
Quale valore metaforico ha assunto il termine?
Ne ha avuti vari, soprattutto nei centri dove la pizza è nata o si è diffusa più precocemente, cioè Napoli e Roma, e da qui passati poi all’italiano. Il primo significato, documentato a Napoli già nel Quattrocento in uno dei più antichi esempi in volgare del termine, è quello di ‘oggetto schiacciato’ (in seguito a una forte pressione). Molto più recenti sono i valori, documentati anzitutto nel romanesco, di ‘persona o cosa noiosa’ (da cui il derivato pizzoso), di ‘schiaffo, ceffone’ e di ‘scatola piatta contenente una pellicola cinematografica’ (e quindi la pellicola stessa). Quest’ultimo significato non ha bisogno di spiegazioni; negli altri, curiosamente negativi a dispetto del gradimento del piatto, si spiegheranno da un lato con la difficile digeribilità di una pizza non ben lievitata, dall’altro con un meccanismo di antifrasi ben vivo nelle parlate dialettali e popolari.
La parola pizza si è ormai diffusa a livello mondiale.
Sì, il successo della cosiddetta pizza napoletana, gustosa, relativamente economica e facile da preparare (in realtà, molto meno di quanto sembri) ha trainato anche la parola, che è diventata in pochi decenni una delle voci italiane più diffuse in tutto il mondo. Eppure, ancora nella prima metà del Novecento, la parola e la cosa erano sconosciute o quasi in molte zone d’Italia, specie settentrionale, e pare che il successo generale della pizza napoletana nel nostro paese sia dovuto al gradimento che il piatto aveva avuto presso gli americani. Alla fortuna internazionale della pizza hanno certo contribuito i nostri emigrati, sparsi un po’ in tutto il mondo, e soprattutto nelle due Americhe. Così, il termine pizza è entrato in catene di pizzerie e ristoranti di ogni parte del mondo, diventando anche un marchionimo (o parte di marchionimi), garanzia della “italianità” (non sempre peraltro effettiva) della cucina.
Qual è la storia della pizza?
Questa domanda sembra relativa alla cosa, più che alla parola, che nel tempo ha subito la concorrenza di voci come focaccia, schiacciata, torta, con cui tuttora convive, non sempre differenziandosene nettamente, ma sulla base di usi regionali diversificati. Come ho detto, se partiamo dalla pita/pitta mediterranea, le origini della cosa sono antichissime. Circoscrivendo il discorso, si può dire che le attestazioni più antiche di pizza, risalenti, come ho detto, a prima dell’anno Mille, designavano focacce, a volte farcite, a volte dolci, e persino formaggi tondeggianti. Tuttora, del resto, si parla della pizza rustica, della pizza (dolce) di Pasqua, ecc. La svolta si ebbe all’inizio dell’Ottocento, quando i pizzaiuoli napoletani “inventarono” la nuova specialità, un piatto della cucina povera, una specie di focaccia tonda condita semplicemente con pomodoro, aglio e origano, oppure con la mozzarella o con le alici. Questa pizza era così particolare, e così tipica di Napoli, da attirare l’attenzione anche dei forestieri: le prime testimonianze al riguardo sono infatti di viaggiatori francesi. Il successo crebbe con la pizza margherita, condita con pomodoro e basilico, che la tradizione vuole che sia nata nel 1889 e che sia stata così denominata in onore della prima regina d’Italia. Vera o falsa che sia la tradizione, di certo alla fine dell’Ottocento la pizza napoletana e la pizza margherita cominciarono a diffondersi prima a Roma (dove la parola esisteva da secoli, ma per indicare altre cose) e poi in tutta Italia. Ma la fortuna, nazionale e quindi internazionale, della pizza è relativamente recente. Ormai, comunque, la pizza ha affiancato la più antica pasta (pensiamo agli storici maccheroni) come simbolo del nostro Paese. A documentare il suo attuale successo c’è anche (e si tratta di un’integrazione che apporto ora a quanto ho scritto) la sua presenza, accanto appunto agli spaghetti, tra gli emoji che rappresentano cibi. E l’immagine mi pare molto simile alla fetta di pizza in stile pop che figura nella copertina del mio libro…