I promessi sposi, Capitolo 22: trama riassunto
La processione festosa di paesani che l’Innominato sta osservando dalla finestra del suo castello è dovuta alla visita del cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, arrivato in visita pastorale. Stupito che così tante persone accorrano per vedere un solo uomo, l’Innominato decide di andare anche lui ad incontrare il cardinale, sperando che tale visita possa liberarlo dall’inquietudine che la vicenda di Lucia gli ha messo nell’animo. Si veste, indossando anche un certo numero di pistole e pugnali e, prima di avviarsi passa dalla camera dove è tenuta Lucia. La ragazza dorme ancora e l’Innominato, dopo aver rimproverato la vecchia perché ha lasciato dormire la ragazza sul pavimento, le comanda di dire a Lucia, al suo risveglio, che lui ritornerà presto intenzionato a fare tutto ciò che lei desidererà.
Scendendo dall’erta del castello, il padrone desta la meraviglia di chiunque incontri: dei bravi, che pensano chieda loro di unirsi a lui per qualche spedizione e scoprono che invece non ne ha la minima intenzione, e degli abitanti del paese che lo accolgono con inchini stupendosi che sia uscito da solo senza scorta. Entrato nella casa del prete da cui si trova in visita Federigo Borromeo, l’Innominato chiede di incontrarlo, lasciando tutti ancora più stupefatti.
A questo punto della vicenda, il Manzoni apre una lunga digressione per inquadrare storicamente la figura del cardinale Federigo Borromeo, personaggio, a suo dire, “il nome e la memoria del quale, affacciandosi, in qualunque tempo alla mente, la ricreano con una placida commozione di riverenza, e con un senso giocondo di simpatia”.
Nato nel 1564, Federigo Borromeo e per tutta la vita non ha fatto altro che usare la sua intelligenza, il suo ruolo e le sue ricchezze per fare del bene, come “un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume.”
Figlio di una famiglia aristocratica, ha però sin da bambino fatto suoi i precetti di umiltà e di abnegazione della religione cristiana, tanto che ben presto manifesta la vocazione di diventare prete. Entra così nel collegio fondato a Pavia dal cugino, Carlo Borromeo, dove si occupa di insegnamento e dove assiste poveri e malati. Rifugge i privilegi che il suo casato potrebbe consentirgli, e adotta uno stile di vita il più possibile frugale, tanto nell’abbigliamento quanto nell’alimentazione. In questo comportamento umile trova supporto e modello in Carlo Borromeo, uomo sommamente rispettato da tutti per la sua santità.
Alla morte del cugino, Federigo, che allora ha vent’anni, continua a seguirne le orme dimostrando inoltre notevole ingegno tanto che nel 1595 papa Clemente VIII gli propone l’arcivescovado di Milano.
Federigo accetta e fin da subito evita di approfittarsi dell’alta carica ecclesiastica che ricopre. È infatti convinto che beni e ricchezze, che a tale carica sono collegate, non appartengano a lui, ma ai poveri che ha in cura. Inoltre, essendo lui estremamente ricco, decide di attingere ai propri beni personali per far fronte al suo mantenimento e a quello dei suoi servi. Continua a vivere in modo modesto e condivide la sua mensa con i poveri.
Federigo Borromeo è inoltre ricordato per aver progettato e fondato la Biblioteca Ambrosiana, in cui raccoglie circa trentamila volumi stampati e quattordicimila manoscritti fatti reperire in tutta Europa e persino a Gerusalemme. Affianca la biblioteca un gruppo di studiosi che si dedicano alla teologia, alla storia e alla letteratura e che si impegnano a pubblicare periodicamente il frutto dei loro studi. peculiarità di tale biblioteca è che “in questa libreria, eretta da un privato, quasi tutta a sue spese, i libri fossero esposti alla vista del pubblico, dati a chiunque li chiedesse, e datogli anche da sedere, e carta, penne e calamaio, per prender gli appunti che gli potessero bisognare”.
Sottolinea il Manzoni che la Biblioteca Ambrosiana è certo opera meritoria, “generoso, che giudizioso, che benevolo, che perseverante amatore del miglioramento umano, dovesse essere colui che volle una tal cosa, la volle in quella maniera, e l’eseguì, in mezzo a quell’ignorantaggine, a quell’inerzia, a quell’antipatia generale per ogni applicazione studiosa”. E tuttavia non è certo con quest’opera soltanto che si misura la sanità di un uomo come Federigo Borromeo, ma anche evidenziando con quale solerzia si sia sempre prodigato nella carità e nell’elemosina, anche proprio in occasione della carestia di quegli anni.
Federigo è un uomo giusto, che si mostra sempre attento ai bisogni degli altri. Come quando ha impedito che una fanciulla fosse costretta a farsi monaca contro il suo volere, donandole i soldi per la dote che la famiglia non sembrava in grado di procurarle. Oppure quando, incurante delle rimostranze di un membro del suo seguito, si ferma ad accarezzare dei bambini sporchi e dall’aspetto malaticcio. Il cardinale è infatti convinto “di dovere specialmente a quelli che si chiamano di bassa condizione, un viso gioviale, una cortesia affettuosa; tanto più, quanto ne trovan meno nel mondo”. Le uniche situazioni in cui si mostra brusco è quando deve redarguire dei prelati che non si comportano in modo cristiano.
Certo, aggiunge il Manzoni, essendo figlio del suo tempo anche Federigo Borromeo ha sostenuto idee errate, ma per contro ha avuto molti meriti, che sarebbe troppo lungo e prolisso descrivere per esteso.
Silvia Maina