“La conversione di Gemelli. Da Edoardo a frate Agostino” di Luciano Pazzaglia

Prof. Luciano Pazzaglia, Lei è autore del libro La conversione di Gemelli. Da Edoardo a frate Agostino, edito da Morcelliana. Quello della svolta con cui, dopo essersi allontanato dalla religione dell’infanzia ed aver sposato le dottrine scientiste e materialiste, nel 1903 decideva di tornare alla fede cattolica e di entrare nell’Ordine dei Frati Minori di san Francesco, rappresenta uno dei passaggi più significativi della vita di Agostino Gemelli: come maturò tale conversione?
La conversione di Gemelli. Da Edoardo a frate Agostino, Luciano PazzagliaNella biografia di Gemelli (1878-1959) la conversione costituì un momento chiave. Figlio di genitori non credenti, egli era stato, tuttavia, battezzato e aveva ricevuto la comunione e la cresima, ma fin dagli studi liceali, compiuti presso il liceo-ginnasio Parini di Milano, aveva abbandonato ogni pratica religiosa. Inoltre, iscrittosi nel 1896 alla facoltà di Medicina di Pavia, egli sposava le dottrine positiviste e aderiva al socialismo, impegnandosi nelle lotte sociali e politiche di fine secolo e partecipando, tra l’altro, alle manifestazioni popolari che, nel 1898, si diffusero in diverse città italiane contro il governo per il rincaro del pane. Fra i docenti dei corsi di Medicina frequentati, colui per il quale nutrì subito una forte attrattiva fu Camillo Golgi, il celebre patologo che nel 1906 sarebbe stato insignito del premio Nobel (insieme con Santiago Ramon y Cajal), tanto che lo scelse come relatore della propria tesi di laurea. Gemelli si laureò il 9 luglio 1902 conseguendo il massimo dei voti e i più ampi apprezzamenti e Golgi, ben consapevole del valore dell’allievo, lo nominò subito suo assistente. Il giovane ricercatore sembrava ormai destinato a una brillante carriera accademica nel campo degli studi medici, ma nella primavera del 1903 imprimeva alla sua vita una svolta radicale: riabbracciava il cattolicesimo e, entrato quale novizio nell’Ordine dei frati minori di san Francesco, rinunciava al nome dello stato civile di Edoardo per assumere quello religioso di frate Agostino.

Quali circostanze e incontri contribuirono a far emergere in lui il bisogno di dare alla propria vita un diverso orientamento?
Occorre, intanto, precisare che l’idea secondo cui egli si sarebbe convertito in modo subitaneo risponde più a un mito che alla realtà. Come avevano ben visto alcuni studiosi quali Ezio Franceschini e Nicola Raponi, la conversione di Gemelli giunse al termine di un prolungato travaglio interiore, nel quale interferirono diversi fattori: dall’amicizia con il compagno di studi e fervente cattolico Ludovico Necchi a una sofferta insoddisfazione nei confronti delle idee cui egli si era abbeverato durante gli studi universitari, dagli incontri con i professori del seminario di Pavia (e in particolare con il futuro cardinale Pietro Maffi) alla scoperta della generosità praticata verso i malati da parte di alcuni professi frati francescani conosciuti durante il servizio militare, dagli intensi colloqui con don Giandomenico Pini presentatogli da Necchi ad alcune letture come le encicliche di Leone XIII o le pagine del domenicano Henri-Dominique Lacordaire, grande formatore di coscienze. Va però subito aggiunto che nessuno di tutti questi eventi può essere identificato come la causa risolutiva della sua conversione. Nel vivo degli interrogativi sul senso della sua esistenza da cui era sempre più frequentemente tormentato, egli doveva piuttosto prendere consapevolezza della presenza di una sorta di “propulsione” interiore (come egli la chiamava) che, operando attraverso circostanze e avvenimenti esterni, si era insinuata in lui e lo spingeva a piegare le ginocchia e a pregare.

Di quale utilità sono le lettere da lui indirizzate a persone fidate e amiche come Ludovico Necchi e don Giandomenico Pini per comprendere e penetrare il suo travaglio interiore e registrare i contrastanti sentimenti che il giovane Edoardo visse, prima d’essere definitivamente raggiunto dalla grazia?
Le corrispondenze di Gemelli, in particolare con l’amico del cuore Ludovico Necchi e con Giandomenico Pini, sono molto importanti, perché, nel rivolgersi a persone su cui sapeva di poter contare, egli non aveva difficoltà ad aprire sino in fondo il proprio animo. Pertanto, esse non solo hanno un valore documentario sui tempi della crisi spirituale da cui il giovane medico fu colpito, ma mettono a nudo le emozioni, i dubbi, il tormento interiore che egli andò vivendo, in particolare quando, dopo essersi convertito, cominciò ad avvertire i segni di una vocazione religiosa. Nel leggere i testi di meditazione su cui don Pini lo invitava a riflettere, aveva l’impressione che, per come aveva vissuto negli anni precedenti, egli fosse molto lontano da quell’ideale di sacerdozio verso cui pure si sentiva attratto e, nel rivolgersi a don Pini perché lo aiutasse a uscire dalle incertezze, lo implorava: «Me lo dica, mi illumini; mi dica che non mi inganno, mi dica che il Signore ha voluto dare a me questa grande grazia a me che me ne sento immeritevole».

Nel corso della sua vita, Gemelli si soffermò più volte a trattare della conversione, ma fu sempre molto reticente nel fornire qualche notizia su quella che era stata la propria esperienza personale: a cosa si deve tale reticenza?
La ragione principale della sua riluttanza a parlare della propria conversione era principalmente dovuta a una sorta di ritegno che egli aveva a intrattenersi in pubblico su quello che era stato il suo incontro con Dio. Lo confessava egli stesso in uno scritto di qualche tempo dopo, recensendo lo studio bio-psicologico della conversione religiosa pubblicato dal collega professor Sante De Sanctis: «Ogni volta che io leggo un libro sulla conversione mi ripropongo il problema di scriverne uno pur io; ma sempre, dopo breve meditazione, penso che è meglio non farne nulla. Forse anche per un certo pudore. Non vorrei si pensasse che io metto in mostra l’intimità della mia conversione. Nella “camera nuziale” della mia anima, non c’è posto che per Dio». Questo, tuttavia, non gli impedì che, nei momenti in cui ebbe occasione di affrontare il tema della conversione in generale, egli fornisse alcune interessanti indicazioni. Nel fare, di sicuro, appello anche alla sua esperienza, egli sosteneva che, se alcune circostanze esterne – incontri, letture, amicizie – potevano in una persona incredula far sorgere dei dubbi e concorrere a favorire nella sua intimità il processo della conversione, nessuno di tali eventi avrebbe potuto costituire l’elemento determinante capace di condurre quella persona ad abbracciare la vita di fede. A suo modo di vedere, la vera causa efficiente della conversione di un’anima era data dall’irrompere in essa della presenza di Dio con la sua azione di grazia; ma ciò non significava che, nella vita di un convertito, non ci sarebbe allora più posto per l’azione volontaria e libera. Sulla scorta di sant’Agostino, egli affermava che, in ogni caso, per aderire alla chiamata di Dio, sarebbe stato necessario volerlo «con volontà salda, piena e tenace».

I genitori di Edoardo fecero una strenua opposizione alla sua decisione di farsi frate: quali pressioni esercitarono su di lui?
La decisione di Gemelli di convertirsi e di vestire l’abito francescano generò nei suoi rapporti con i genitori un profondo conflitto. Nella loro opposizione alla scelta del figlio dovevano giocare diversi fattori. Particolarmente dura fu la reazione della madre, la quale, legata a Edoardo in modo quasi morboso, ebbe il timore di perderlo in via definitiva. Ma pesarono anche altri elementi. Tanto il padre quanto la madre contavano molto sul fatto che la brillante carriera professionale verso cui il figlio sembrava avviato potesse concorrere alla promozione sociale dell’intera famiglia. Non dimentichiamo che, a causa di un dissesto finanziario, il padre aveva dovuto lasciare il caffè di cui era titolare in pieno centro a Milano per ripiegare su un’attività commerciale molto più modesta e, in ogni caso, priva di quei riconoscimenti sociali di cui la famiglia aveva goduto precedentemente. Per i genitori la decisione di Edoardo di farsi frate fu vissuta come una rinuncia alle loro ambizioni. Non c’è, pertanto, da stupirsi che essi ricorressero a ogni mezzo per impedirgli di compiere quel passo, compreso l’avvio di un’indagine psichiatrica che, dimostrando l’incapacità di Edoardo a decidere di se stesso, consentisse loro di strapparlo al convento e di ricondurlo a casa.

Quale eco ebbe la vicenda della conversione di Gemelli?
La scelta di Gemelli non solo di tornare ad abbracciare la fede cattolica, ma anche di farsi frate divenne un vero e proprio caso. È interessante notare come tutto nacque dalla decisione dei genitori di Edoardo di rendere pubblica sul «Corriere della sera» la lettera con cui il figlio li informava delle proprie intenzioni. La loro speranza era di creare un po’ di scalpore che servisse a fermare Edoardo e a dissuadere i frati dall’accoglierlo nel loro Ordine. Da quel momento la vicenda del giovane medico fattosi frate fu, per qualche settimana, al centro dell’interesse dei giornali anche nazionali. Considerata la prospettiva della brillante carriera cui Edoardo sembrava avviato, alcuni commentatori si spinsero a parlare del «suicidio di un’intelligenza». Sul caso veniva così a riproporsi la consueta opposizione fra organi di stampa liberali e socialisti, da una parte, e cattolici dall’altra. La speranza dei genitori di Edoardo andò, comunque, delusa: il giovane medico, ormai nelle vesti di frate Agostino, non rinunciava al suo proposito e, dopo il noviziato al termine del quale emetteva i voti semplici di povertà, castità e obbedienza, proseguiva i suoi studi filosofico-teologici e il 14 marzo 1908 riceveva l’ordinazione sacerdotale. L’avversione dei genitori alla scelta del figlio si sarebbe protratta ancora a lungo: per poter riabbracciare il padre e la madre, frate Agostino avrebbe dovuto attendere il 7 dicembre 1921, quando celebrando la messa per l’inaugurazione dell’Università Cattolica, avrebbe avuto la gioia di vedere i genitori accostarsi alla balaustra per ricevere dalle sue mani la comunione.

Quali furono le conseguenze della decisione del giovane medico di farsi frate riguardo alla sua vocazione di studioso?
Per qualche tempo, preso dal fervore della sua scelta, frate Agostino pensò che la vocazione religiosa entrasse in conflitto con quella dello studioso, tanto che, ricevuta la richiesta della traduzione in francese di un saggio pubblicato sul tema dell’ipofisi cui aveva dedicato i suoi studi universitari, egli preferì soprassedere, convinto, precisamente, che il consentire a quella pubblicazione sarebbe stato «fare un passo di più su di una via che ho già giudicato perniciosa alla salute dell’anima e che perciò ho abbandonato». Ma di lì a poco sulla questione se il vestire il saio contrastasse con la sua vocazione di studioso egli avrebbe cambiato opinione. A tale proposito particolarmente importanti furono gli studi filosofici-teologici che nel 1905 egli intraprese nel convento francescano di Dongo. Durante questi studi, frate Agostino ebbe, infatti, occasione d’imbattersi, come altri suoi compagni, con le idee del cosiddetto modernismo, ovvero con il movimento auspicante una profonda riforma culturale e spirituale del cattolicesimo, che, come si sa, nel 1907, sarebbe stato raggiunto dalla condanna della Chiesa. Questa condanna provocò in Gemelli una profonda crisi che rischiò di mettere in discussione la sua stessa scelta religiosa e che egli riuscì a superare grazie anche all’aiuto di don Luigi Guanella. Successivamente nei confronti del modernismo egli avrebbe assunto una posizione fortemente critica, ma l’esperienza da lui vissuta a Dongo contribuì a convincerlo che i cattolici, lungi dal diffidare della ricerca scientifica, avrebbero dovuto, al contrario, dedicarvisi con tutte le loro energie. Fu precisamente in questo contesto che, confortato anche dal parere di studiosi come il professor Giuseppe Toniolo e il cardinal belga Désiré-Joseph Mercier, egli cominciò a coltivare l’idea di dar vita a un istituto superiore di studi scientifici e filosofici che, nel 1921, avrebbe preso corpo con il nome di Università Cattolica.

Luciano Pazzaglia, già ordinario di Storia dell’educazione presso l’Università Cattolica, è presidente del Centro Studi “Tommaso Gallarati Scotti” e direttore dell’Archivio per la storia dell’educazione in Italia (Università Cattolica, sede di Brescia). Ha curato l’edizione del testo di Nicola Raponi, Per una storia dell’Università Cattolica. Origini, momenti, figure (Morcelliana, 2021) e la raccolta di riflessioni e interventi di Sergio Mattarella, Crescere insieme. Scritti sulla scuola e la società (Scholé, 2022).

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