
di Patrizia Cavalli
Einaudi
Quella di Patrizia Cavalli, è «una poesia apparentemente priva di pretese, circoscritta a una piccola soggettività, a un io di donna che ama altre donne e vive pigramente la propria quotidianità, secondo il volgere meteoropatico degli stati fisici e mentali.»
Cosí schiava. Che roba!
Cosí barbaramente schiava. E dai!
Cosí ridicolmente schiava. Ma insomma!
Che cosa sono io?
Meccanica, legata, ubbidiente,
in schiavitú biologica e credente. Basta,
scivolo nel sonno, qui comincia
il mio libero arbitrio, qui tocca a me
decidere che cosa mi accadrà,
come sarò, quali parole dire
nel sogno che mi assegno.
Ostinarsi a far parlare il nulla
a cercare parole che non hanno voglia
frequentare il deserto senza voce
senza respiro, macchie di ruggine
– magari! – senza arnesi perduti
nella sabbia – magari! – un deserto
senza sabbia senza caldo senza freddo
senza scoppi di luce al buio – magari
magari! – mangiare un pezzo di pizza
– magari! – Masticare. Faccio finta. Che meraviglia
essere in vita, ci si può persino lamentare.