“Alessandro Magno. Sovrano ambizioso, guerriero invincibile; il più grande conquistatore di tutti i tempi” di Franca Landucci

Prof.ssa Franca Landucci, Lei è autrice della biografia di Alessandro Magno edita da Salerno: come nasce il mito di Alessandro il Grande?
Alessandro Magno. Sovrano ambizioso, guerriero invincibile; il più grande conquistatore di tutti i tempi, Franca LanducciIl mito di Alessandro Magno nasce subito dopo la sua morte avvenuta nella notte tra il 10 e l’11 giugno del 323 a.C. a causa di una malattia acuta che lo uccise in pochi giorni, lasciando i suoi collaboratori alle prese con un terribile e inaspettato vuoto di potere. Alessandro aveva solo 33 anni ed era divenuto re a 20 anni, nell’autunno del 336 a. C., dopo l’uccisione a tradimento di suo padre, Filippo II. Nella primavera del 334 era sbarcato sulle coste dell’Asia Minore e aveva iniziato una grande spedizione militare contro Dario III, re dell’immenso impero persiano che da più di duecento anni si estendeva dalle coste asiatiche del Mar Egeo fino al fiume Indo. In soli 10 anni, Alessandro conquistò questo immenso impero, sconfiggendo sempre e comunque in battaglia le armate nemiche e superando tremende situazioni logistiche: dalle montagne impervie della catena del Tauro alle acque impetuose dell’Eufrate, dalle nevi dell’Hindu Kush al deserto sassoso della Gedrosia, dal deserto sabbioso d’Egitto al grande sistema fluviale dell’Indo.

Questa sua fulminea conquista, interrotta dalla sua altrettanto fulminea scomparsa, consegnò al mito la figura di questo sovrano, passato come una meteora sulla terra, ma capace, ciononostante, di lasciare tracce profonde della sua esistenza. Anche ad Alessandro, come a Napoleone, ben si attagliano da sempre e per sempre le parole de “Il cinque maggio” una delle odi più famose di Alessandro Manzoni, scritta in morte dell’ex-imperatore francese:
Ei fu. […]
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.

Su quali fonti si basa la nostra conoscenza di Alessandro?
La nostra conoscenza di Alessandro si basa essenzialmente su un ridotto numero di fonti storiografiche di età Romano-imperiale, perché sono purtroppo perdute tutte le storie che su di lui furono scritte da storici a lui contemporanei, spesso testimoni oculari delle sue imprese.

In particolare vanno ricordate quattro opere che sono vere e proprie monografie su Alessandro, tre in greco e una soltanto in latino:
– il libro 17 della storia universale scritta, in greco, da Diodoro Siculo nella seconda metà del I secolo a.C.;
– la biografia che al giovane sovrano ha dedicato il greco Plutarco, tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C.;
– la storia in sette libri della spedizione di Alessandro, la cosiddetta Anabasi di Alessandro, scritta in greco da Arriano di Nicomedia intorno alla metà del II secolo d. C.;
– la storia in dieci libri (di cui sono perduti i primi due) delle imprese di Alessandro, scritta in latino da un oscuro personaggio di nome Curzio Rufo, di cui è discussa identità e cronologia.

Tra queste opere, tutte sicuramente importanti, è considerata più fededegna quella di Arriano, perché l’autore, nel proemio, afferma esplicitamente di avere usato come sue fonti le storie di Tolemeo, poi divenuto re d’Egitto, e di Aristobulo di Cassandrea, entrambi protagonisti della spedizione di Alessandro e testimoni oculari di molti dei fatti narrati.

Oltre a queste opere ‘monografiche’ esistono innumerevoli aneddoti su Alessandro sparsi in tutta la letteratura antica, aneddoti che però trovano quasi sempre la loro origine nelle pagine degli autori sopracitati.

Quale rapporto ebbe Alessandro coi suoi genitori?
Dell’infanzia e della giovinezza di Alessandro ci parla esclusivamente Plutarco nella biografia a lui dedicata, perché Plutarco, che si definisce appunto biografo e non storico, afferma di essere interessato non solo e non tanto a raccontare tutte le imprese del sovrano, quanto piuttosto a narrare gli episodi che a suo avviso erano i più adatti a ricostruire la figura morale del personaggio. In quest’ottica è evidente l’importanza dei suoi primi anni di vita, con i complessi rapporti con i genitori.

Il padre, il re Filippo II, vero fondatore della potenza macedone, rappresentò per Alessandro un modello non tanto da amare quanto piuttosto da emulare, con la paura, esplicita nella giovinezza, di non riuscirci, proprio a causa della grandezza delle imprese paterne.

La madre, Olimpiade, principessa d’Epiro, sensibile al fascino delle religioni misteriche, costretta a condividere il marito con molte altre donne, mogli, amanti o concubine che fossero, riversò tutto il suo amore e le sue aspirazioni sul figlio Alessandro, bello, biondo e raffinato, così diverso dal rude e (apparentemente) rozzo Filippo, fedifrago e traditore.

Alessandro, da parte sua, amava senza riserve né condizioni la madre e i cattivi rapporti che ella aveva con Filippo sicuramente contribuirono a rendere difficile anche il rapporto tra padre e figlio, perché quest’ultimo si sentiva in diritto e in dovere di difendere Olimpiade e soprattutto la sua posizione di madre dell’erede al trono, che la poneva al di sopra di tutte le altre numerose donne del marito.

Quale profilo umano si può tracciare del condottiero macedone?
Domanda difficile…. Alessandro era un uomo pieno di contraddizioni, capace di grandi slanci di generosità come di improvvise e durissime crudeltà. Sicuramente, come ho già accennato, aveva molto sofferto per i contrasti tra i suoi genitori, schierandosi apertamente dalla parte della madre. Fu sempre geloso anche del fatto che il padre non solo era stato molto popolare tra i Macedoni quando era vivo, ma era anche profondamente rimpianto negli anni successivi alla morte. Forse per questo, a partire dalla visita all’oracolo del dio Ammone, nel deserto egiziano, egli fece propria l’idea (e ne autorizzò la diffusione) che il suo vero padre non fosse Filippo, ma il dio Zeus, entrato in forma di serpente nel letto di Olimpiade.

Alessandro, come molti Greci, era certamente bisessuale: molto stretto e profondo fu il rapporto con l’amico e coetaneo Efestione, la cui morte, nell’inverno del 324 a. C., sconvolse il sovrano, che per l’amico defunto volle organizzare funerali sontuosi, sul modello omerico di quelli consacrati a Patroclo da Achille. Alessandro si sposò solo negli ultimi anni di vita con almeno due aristocratiche persiane, Rossane, madre del figlio postumo del sovrano, nato tre mesi dopo la morte del padre, e Statira, figlia del defunto re di Persia, Dario III. Non si può però escludere che queste nozze fossero state decise da Alessandro semplicemente per ribadire la sua volontà di favorire una piena integrazione tra vincitori Macedoni e Persiani sconfitti.

Cosa rese possibile le straordinarie conquiste militari del sovrano macedone?
Alessandro, come quasi tutti i suoi più stretti collaboratori (e come era stato suo padre), era un guerriero tanto coraggioso da sfiorare la temerarietà: sempre in prima fila, fu più volte ferito, talvolta quasi mortalmente. Questo suo coraggio galvanizzava i suoi soldati e li spingeva a tentare il tutto per tutto pur di non sfigurare di fronte al loro sovrano.

Ma, al di là del suo personale, e innegabile, coraggio, Alessandro riuscì a trasformare l’esercito macedone, già profondamente riformato da suo padre, il re Filippo II, in una invincibile macchina da guerra grazie alla sua straordinaria capacità di mettere in sinergia la stabilità della falange, che, con le sue lunghe lance (le cosiddette sarisse), poteva inchiodare al terreno la fanteria nemica, con l’eccezionale mobilità della cavalleria, l’arma tradizionale dell’aristocrazia macedone, capace di scompaginare da cima a fondo qualunque schieramento avversario.

Come morì Alessandro?
Alessandro morì nella notte tra il 10 e l’11 giugno del 323 a.C.: pochi giorni prima, dopo un banchetto offerto da uno dei suoi collaboratori, il re era stato assalito da una febbre improvvisa e violenta, che nessuna cura riuscì neppure a mitigare. Quando Alessandro si rese conto di essere ormai in punto di morte, permise che tutti i suoi soldati, radunati da giorni sotto le sue finestre, sfilassero davanti al suo letto per dire addio al loro condottiero, che, ormai non più in grado di parlare, li salutò ad uno ad uno con un cenno del capo.

Alcuni storici antichi insinuarono il sospetto che Alessandro fosse stato avvelenato da alcuni aristocratici Macedoni, contrari alla sua politica di integrazione tra vincitori e vinti. Naturalmente non è possibile arrivare ad una verità incontrovertibile, anche perché nulla abbiamo dei suoi resti mortali e la sua stessa tomba non esiste più da almeno 1500 anni. Se vogliamo pensare ad una morte naturale, possiamo ipotizzare o una violenta polmonite, o un attacco di malaria. Di recente è sta ipotizzata una sindrome molto rara, la cosiddetta Sindrome di Guillain-Barré che paralizza progressivamente e rapidamente tutte le funzioni vitali, pur lasciando intatte quelle cognitive.

Qual è l’eredità di Alessandro Magno?
Anche questa è una domanda difficile, che esige una risposta complessa, che si riferisca sia all’eredità lasciata da Alessandro ai suoi successori, sia a quella arrivata fino a noi.

In genere, possiamo dire che Alessandro ha permesso, non ai suoi eredi diretti, rapidamente eliminati dai suoi agguerriti generali, ma ai suoi eredi politici, i cosiddetti Diadochi, parola che in greco significa appunto Successori, di costruire grandi stati territoriali dove una classe dirigente di origine greco-macedone portò ad una progressiva integrazione tra le varie realtà comunitarie lì presenti, così che alla fine in tutto il Mediterraneo orientale si formò un mondo globalizzato e cosmopolita, dalle forti strutture cittadine, che ne costituivano la spina dorsale. Questo mondo globalizzato divenne poi parte fondamentale dell’impero romano, che vi aggiunse molti territori dell’Europa occidentale e dell’Africa settentrionale: questo nuovo impero che comprendeva tutto il bacino del Mediterraneo fu amministrato per secoli con sistemi sostanzialmente mutuati da quelli tipici delle monarchie ellenistiche, anche se Roma non riconobbe mai ufficialmente questa eredità, ma anzi mostrò sempre notevole disprezzo per la cosiddetta decadenza ellenistica.

Per quello che riguarda, invece, l’eredità giunta sino a noi, possiamo dire che soltanto negli ultimi anni, dopo decenni, se non secoli, durante i quali i moderni hanno fatto proprio il disprezzo mostrato dai Romani per il mondo ellenistico, sempre dipinto come corrotto e decadente, si tende a rivalutare la ricchezza sociale e culturale di questo mondo multietnico, capace di armonizzare e mettere in sinergia usi e costumi molto diversi tra di loro, senza creare confini chiusi e invalicabili, anche se a prezzo della perdita dell’autonomia politica tipica del mondo classico delle città stato.

Franca Landucci insegna Storia economica e sociale del mondo antico ed Epigrafia greca nell’Università Cattolica di Milano. Da sempre si occupa della storia greca dall’età di Filippo II all’età dei Diadochi e degli Epigoni (360-270 a.C.). È autrice di diverse monografie tra cui: Diodoro Siculo. Biblioteca storica. Libro XVIII. Commento storico (Vita&Pensiero, Milano, 2008); L’ellenismo (Il Mulino, Bologna, 2010); Il testamento di Alessandro. La Grecia dall’Impero ai Regni (Laterza, Roma-Bari, 2014). Ha pubblicato anche molti saggi brevi di storia ellenistica e di storia della storiografia antica.

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