
Quando e come è nata la plastica?
Dipende. Ci sono molti tipi di plastiche. Per esempio, se prendiamo in mano una bottiglietta di acqua minerale, tocchiamo del polietilenterftalato – la bottiglia vera e propria – e del polietilene – il tappo. Si tratta di molecole diverse. Il primo venne brevettato negli anni Quaranta del secolo scorso mentre il secondo è ottocentesco. I vecchi dischi 33 o 45 giri, che stanno tornando di moda col loro coté vintage, venivano chiamati anche vinili perché sono fatti di polivinilcloruro, un materiale scoperto nella prima metà dell’ottocento. Il cinema deve molto alla celluloide, un materiale inventato verso la metà dell’Ottocento da un megalomane inglese, Alexander Parkes, che senza alcuna inibizione la brevettò col nome di Perkesina. Si tratta, in genere, di materiali creati molti anni fa, talvolta per puro caso. Spesso, non hanno avuto gran successo se non dopo molti anni.
Quindi col termine generico plastica si fa in realtà riferimento a vari composti: quali sono i principali?
Sì, proprio così. Si possono fare anche dei paralleli. Per esempio col termine legno indichiamo vari tipi di legni, il castagno, l’abete, il noce e compagnia bella, che hanno caratteristiche e usi diversi. Di frassino erano fatte le ruote dei carri, le racchette da tennis o gli sci, mentre il pioppo serve per fabbrica carta e cartone. Analogamente, ci sono vari tipi di metalli che hanno diverse applicazioni. Il ferro e l’acciaio sono importanti per fabbricare treni, automobili e il cemento armato mentre col rame facciamo cavi elettrici. L’oro e l’argento, invece, sono principalmente utilizzati in gioielleria. Così come ci sono vari tipi di legni e di metalli, ci sono vari tipi di plastiche che usiamo nei modi più disparati: celluloide, polistirene, polietilene, polietilenterftalato, teflon, nylon, cellophane, polilattato, cloruro di polivinile e l’elenco potrebbe continuare.
A cosa si deve il successo della plastica?
A due caratteristiche: costa poco e dura a lungo. Per esempio, la Parkesina, che ora chiamiamo celluloide, era un solido bianco e duro che somigliava al costosissimo avorio al punto da sostituirlo diventando una specie di avorio per poveri. Analogamente, il nylon – a dire il vero ci sono parecchi tipi di nylon – è diventato la seta dei poveri: pensate alle calze da donna, un tempo fatte di costosissima seta e ora vendute per pochi soldi al mercato. Ci sono poi alcune plastiche dalle caratteristiche pressoché uniche. Pensiamo alle padelle antiaderenti. Sono ricoperte da un sottile film di teflon, un materiale plastico che ha un coefficiente di attrito bassissimo: tutto ci scivola sopra che è una meraviglia. Grazie al teflon i salutisti possono cucinare senza grassi e grazie al teflon possiamo lavare queste padelle con grande facilità. Una caratteristica interessante del teflon è che non brucia, cosa interessante se si cucina col fuoco.
È possibile eliminare le plastiche dall’oggi al domani?
La risposta è semplice: no. Certo, possiamo fare a meno dei bicchierini di plastica del distributore di caffè e possiamo organizzare colazioni sull’erba senza piattini di plastica – che tra l’altro sono solitamente scomodissimi. Possiamo smettere di usare molti oggetti usa e getta e questo sta per succedere nell’Unione Europea. Possiamo anche eliminare il teflon dalle nostre cucine senza che nessuno muoia per questo di fame. Certo, l’eliminazione di tutti questi oggetti comporta una riconversione produttiva non priva di problemi sociali e economici. Molte aziende e molti lavoratori dovranno imparare a fare qualcos’altro, diverso dalla plastica e già si trovano sul mercato plastiche biodegradabili e compostabili che possono essere usate per oggetti monouso. Se però ci sono oggetti di plastica di cui si può fare facilmente a meno o che possono essere sostituiti con alternative fatte di materiali diversi, ci sono oggetti di plastica difficilmente sostituibili. Penso per esempio alle siringhe sterili usa e getta. Senza di esse dovremmo probabilmente ricominciare a usare le siringhe di vetro, da sterilizzare prima dell’uso per evitare infezioni pericolosissime. Chi non è più giovanissimo si ricorderà dei pentolini bollisiringhe dove le siringhe venivano sterilizzate per ebollizione dell’acqua. Sarebbe decisamente scomodo e anche pericoloso, specie in situazioni di emergenza. Come sostituire tanta strumentazione medica – sacche per flebo, sacche di sangue, tubi e tubicini – senza correre il rischio di infezioni? Come fornire siringhe sterili ai diabetici senza un grammo di plastica? Certo tutto o quasi è possibile ma potrebbe non essere sicurissimo, almeno per il momento.
Si può convivere con la plastica? In che modo è possibile e farne un uso intelligente?
Si deve convivere con la plastica, almeno per il momento. Non c’è alternativa. Un capitolo del libro è dedicato a quanta plastica incontriamo in una normalissima giornata. C’è lo spazzolino da denti, la gomma della bici, le suole delle scarpe, l’elastico delle mutande, il cruscotto dell’automobile o del bus, le penne a sfera, la tastiera del computer o del telecomando, le fibre elastiche nei vestiti, il telefono … Considerando che l’inquinamento da plastica è spaventosamente insidioso e temibile bisogna provare, secondo me, a fare due cose con la plastica: usarne meno e riciclarne di più. Inoltre, dobbiamo considerare attentamente gli effetti potenzialmente dannosi della sostituzione della plastica con altri materiali. Se, per esempio, smettessimo di usare gomme sintetiche e tornassimo alla gomma naturale, il caucciù, avremmo sicuramente problemi di deforestazioni selvagge. Peggio che per l’olio di palma.
Cosa comporta una corretta gestione dei rifiuti plastici?
Premetto che non sono un esperto di riciclo dei rifiuti. Vorrei però fare una considerazione da consumatore. Capita spesso che le confezioni degli oggetti che comperiamo siano fatte di due o più tipi di plastica e che magari contengano anche cartone. Penso alla piccola elettronica di consumo dove l’oggetto è appoggiato su un fondo di cartone e coperto da un foglio di plastica trasparente. Oppure tanta frutta e verdura è venduta al supermercato in un vassoietto di polistirene e avvolta in un foglio di cellophane. Talvolta pasta e riso sono contenuti in scatole di cartone munite di finestrella trasparente di plastica. Tutte queste confezioni sono difficili da riciclare. Chi ritaglierebbe la finestrella trasparente per separare cartone e plastica nella differenziata?
A che punto è lo sviluppo di materiali e tecnologie alternativi?
Bella domanda. Come sempre succede nella scienza, c’è un gran ribollire di idee, progetti, proposte ma è quasi impossibile prevedere quel che succederà. Questa è una cosa che tengo a dire, prima di lasciarci. La scienza non è mai un processo lineare nel quale è chiaro lo stato di partenza e è chiaro l’obiettivo che bisogna centrare e nel quale bisogna solo trovare la traiettoria che ci porta dallo stato iniziale a quello finale. No, non è mai così perché l’obiettivo è sempre semi-sconosciuto. Se ne conoscono solo alcune caratteristiche ma non tutte. Nel caso della plastica, avremmo bisogno di materiali inerti e quindi durevoli ma degradabili in condizioni controllate. Queste sono alcune delle caratteristiche dell’obiettivo. Ma quali materiali le possiedano, è ignoto. Ma ci arriveremo, ne sono certo. E, se non siamo fuori tempo massimo, vorrei aggiungere un’ultimissima considerazione: lo sviluppo scientifico e tecnologico non troverà mai soluzioni definitive ai problemi dell’umanità, può solo dare risposte a desideri o esigenze temporanei. Per esempio, chi riuscì a controllare il fuoco riuscì a scaldarsi, a illuminare le notti, a cuocere il cibo ma scoprì anche che ci si può ustionare e possono incendiarsi le capanne. La padronanza del fuoco ha causato sia benefici sia svantaggi. Sono questi ultimi a stimolare nuove idee che porteranno poi a miglioramenti e a rivoluzioni scientifiche, quali la candela di cera, l’elettromagnetismo e le lampadine a incandescenza, i led e domani chissà cos’altro.
Oliviero Carugo è un chimico dell’Università di Pavia dove insegna da parecchi anni e dove scandaglia le relazioni tra chimica e biologia, tra piccolissime molecole e enormi macromolecole. Oltre che a Pavia, ha imparato qualcosa anche in Germania, Austria e Slovenia. Di due cose cerca di non privarsi: della curiosità per quel che non conosce e del piacere di comunicare – non troppo seriosamente – quel che gli sembra di sapere.