
Conoscere i Greci abitua quindi a leggere una società diversa per molti aspetti dalla nostra, a indagare le ragioni di alcune risposte che essi hanno dato a problemi comuni, pur nella diversità storica, ai nostri. Ciò si configura come un percorso di crescita di grande utilità, in una società in cui sempre più siamo chiamati a interagire con culture lontane dalle nostre, spesso avvertite come conflittuali.
Si potrebbe sostenere che per questi obiettivi formativi basterebbe uno studio generale dell’antico, senza il ricorso alla lingua. Qui però sta il secondo punto d’interesse. Lo studio di qualsiasi lingua (come è scontato e spesso ribadito) permette di penetrare meglio nel mondo del popolo che la parla, ma il greco antico, in quanto sistema concluso e circoscrivibile, è una palestra privilegiata per studiare le strutture e i meccanismi linguistici in generale, rendendo più consapevoli delle nostre lingue moderne. Chi conosce il greco ha un indubbio vantaggio per studiare le lingue viventi, per appropriarsi meglio delle strutture e delle risorse lessicali e semantiche della propria lingua. Basti considerare quale patrimonio lessicale il greco ha lasciato alle lingue moderne. Qualche anno fa, quando si minacciava l’estromissione della Grecia dalla comunità europea, c’è stato chi ha detto che, se noi europei versassimo anche solo un centesimo ogni volta che pronunciamo una parola derivata dal greco, saneremmo nel giro di poco tempo il debito pubblico del paese.
La traduzione in quanto tale è una delle operazioni intellettuali e culturali più alte e complesse. Necessita di competenze finissime, non solo strettamente linguistiche, che, sebbene difficilmente possano essere coltivate a scuola, soprattutto nella scuola dispersiva di oggi, concorrono a formare un ethos trasferibile anche in altri campi.
Quando e come si sviluppa l’insegnamento del greco all’interno della scuola italiana?
Riassumere in breve la tormentata e tortuosa storia della didattica del greco in Italia è impossibile. Per questo, chi è interessato può consultare il mio libro, che come ogni libro, a distanza anche di poco tempo, è sempre più sapiente alla fine dell’autore che lo ha scritto. Ricordo solo che l’insegnamento del greco in Italia a partire dal 1600 ha risposto anche ad una esigenza pratica: la lettura dei testi sacri. Coltivato per lo più all’interno dei seminari, permise di contrastare, almeno negli intenti, il movimento protestante, che poteva contare sulla grande filologia tedesca, alle cui dipendenze la didattica del greco anche in Italia si è posta, a partire soprattutto dall’Ottocento, quando fu progressivamente inserita nel sistema scolastico del neonato Regno.
Come si è evoluta la didattica del greco dal Sette-Ottocento ai giorni nostri?
Purtroppo credo che si possa affermare, senza timore di essere smentiti, che non si è evoluta affatto. Si assiste ad un sostanziale immobilismo e questo è uno dei motivi del fallimento o quanto meno dello scarso successo del greco nella scuola di oggi, sebbene non vada taciuto che il greco è difficile e che ciò che si richiede oggi agli studenti, anche con l’esame di Stato (su cui è meglio stendere un velo pietoso con la scandalosa confusione di questi giorni, in cui sono tenuti professori e studenti), è alto, non esiterei a dire eccessivo. Ѐ quindi giunto il momento di ripensare su nuove basi, con diversi metodi, la didattica, fissando anche nuovi obiettivi e finalità formative.
Quale destino, a Suo avviso, per gli studi umanistici e più in generale per il Liceo Classico?
Nonostante vari tentativi di limitazione e/o soppressione, che si sono susseguiti nella storia della scuola italiana, il greco sopravvive. Il dibattito di oggi ripropone domande e risposte antiche, quelle già formulate nell’Ottocento. Il greco sopravviverà, come anche gli studi classici in generale, ma la sfida lanciata oggi dalla nostra società agli addetti ai lavori è in quale forma e con quali scopi. Facciamo fatica oggettivamente a inserire nel contesto culturale e nei parametri mutati del mondo il patrimonio dell’antico. Avvertiamo un senso di scarso adattamento, mentre fino a pochi anni fa il ruolo del latino e del greco nella nostra scuola e nel mondo dei valori culturali era ben definito, non fosse altro perché servivano almeno da selettori sociali. Questo per molto tempo è bastato e non ci si è rinnovati. Non ci si chiedeva a cosa servisse il greco. Era necessario studiarlo, anche con fatica, se si voleva un domani ricoprire posti di prestigio. Tutto questo di colpo è sparito.
Oggi però è tanto più necessario trasferire almeno a una ristretta minoranza i valori dell’antico, in modo che chi ne è a conoscenza diventi, per così dire, la coscienza critica di un mondo troppo tecnologico e incapace di ampi sguardi e quindi di risposte lungimiranti di fronte ai problemi. Se si vuole scoccare una freccia, bisogna tendere l’arco il più possibile all’indietro. Così è anche per la storia.
Quale didattica per il greco antico oggi?
Domanda delle domande! Certo non è più proponibile uno studio ‘tradizionale’, o meglio, della tradizione bisogna conservare solo gli aspetti virtuosi, che pure ovviamente ci sono. Ѐ necessario però dare molto più spazio all’apprendimento del lessico, sempre maltrattato nella didattica delle lingue classiche, nella falsa convinzione che uno studio puramente morfologico e sintattico garantisca un approccio ai testi. Una lingua invece si conosce principalmente attraverso le parole, senza contare che le parole, con la loro evoluzione semantica, contengono la storia di un popolo e quindi, vista la contiguità tra il greco e l’italiano, anche la nostra storia (o preistoria).
Non bisogna inoltre finalizzare tutto alla traduzione. Tradurre in modo consapevole e autonomo è difficile, come si diceva, ed è un obiettivo raggiunto a scuola da un numero sempre più esiguo di studenti, i più motivati, che hanno più passione e sono disposti a impiegare tempo, che, come è organizzato oggi il Liceo classico, con la proliferazione delle materie e l’ampliamento dei saperi, è sempre meno. Ecco perché con gli obiettivi va ripensato urgentemente anche l’esame finale di Stato, da ristrutturare dalle fondamenta, non con aggiustamenti parziali.