenne il titolo regio, ma con l’obbligo di condividerlo con il figlio postumo di Alessandro, se questi fosse stato di sesso maschile; condivisione che, in effetti, si verificò di lì a tre mesi, quando Rossane partorì il piccolo Alessandro, in genere citato come Alessandro IV.

Ma la sovranità reale sull’impero, che né Filippo III Arrideo, per il suo handicap, né Alessandro IV, per la sua tenerissima età, erano in grado di esercitare, fu spartita tra tre “grandi” dell’aristocrazia macedone, Perdicca, acclamato reggente dell’impero come tutore dei re, Antipatro, confermato governatore d’Europa, e Cratero, nominato “protettore della regalità di Arrideo”, anche se soltanto il primo era presente a Babilonia: Antipatro, infatti, era a Pella, capitale della Macedonia, dove esercitava le sue funzioni di governo, mentre Cratero era in viaggio verso Occidente, perché Alessandro, pochi mesi prima di morire, gli aveva affidato il compito di riportare in patria i veterani macedoni congedati dall’esercito.

Al di là delle molte discussioni sul significato e la valenza del ruolo affidato a Cratero, che, morto prima di poter rientrare in contatto con il neo-sovrano, non esercitò mai in alcun modo la carica ricevuta, l’assenza sia di Cratero che di Antipatro da Babilonia fece di Perdicca il vero arbitro della situazione: egli, infatti, procedette ad una vera e propria spartizione del potere tra i collaboratori del defunto sovrano che da quel momento in poi furono convenzionalmente chiamati Diadochi di Alessandro. Alla maggior parte di loro fu assegnato il comando di un vasto territorio, che, nella zona orientale, corrispondeva in genere a una delle satrapie in cui era stato diviso l’impero persiano, mentre, nella zona europea e micrasiatica, si richiamava alle tradizionali divisioni geopolitiche di matrice greca: tutti gli assegnatari si videro comunque riconosciuto il titolo persiano di satrapo, già ampiamente utilizzato da Alessandro durante il suo regno. In particolare, per accennare agli incarichi dati a coloro che si conquisteranno un ruolo importante tra tutti i Diadochi, vediamo che ad Antigono fu confermato il comando della Frigia e delle regioni circostanti dell’Anatolia; ad Antipatro rimase la Macedonia, con il controllo della (sempre inquieta) Grecia; a Lisimaco fu affidata la Tracia, unica satrapia europea che si affiancava alla Macedonia; a Tolemeo fu dato l’Egitto; a Peucesta la Perside. Seleuco, invece, non ricevette il governo di una satrapia, ma un incarico militare, quello di comandante della cavalleria degli Eteri (= Compagni) del re, incarico che, pur essendo sicuramente di grande rilevanza, non gli concedeva, di fatto, quella autonomia operativa che, rispetto all’autorità centrale, era propria di tutti i satrapi, ognuno dei quali era pienamente responsabile del territorio assegnatogli: Seleuco, infatti, rimaneva comunque subalterno a Perdicca, che manteneva saldamente nelle sue mani il controllo delle truppe presenti a Babilonia.

Terminata la spartizione ufficiale, tutti i neo-satrapi, partirono da Babilonia per andare a prendere possesso della Tracia, mentre Seleuco rimase al fianco di Perdicca, in una situazione la cui intrinseca fragilità era resa evidente dalla oggettiva debolezza dei sovrani ufficialmente regnanti: un portatore di handicap, come Filippo III Arrideo, e un fragile neonato orfano di padre, come Alessandro IV …..

Come si svilupparono le guerre dei Diadochi e con quali esiti? Quale ruolo ebbero Seleuco e Lisimaco?
Le due domande devono essere messe insieme, perché Seleuco e Lisimaco furono tra i protagonisti delle guerre dei Diadochi e quindi le loro azioni vanno analizzate nel contesto di quelle stesse guerre.
Tra la fine del 323 e l’inizio del 320 ognuno dei Diadochi dovette imparare a governare il territorio che gli era stato affidato: delle azioni e dei comportamenti di alcuni di loro non sappiamo nulla, perché le fonti si concentrano su alcuni avvenimenti di rilievo e, in particolare, per quanto riguarda la regione europea, sulla ribellione di Atene al governatore della Macedonia, l’ormai anziano Antipatro, al quale, nel giro di pochi mesi, si affiancò anche Cratero, appena rientrato dall’Asia alla testa dei veterani macedoni congedati da Alessandro e a lui affidati per il rimpatrio. La cosiddetta Guerra Lamiaca tra Greci, guidati da Atene, e Macedoni, iniziata nel settembre del 323, si concluse nel 322 con la piena vittoria dei Macedoni guidati da Antipatro e Cratero. Poco dopo però ebbe inizio la cosiddetta Prima Guerra dei Diadochi, combattuta da una coalizione guidata da alcuni dei principali protagonisti della successione ad Alessandro (Antipatro, Cratero, Antigono, Lisimaco e Tolemeo) contro il reggente Perdicca (appoggiato solo da Eumene di Cardia, ma avendo ancora come comandante della cavalleria Seleuco), accusato di aspirare al trono che era stato di Alessandro.

La Prima Guerra dei Diadochi si concluse con la vittoria della coalizione formato contro Perdicca, anche se Cratero morì in battaglia: Perdicca fu ucciso a tradimento ed Eumene riuscito a fuggire fu condannato a morte in contumacia. Seleuco, che probabilmente era stato tra i congiurati che avevano materialmente eliminato Perdicca, passò dalla parte dei vincitori, accolto con tutti gli onori: nel Congresso di Triparadiso del settembre 320 fu eletto nuovo reggente il vecchio Antipatro, che confermò a Tolemeo, Peucesta, Lisimaco e Antigono le satrapie loro concesse tre anni prima a Babilonia; ad Antigono, però, fu affidato anche il comando della guerra contro il fuggiasco Eumene, mentre Seleuco, come premio del suo tradimento, divenne satrapo della Babilonide, una delle principali regioni dell’impero che era stato di Alessandro.

Da questo momento, anche se ancora in maniera strisciante si sviluppa il vero contrasto, che è alla base delle successive Guerre dei Diadochi, tra chi, come il satrapo della Frigia Antigono, detto il Monoftalmo (= Monocolo), aveva aspirazioni centripete e desiderava mantenere unito l’impero che era stato di Alessandro, mettendo al centro dello scontro solo la scelta dell’uomo che avrebbe dovuto guidarlo con mano ferma, e chi, invece, come il satrapo d’Egitto, Tolemeo, figlio di Lago, privilegiava prospettive centrifughe, considerando impossibile mantenere unito uno stato di quelle dimensioni, e mirava a ritagliarsi un territorio su cui esercitare un controllo diretto e assoluto, eliminando qualsiasi forma di potere centrale.

Nel giro di circa quaranta anni i sostenitori di uno stato unitario persero progressivamente terreno, si arrivò alla definitiva frantumazione dell’impero di Alessandro e, al suo posto, si formò una serie di grandi stati territoriali a regime monarchico, i cosiddetti regni ellenistici, retti da dinastie ereditarie, ciascuna delle quali aveva come fondatore un personaggio direttamente legato al mondo dei Diadochi.

La Seconda Guerra dei Diadochi fu combattuta in Asia da Antigono, appoggiato da Seleuco, Peucesta e Tolemeo, contro Eumene di Cardia, mentre in Europa, morto nel 319 il reggente Antipatro, che aveva riportato in patria i due re (di nome, ma non di fatto) Filippo III Arrideo e Alessandro IV, si scontrarono il nuovo reggente Poliperconte, un anziano generale appoggiato dalla ancora viva madre di Alessandro, Olimpiade, e Cassandro, il figlio di Antipatro, ben deciso a impadronirsi ad ogni costo della Macedonia. Nel 316 risultarono vincitori: in Europa, Cassandro, nuovo signore della Macedonia, che, con l’aiuto determinante di Lisimaco, suo fedele alleato, uccise Olimpiade, come punizione per aver eliminato l’anno precedente Filippo III Arrideo, in modo da favorire suo nipote Alessandro IV, e sottomise Poliperconte, messo sostanzialmente fuori gioco; in Asia, Antigono che sconfisse e uccise Eumene, con l’aiuto piuttosto modesto di Peucesta, Seleuco e Tolemeo, spaventati dalle crescenti ambizioni del loro sedicente alleato, al cui fianco era ormai onnipresente il giovane figlio Demetrio, presto chiamato Poliorcete (= l’Assediatore) per le sue capacità belliche.

Il timore che Antigono (con il figlio Demetrio) mirasse in realtà a impadronirsi di tutto l’impero di Alessandro crebbero subito a dismisura perché egli eliminò Peucesta, accusandolo di un improbabile tradimento, e, una volta arrivato a Babilonia, si preparò a fare altrettanto con Seleuco, che, capita la situazione, fuggì e si rifugiò in Egitto da Tolemeo: la sua fuga diede inizio alla Terza Guerra dei Diadochi, nella quale una coalizione composta da Lisimaco, Cassandro, Tolemeo e Seleuco si scontrò con Antigono e Demetrio tra il 315 e il 311, senza che nessuna delle due parti riuscisse a prevalere. Nel 311 fu dunque firmata una pace di compromesso che riconosceva a Cassandro il possesso della Macedonia, dove ancora viveva da prigioniero il giovanissimo Alessandro IV; a Lisimaco il possesso della Tracia; a Tolemeo il possesso dell’Egitto; a Seleuco il possesso della Babilonia e delle regioni a est del Tigri; e, infine, ad Antigono (e a Demetrio, sempre al suo fianco) il possesso dell’Anatolia e della Siria.

Tra il 311 e il 302, eliminato da Cassandro Alessandro IV, i cinque Diadochi superstiti (ai quali è da aggiungere, accanto ad Antigono, Demetrio) si attennero più o meno allo status quo, approfittarono della morte di Alessandro IV e dell’estinzione dell’antica casa reale macedone per acquisire ufficialmente il titolo di re e si prepararono allo scontro finale: da una parte, Antigono e Demetrio, ormai apertamente desiderosi di presentarsi come gli eredi di Alessandro, e, dall’altra, Cassandro, Lisimaco, Seleuco e Tolemeo, decisi a impedire ai loro avversari di raggiungere l’obiettivo tanto bramato.

Nella battaglia di Ipso, culmine della Quarta Guerra dei Diadochi, combattuta nella primavera del 301, Antigono e Demetrio furono sconfitti: il padre rimase ucciso e il figlio riuscì fortunosamente a sfuggire alla cattura, divenendo di fatto un re senza regno perché i suoi avversari si impadronirono sia dell’Anatolia che della Siria.

Quale nuovo assetto geografico viene disegnato in seguito alla battaglia di Ipso?
Morto Antigono e profugo sul mare Demetrio, i vincitori si spartirono il loro regno: in particolare, Lisimaco di Tracia si impadronì della zona anatolica, costruendo un impero a cavallo tra Europa e Asia, Seleuco aggiunse la Siria alla Mesopotamia che già dominava, Tolemeo, dall’Egitto, impose la propria sovranità alla cosiddetta Celesiria, l’odierna Valle della Bekaa, tra le catene montuose del Libano e dell’Antilibano, mentre Cassandro, già padrone della Macedonia, eliminò ogni residua influenza antigonide dalla Grecia metropolitana.

Dopo Ipso, nello spazio di pochi anni, cominciò il crepuscolo dell’epoca dei Diadochi e si avvicinò l’alba di quella degli Epigoni, cioè dei loro eredi e successori: si stabilizzò con rapidità e in maniera definitiva il regno d’Egitto, sotto il ferreo controllo di Tolemeo I Sotér (307-283 a.C.) e di suo figlio Tolemeo II Filadelfo (285-246 a.C.), primi due esponenti della dinastia che, dal nome del padre di Tolemeo I, Lago, prese il nome di Lagide, pur essendo spesso indicata anche come Tolemaica (o dei Tolemei), dall’unico nome perosnale perpetuatosi al suo interno nel corso dei secoli.

Nel giro di pochi anni, anche il regno di Siria trovò un, pur faticoso, equilibrio, grazie alla capacità di Seleuco I Nicatore, fondatore ed eponimo della dinastia dei Seleucidi, di coniugare il proprio potere centrale con le molteplici realtà etniche presenti nell’enorme territorio da lui controllato. Tra Seleucidi e Tolemei (o Lagidi) nacque, però, un pesante contenzioso per il possesso della Celesiria, contenzioso destinato a durare per più di un secolo e segnato da ben sei guerre, le cosiddette Guerre di Siria, combattute, con alterne vicende, tra il 274 e il 168 a.C.

Nello scacchiere egeo, morto Cassandro nel 297 ed estintasi, con una feroce faida familiare, la sua dinastia, Lisimaco riuscì a fronteggiare i tentativi di Demetrio Poliorcete di impadronirsi del regno di Macedonia e lo costrinse a rifugiarsi in Asia, dove morì in cattività dopo essere stato preso prigioniero da Seleuco, mentre in Europa rimase, senza terra e, apparentemente, senza prospettive, suo figlio Antigono Gonata, padrone solo di poche navi e di molti rimpianti.

Nel 285 a.C. Lisimaco assunse il titolo di re dei Macedoni, arrivando a controllare direttamente la Macedonia, la Tracia e l’Anatolia e indirettamente, attraverso una serie di alleanze egemoniche, tutta la Grecia continentale.

Pochi anni dopo, però, la ribellione esplose nella famiglia stessa di Lisimaco: il sovrano, infatti, accusò di tradimento il figlio ed erede Agatocle, che fu sconfitto ed ucciso dal padre; prima di morire, però, il giovane principe aveva fatto in tempo a chiedere (e ottenere) l’appoggio di Filetero, signore di Pergamo, fino a quel momento rimasto fedele al re dei Macedoni. Morto Agatocle, Filetero, temendo la vendetta di Lisimaco, si rivolse a Seleuco, che, nella crisi dinastica che aveva colpito il regno di Macedonia, vide concretizzarsi, in maniera del tutto inaspettata, la possibilità di impadronirsi di tutti i territori soggetti a Lisimaco.

Nel febbraio del 281 a.C., Lisimaco e Seleuco, ultimi due Diadochi ancora in vita, si scontrarono nella piana di Curupedio, in Anatolia, non lontano dalla città di Sardi: Lisimaco, sconfitto, morì con le armi in pugno, così come aveva vissuto la sua intera vita, ma il vincitore Seleuco non poté gioire a lungo del trionfo ottenuto, perché nel settembre dello stesso anno, non appena mise piede in Europa, fu ucciso a tradimento da Tolemeo Cerauno, figlio di primo letto di Tolemeo I Sotér, che lo aveva disconosciuto ed esiliato, scegliendo come erede del regno d’Egitto il figlio di secondo letto, il futuro Tolemeo II Filadelfo.

Tolemeo Cerauno si impadronì della Macedonia e della Tracia, lasciando l’intera Anatolia nelle mani del figlio ed erede di Seleuco, Antioco I Sotér, ma il suo regno ebbe breve durata; dopo neppure due anni, nel 279 a.C., una banda di predoni di origine celtica, che, in maniera del tutto imprevista e imprevedibile, aveva attraversato i Balcani e varcato i confini della Macedonia, la mise a ferro e a fuoco e uccise il neo-sovrano, che aveva tentato invano di fermarne l’avanzata: scesi fino a Delfi, i Celti furono fermati da un esercito greco guidato dagli Etoli, che si guadagnarono sul campo, insieme a fama e gloria, anche la leadership della Grecia continentale.

Nel 277, i Celti in ritirata furono sconfitti, a Lisimachia, nel Chersoneso tracico, da Antigono Gonata, che, grazie a questa vittoria, riuscì a diventare re di Macedonia, riconquistando così il potere perduto dal padre Demetrio Poliorcete: a partire dal 277, dunque, il regno di Macedonia rimase stabilmente in mano della dinastia detta Antigonide in omaggio al capostipite, padre del Poliorcete e nonno del Gonata, il grande Antigono Monoftalmo, coetaneo e fidato collaboratore di Filippo II.

A partire dal 277 ci sono dunque tre grandi regni ellenistici: la Macedonia in mano agli Antigonidi; Anatolia, Siria e Babilonia in mano ai Selucidi; l’Egitto in mano ai Tolemei. I Seleucidi, però, nel giro di una generazione, perderanno il controllo dell’Anatolia, dove si svilupperanno regni sostanzialmente autonomi (Pergamo, Bitinia, Cappadocia, Ponto), che, tra alterne vicende resisteranno fino alla conquista romana.

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