
Nel Suo libro Ella traccia la storia di numerose figure femminili: perché sono rappresentative?
Per vari motivi. Ildegarda di Bingen e Christine de Pizan, ad esempio, sono in diversi contesti spazio-temporali l’evidente testimonianza di un’eccellenza culturale: la prima è badessa benedettina nell’area renana vicina a Magonza; la seconda si forma alla corte del re francese nel secondo Trecento. Una monaca e una laica. Queste due donne vissero a stretto contatto con uomini eruditi e seppero imporre con autorevolezza la propria identità femminile in un contesto a tratti favorevole e, viceversa, talvolta ostile. Eloisa e Raingarda mi hanno invece ispirato per le loro storie d’amore: più celebre la prima, meno nota la seconda. In Chiara d’Assisi e in Brigida di Svezia ho messo in risalto tratti femminili che una certa impostazione devozionale (peraltro legittima) potrebbe però far sbiadire sul piano storico. Eleonora d’Aquitania mi affascina per la sua intraprendenza politica e per la tenacia che la porta, oramai ottantenne, a cavalcare oltre i Pirenei per visitare la figlia e i nipoti alla corte di Castiglia: su di lei grava una ‘leggenda nera’ che trovo ingiustificata. Infine Giovanna d’Arco rappresenta, da un lato, tutte le donne oltraggiate, offese, perseguitate, e, dall’altro, un enigma storico che nessuno saprà mai spiegare fino in fondo (come ammette nella Prefazione, pure Franco Cardini, il quale ha scritto su di lei il più bel libro che io conosca).
Sempre nel Suo libro, accanto a donne celebri traccia anche il ritratto di donne «comuni»: chi sono e perché le ha scelte?
Sono donne che provengono da una medesima aerea di provincia e che vissero quasi tutte nel XIV secolo. Il loro campione mi sembra rappresentativo di altre zone d’Italia e d’Europa. A ciascuna ho collegato un tema più ampio che mi consentisse di inquadrare tali figure in contesti più generali. E così attorno a Flora, usuraia pentita, ruotano altre donne intraprendenti nel commercio, nel settore tessile e nelle attività creditizie. Agnesina, fidanzata a un giovane squattrinato come lei, c’introduce nel mondo dei poveri, dei “senza-nome”, rispetto ai quali oggi gli storici possono invece ricostruire tratti d’identità (è un’azione, questa, di giustizia storiografica). Ottebona, ancora innamorata di suo marito nonostante l’avanzare degli anni e un bando d’esilio che grava sul coniuge, ci parla di amore coniugale con decisioni nette e con parole ardenti, da lei dettate al notaio che roga il suo testamento. Grazia è una badessa colta e risoluta, che sa amministrare con forza il suo monastero e che anima una riforma in sintonia con sensibilità laicali, esterne al chiostro. Gigliola è una nobildonna, malmaritata, che veste con raffinata eleganza e ci consente di aprire uno scorcio sulla moda del tempo. La divertente e simpatica Bettina è una guaritrice visionaria che propone rimedi per la sterilità o per altri malanni, con erbe simili a quelle suggerite dall’illustre Ildegarda, ma prescritte in un modo maldestro che sconfina verso la magia. Margherita è, infine, una giovane donna che assiste a lungo il marito infermo e si conquista la fiducia e la gratitudine della suocera (un vero miracolo!).
A quali fonti ha attinto per il Suo libro?
Come ho già accennato, per la parte relativa alle donne “comuni”, mi sono avvalsa di fonti che studio oramai da un trentennio in vari archivi: testamenti, contratti di compra-vendita, testimoniali, liste di nomi, registri notarili, elenchi di poveri. Mi piace qui ricordare, ad esempio, la lista di 1730 donne che entrarono fra il 1265 e il 1339 nella confraternita della Misericordia Maggiore di Bergamo, detta mia. In essa si trovano nomi di nobili dame, ma compaiono anche donne dei ceti medi e perfino operaie, domestiche o povere eremite di campagna. Ho cercato di trattare queste fonti con “leggerezza” (nel senso calviniano del termine) per non far sentire al lettore la fatica che sottende lo scavo d’archivio e la prevalente connotazione giuridico-economica di tali documenti.
Per le donne celebri il compito è stato più arduo perché mi sono confrontata con una vastissima bibliografia, dentro la quale ho navigato con l’aiuto di fonti già conosciute ma che ho riletto con rinnovata sensibilità, forse resa più accorta da mie esperienze trascorse. Faccio un esempio: Raingarda di Montboissier, da me studiata per la prima volta quando avevo ventiquattro anni, si è ripresentata in modo più intenso perché io stessa – diventata madre – potevo meglio comprendere alcune pieghe del suo vissuto, come il suo amore per il figlio Pietro, l’abate che accolse il filosofo Abelardo a Cluny e che consolò Eloisa con parole ardenti e sagge.
Quale figura l’ha colpita di più e perché?
È davvero difficile sceglierne una. Come ho scritto nell’Introduzione, per tutte io provo quella sana simpatia che non nuoce alla conoscenza storica, ma la rinforza (H.I. Marrou). Devo però ammettere che nutro un particolare interesse per Ildegarda di Bingen, che rimane per molti tratti un mistero da approfondire e per Christine de Pizan, da me conosciuta più di recente grazie, soprattutto, alle riflessioni di Maria Giuseppina Muzzarelli e alle edizioni di opere promosse da altre studiose dell’Università di Bologna. Leggere La città delle Dame, edita a cura di Patrizia Caraffi, è stato un vero godimento. A proposito di piaceri nella lettura consiglio a tutti un romanzo straordinario ma poco noto in Italia, nonostante una bella edizione della Rizzoli: Kristin, figlia di Lavrans, trilogia scritta da Sigrid Undset e resa in versione cinematografica dalla grande Liv Ulmann. Questo libro è stato per me una chiave d’accesso al medioevo scandinavo (in cui è nata e vissuta fino al 1350 Brigida di Svezia), che conoscevo in modo decisamente sommario.
Quanto alle donne comuni, le mie preferite sono due: la già citata Flora che, per riparare alle usure, lascia quasi tutto ai poveri, raccomandando di preparare per loro una minestra di ceci, cotti in una pentola di pietra ollare e la romea Belfiore, che ha il coraggio di attraversare da nord a sud una penisola martoriata dalla peste e che, prima di partire, offre un’opera d’arte alla sua città: un bel crocifisso ligneo tuttora conservato. Flora e Belfiore: due nomi che evocano la Bellezza.
Cosa, se esiste, della condizione femminile medievale può rappresentare un ideale per le donne di oggi?
Il desiderio di ricostruire sulle rovine e la volontà di cercare la pace. Nella citata lista della Misericordia sono iscritte donne che appartengono a famiglie nemiche sul piano politico: mentre gli uomini si fanno la guerra, alcune donne cercano la riconciliazione. Non solo fuori casa, ma pure all’interno degli ambienti domestici, il ruolo delle donne è stato spesso quello di sanare discordie e di curare ferite (come fece Margherita con il marito malato).
Anche fra le donne illustri, emerge questa tendenza costante: Ildegarda ammonisce l’imperatore Federico I di Svevia e lo qualifica come “pazzo” perché ha nominato un antipapa, rinfocolando gli scontri; Chiara d’Assisi allontana alcuni soldati dal monastero con una processione silenziosa, rivolgendo l’ostensorio con il Santissimo verso gli intrusi; Brigida di Svezia cerca di ricomporre le liti a Napoli, a Cipro, e supplica i re di Francia e d’Inghilterra affinché interrompano la guerra; Christine de Pizan ammonisce più volte i sovrani francesi, chiedendo loro di pacificare il regno ed esulta quando viene a sapere che una pulzella sta forse mettendo fine alla guerra. La dotta scrittrice morirà prima di quel terribile maggio del 1431, quando il suo sogno s’infrangerà a Rouen. Ma la forza delle donne più sagge è proprio quella di non arrendersi e di coltivare la speranza. Mi sembra superfluo dilungarmi su come tutto ciò sia oggi decisamente attuale.