“Col favore delle tenebre. La legge sulla P2 a quarant’anni dalla sua approvazione” di Andrea Leccese

Dott. Andrea Leccese, Lei è autore del libro Col favore delle tenebre. La Legge sulla P2 a quarant’anni dalla sua approvazione, edito da Castelvecchi: a quarant’anni dalla Legge Spadolini e dallo scioglimento della loggia P2, cosa ne è dell’associazionismo segreto in Italia?
Col favore delle tenebre. La legge sulla P2 a quarant’anni dalla sua approvazione, Andrea LeccesePrima di tutto credo sia da ingenui pensare che il problema della P2 sia stato risolto in un amen dopo il suo scioglimento per legge. È un fatto che negli anni successivi gran parte dei sodali noti (quelli delle liste rinvenute) hanno potuto fare sfavillanti carriere nel mondo della politica, dell’imprenditoria, del giornalismo e della pubblica amministrazione. Ed è altrettanto evidente che ancora oggi non si è fatta luce sul ruolo di quella società segreta nelle pagine più buie della nostra storia. Dopo la vicenda gelliana, dalle indagini della Procura di Palmi (1992) fino alla recente inchiesta sulla fantomatica loggia Ungheria, registriamo solo alcuni fallimenti giudiziari e delle inchieste che appena lambiscono l’associazionismo segreto. Quindi o il potere occulto non esiste o qualcosa non funziona.

La questione appare molto rilevante con riguardo alla qualità della democrazia. È chiaro che una ipotetica P2 dei nostri giorni sarebbe ancora più insidiosa, in un periodo come questo caratterizzato dalla debolezza strutturale dei partiti politici a vantaggio di lobby e gruppi privati di ogni tipo.

Il problema dell’associazionismo segreto non va preso sotto gamba. Nei centri di potere occulto si annidano fisiologicamente gli interessi più loschi. Talune recenti inchieste (Mammasantissima, Rinascita Scott, ecc.) hanno in qualche misura svelato, soprattutto in Calabria, la pericolosità del connubio criminale delle cosiddette masso-mafie. Perciò non è ammissibile alcuna tutela della segretezza. Questo concetto fu già espresso da Giuseppe Mazzini nello scritto I doveri dell’uomo (1860): «L’associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, armi di guerra legittima dove non è Patria né Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione, quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l’inviolabilità del pensiero. Se l’associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev’essere sottomessa all’esame e al giudizio di tutti».

Come si articolò l’iter parlamentare di questa legge?
Il disegno di legge, firmato nientedimeno che dal Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, arrivò in Parlamento nel luglio 1981 e fu approvato senza sostanziali modifiche – col voto favorevole delle forze di maggioranza e dei comunisti – nel dicembre dello stesso anno. Le Aule insomma non fecero altro che ratificare il testo confezionato da un Governo che era nato del resto con il dichiarato ambizioso obiettivo di moralizzare la politica italiana e di liberarla dal male dei poteri occulti (sic!). Sono quindi le prime avvisaglie di quella tabe ormai cronica del sistema che relega il Parlamento nella posizione marginale di ratificatore di decisioni prese altrove.

Va però ricordato che almeno alla Camera dei Deputati vi fu un dibattito effervescente, grazie ai radicali e ad alcuni esponenti di sinistra che contestarono tutto l’impianto della norma. In particolare appariva del tutto inadeguato il nuovo delitto di associazione segreta che, diversamente dal dettato costituzionale, vieta le sole logge “sovversive” che “interferiscano sui pubblici poteri” – l’ “interferenza sui pubblici poteri” è anche un elemento del reato molto vago, di difficile interpretazione, in contrasto col fondamentale principio di “tassatività” del diritto penale – e per giunta non consente le indispensabili intercettazioni telefoniche e ambientali a causa di una pena prevista troppo blanda.

Il confezionamento della Legge Spadolini accese la straordinaria passione civile di figure come Nilde Iotti, Stefano Rodotà e Roberto Cicciomessere: di quale importanza fu il contributo che essi diedero a quella stagione di rinnovamento?
Nilde Iotti era allora Presidente della Camera e non poté dare un suo contributo alla discussione. Le pagine del libro che la riguardano sono tuttavia tra le più piacevoli, perché raccontano la curiosa vicenda della cacciata del vignettista Vincino dalla tribuna del pubblico. Ebbene, più che di una stagione di rinnovamento, io ritengo sia stata piuttosto un’occasione perduta. Il legislatore avrebbe potuto approvare finalmente una legge attuativa del divieto contenuto nell’art. 18 della Costituzione («Sono proibite le associazioni segrete») e invece non sorprendentemente optò per una normativa che rientra a pieno titolo nella categoria della “legislazione simbolica”, con la sua tipica caratteristica della inconsapevole (o consapevole) ineffettività. I difetti del disegno di legge furono evidenziati da parlamentari dello spessore di Stefano Rodotà, di Roberto Cicciomessere e di Massimo Teodori, ma alla fine passò un solo emendamento col quale si evitò che il testo risultasse persino ridicolo.

Certo la situazione era paradossale: i partiti che votarono la legge contro la P2 erano tutti compromessi con la loggia di Gelli, a eccezione dei comunisti. Dovrebbe far specie – come notarono allora i radicali – che il grande PCI, principale forza d’opposizione e secondo partito politico per numero di parlamentari eletti, almeno apparentemente non coinvolto nella vicenda della P2, si sia completamente allineato all’orientamento del Governo. Ma l’atteggiamento dei comunisti è in realtà comprensibile, perché i tempi del “compromesso storico” non erano lontani e il partito non aveva mai rinunciato all’idea di partecipare direttamente al governo del Paese. Per questo, si impegnava ancora a dimostrare “senso di responsabilità”.

I radicali, fortemente contrari al testo in esame, definirono “squallido” il disegno di legge, perché serviva soprattutto a fornire un “alibi” a quelle forze politiche che per anni non avevano voluto affrontare una questione già nota. L’inerzia che c’era stata non era stata determinata dalla mancanza di strumenti legislativi, ma dalla precisa volontà politica di ignorare il problema della P2. L’associazione segreta di Gelli non era più ignota da diverso tempo: a testimoniarlo ci sono le numerose interrogazioni parlamentari, presentate anche nella precedente legislatura dai radicali e dal PCI, rimaste ovviamente senza risposta da parte del Governo.

Secondo Cicciomessere, quella norma altro non era che «una copertura assai comoda all’enorme scandalo P2»: il messaggio sotteso, ingannevole per l’opinione pubblica, sarebbe cioè che, in assenza di una legge di attuazione dell’articolo 18, sono inevitabili fenomeni di degrado come quello scoperto nel marzo 1981. Ma le trame della loggia di Gelli erano il frutto, non tanto di quel vuoto normativo, quanto piuttosto di precise complicità e coperture politiche. Questa contraddizione andava assolutamente rilevata: da un lato la maggioranza getta fumo negli occhi con quel disegno di legge inconsistente e dall’altra poco o nulla fa in concreto per accertare le responsabilità della P2 e dei singoli affiliati (molti dei quali seduti sugli scranni parlamentari). Alla fine del 1981, infatti, non solo non era ancora stata costituita la Commissione d’inchiesta né per essa era stato individuato un presidente, ma aleggiava anche il forte sospetto che le indagini e i processi in corso sui piduisti venissero in qualche modo sistematicamente insabbiati.

Anche Stefano Rodotà non riuscì a nascondere il suo disappunto per quello che stava accadendo in Aula. Era impossibile non notare quanta distanza ci fosse tra la «magniloquenza delle proclamazioni» e la realtà, cioè la divergenza tra gli argomenti retorici a sostegno del disegno di legge – che sono segno di cattiva coscienza – e l’inadeguatezza di un testo normativo «assolutamente insufficiente». È del tutto incoerente presentare un testo così debole come una determinante azione politica di lotta alla grave degenerazione messa in evidenza dalla P2.

In che modo la storia della “Legge Anselmi” è utile per capire quali sono stati gli esiti reali della lotta contro il “potere occulto”?
Direi che la storia della “Legge Spadolini” – non chiamiamola “Legge Anselmi”, perché Tina Anselmi non ebbe alcun ruolo nella predisposizione di quel testo – fa capire che non ci fu allora una reale volontà politica di contrastare il “potere occulto”. Norberto Bobbio ci aveva messo in guardia dai pericoli del «potere invisibile», ma non lo abbiamo ascoltato. In democrazia il potere deve essere il più possibile visibile. Le decisioni di chi legifera e governa vanno prese «sotto il controllo della pubblica opinione». L’esistenza di poteri occulti va considerata inaccettabile. Non dobbiamo consentire che essi si sostituiscano ai partiti e ai legittimi luoghi decisionali. Non possiamo permettere che governino «senza essere al governo», come disse un giorno lo stesso Gelli. Le scelte politiche si fanno in Parlamento e nei palazzi delle istituzioni, non altrove.

Perciò, se abbiamo a cuore la “trasparenza” come valore fondante del nostro ordinamento, se riteniamo necessaria una sanzione penale contro le logge segrete, se pensiamo che nella nostra società non debbano esserci “santuari” impermeabili alle indagini, è auspicabile a questo punto una modifica costituzionalmente orientata della “Legge Spadolini”, che la renda finalmente efficace e attribuisca sufficiente deterrenza a un reato pressoché inutile. In questa direzione andava la proposta di legge presentata nel 2017 da Davide Mattiello, che semplicemente espunge il riferimento infelice alla finalità politica (l’“interferenza sui pubblici poteri”) e inasprisce le pene in maniera da consentire lo strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche e ambientali.

Andrea Leccese (San Severo, 1976), laureato in Giurisprudenza, Scienze politiche ed Economia e commercio, è un saggista, esperto di mafie. Nel 2009 ha vinto il Premio Nazionale “Paolo Borsellino”, nel 2018 il Premio “Fortuna” – Città metropolitana di Bari, nel 2019 Premio OMCOM della Fondazione Caponnetto. Tra le sue pubblicazioni, Maffia & Co. (Armando, 2016), Il voto di scambio politico-mafioso (Armando, 2018), Massomafia (Castelvecchi, 2018), Malapuglia (Castelvecchi, 2019) e Col favore delle tenebre (Castelvecchi, 2022).

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