
I Business People sono persone che hanno orientato la carriera e sviluppo verso una maggiore capacità di gestione del business. Sono tipicamente coinvolti nella ricaduta organizzativa e di business che i progetti afferenti alla Data Science possano avere, pur non mancando della conoscenza tecnica necessaria a decidere come orientare i progetti. Hanno una spiccata propensione ad approfondire soprattutto i dati reali e dimestichezza con grandi volumi di dati e le relative applicazioni.
I Creativi sono invece coloro in grado di svolgere l’intero processo di sviluppo e implementazione di una data analisi in totale autonomia, dall’estrazione del dato, fino allo sviluppo del miglior set possibile per la condivisione dei risultati. Sono capaci di costruire strumenti ad hoc, applicabili trasversalmente a molti ambiti, e conoscono una grande quantità di strumenti e tecnologie.
Gli Sviluppatori sono invece professionisti che più di tutti sono concentrati sulla gestione del dato, in termini di raccolta e stratificazione, e in ultima analisi, di cura nell’estrazione di valore dallo stesso. Sanno spingersi nella progettazione e nello sviluppo di sistemi di Machine Learning, e i Big Data e gli skill correlati fanno parte del loro bagaglio culturale.
I Ricercatori sono invece figure professionali che hanno seguito un percorso accademico in Socialogia e Statistica, ma anche in Psicologia e Scienze Politiche, portati alla comprensione di quei fenomeni complessi e articolati che caratterizzano i comportamenti dei clienti nei mercati odierni. L’analisi dei percorsi cognitivi è alla base delle attività di questa tipologia di Data Scientist.
Thomas H. Davenport, in un suo recente lavoro, introduce una ulteriore classificazione, separando il profilo del Ricercatore da quello più propriamente detto Data Scientist, ponendo per quest’ultimo l’accento maggiormente sul tema del metodo scientifico applicato alla ricerca.
Viviamo nell’era dei Big Data: qual è l’impatto di questo enorme volume d’informazione sull’economia e sulla nostra società?
Oggi il concetto di Big Data, intendendo con questo insiemi di dati strutturati e non strutturati afferenti ad una realtà organizzativa, ha finalmente trovato consapevolezza da parte di tutti i livelli manageriali. L’importanza di ottenere insight attraverso lo sviluppo di modelli adatti ad estrarre il valore nascosto nei dati ha stimolato questa maturazione complessiva dell’organizzazione affinché le progettualità si possano effettivamente realizzare secondo i passi necessari.
Gli impatti sui modelli economici possono essere significativi. Pensiamo ad esempio a quelle iniziative imprenditoriali che non avrebbero ragione di esistere, o meglio non potrebbero esistere, se non fossimo in presenza di volumi di dati tali da premiare l’impiego di specifiche tecnologie abitanti e lo sviluppo di algoritmi dedicati. Per fare qualche esempio Airbnb o Uber. Ma le stesse Facebook e Google sono iniziative per le quali l’impiego dei Big Data è alla base della capacità di prospezione di mercato, e alla fine, la ragione stessa di esistenza di queste aziende.
Gli impatti sociali altrettanto significativi, potendo di fatto i sistemi basati sull’uso dei Big Data introdurre alcuni bias nel supporto alle decisioni, siano queste di strategia d’impresa, come invece di acquisto da parte dei consumatori.
Si rende allora necessario affrontare l’uso di questi strumenti con consapevolezza, attraverso un percorso strutturato, che si fondi su una visione strategica complessiva e lo sviluppo di modelli di governance specifici.
Quale sarà l’evoluzione della Data Governance?
La Data Governance, riferita ai Big Data, oggi rappresenta per le aziende una priorità assoluta. E, con una chiarezza di intenti fondata su una strategia predefinita e lungimirante.
Le ragioni per le quali questa visione complessiva è necessaria risiedono in primis nella necessità di ridurre i rischi legati ad un utilizzo dei dati non consono, da cui deriva la necessità di mappare adeguatamente chi possiede e che utilizza quei dati. È poi necessario assicurarsi che chi accede ai dati sia autorizzato a farlo e, non ultimo, consentire a chi controlla il business di essere sempre consapevole dell’utilizzo che dei dati viene sia consono.
Viene meno il concetto di dato operativo, per lasciare spazio ad un nuovo concetto di dato strategico. E la Data Governance conseguentemente deve fare riferimento a criteri generali di integrità, trasparenza, di veridicità e standardizzazione.
Tutto ciò sta portando alla costruzione di portafogli di regole di processo e organizzative, altamente condivisibili, finalizzate alla creazione di un sentire comune.
L’avvento dei Big Data ha dunque messo in evidenza alcune significative necessità, sia di ordine organizzativo, sia in merito alle competenze necessarie in azienda, stimolando l’affermarsi di due ruoli aziendali orientati, l’uno, il Chief Data Officer, al governo dei dati e delle relative strategie di presidio, l’altro, il Data Scientist, ai contenuti professionali.
Quali sfide pone alle imprese l’Algorithm Economy?
Come abbiamo visto si stanno ridefinendo i business model, e sempre più i sistemi economici sono basati sulle interconnessioni, caratterizzate da una pervasività precedentemente irrealizzabile.
È ovviamente la tecnologia che più permette una sempre maggiore capacità di interconnessione, con il risultato di comprimere tempo e distanza fino a far cambiare loro di significato e valenza. Specifiche attività di business possono essere eseguite in pochi secondi.
Se pensiamo a quanti di questi business moment ci si presentano ancor prima di arrivare sul luogo di lavoro, ci rendiamo conto di come non sia più pensabile che le relative attività commerciali vengano svolte da persone.
E un business moment, guidato da uno specifico set di requisiti, spesso si “materializza” senza alcun preavviso. La capacità di individuare, influenzare e attivare un business moment di tale fatta rappresenta la chiave per il successo nel mondo dei dati e delle interconnessioni. Mettere a frutto questi modelli economici emergenti significa disporre di una flessibilità tale da poter cogliere l’opportunità nel momento stesso in cui questa si presenti, adattandosi e prevenendo (prevedendo) situazioni in costante evoluzione.
Ritiene che lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale finirà con l’esautorare gli esseri umani dalla gestione e analisi dei dati?
È un tema molto dibattuto, soprattutto in relazione ad attività ripetitive, ed in ultima analisi di non elevato valore aggiunto, che sono comunque alla base dell’analisi dei dati.
Io sono convinto che questo tipo di attività diventerà una naturale applicazione di quei sistemi detti di RPA (Robot Process Automation), di fatto sgravando i Data Scientist da questi aspetti ripetitivi e liberando energie per le attività a maggiore valore aggiunto.
L’ulteriore inserimento di strati applicativi di Cognitive Computing, già in fase di sperimentazione avanzata, potrà elevare il valore generato dai sistemi RPA, ma in questo caso verranno allora premiati altri aspetti dell’essere umano, come ad esempio l’intelligenza emotiva, che per loro stessa natura non potranno essere sostituiti da sistemi, per quanto “intelligenti” questi siano.
Almeno non nel breve…