
Nel centenario della nascita dello scrittore, quale giudizio storico-critico si può dare della sua opera?
Pasolini conduce rigorosi studi critici e filologici, quasi da specialista; teorizza e pratica una nuova e liberissima sperimentazione poetica (la terzina irregolare o il magma); compie altrettanto libere riletture, originali quanto voraci, tra reinterpretazione, consonanza e stravolgimento (Rimbaud e Pascoli, il Vangelo e Dante, Calderón e Sade), e traduzioni dall’Eneide; mantiene una discussione e polemica costante con le forze politiche; tiene rubriche di critica letteraria nelle più varie sedi; presenta, interviene, dibatte sia nella provincia italiana sia nelle grandi città europee, confrontandosi con i problemi nazionali e transnazionali del suo tempo; trascorre dalla penna alla macchina da scrivere alla macchina da presa, con lo scrupolo dell’artigiano e l’imprevedibilità dell’artista, capace di girare film diversissimi, dal Vangelo a Salò. Pasolini inoltre scrive sui più svariati argomenti, giornalista sportivo, autore di canzoni e di fumetti….
Tutto questo con un conseguente e ritornante successo (più o meno esteso) di critica, di pubblico, di immagine e di traduzioni, e accrescimento del personaggio. Va ancora ricordato l’ amore per la pittura, meno noto forse ma di indubbio rilievo, per il talento dei suoi ritratti e autoritratti e per le influenze che si possono cogliere nei suoi film, dal Masaccio di Accattone al Piero della Francesca del Vangelo al Pontormo e Rosso Fiorentino della Ricotta.
Quale lettura offre il Suo studio dei comportamenti e delle strategie di Pasolini?
C’è un ricorrente, perfetto, perverso sincronismo tra la produzione intellettuale di Pasolini o il suo comportamento pubblico (o entrambi), e le varie situazioni ambientali, culturali, sociali, politiche, più o meno interagenti, che fanno esplodere volta a volta la persecuzione, lo scandalo e anche il successo di mass media e mercato. Con coincidenze oggettive, involontarie, da lui subìte, o prevedibili, accettate, o addirittura determinate, cercate, con provocazioni e sfide.
In particolare, il Pasolini corsaro e grande campione di un giornalismo militante antagonistico verso ogni ordine costituito, realizza pienamente il suo nuovo e originale ruolo pubblico, la sua immagine di grande personaggio e la sua strategia di oppositore solitario fuori e contro le istituzioni, di disperato e strenuo combattente, di attivo e coinvolgente testimone, accusatore e giudice, di pedagogo anomalo e trasgressivo, attraverso sorprendenti analisi, provocatorie requisitorie, iterazioni argomentative, e attraverso una scrittura polemico-problematica di nuova efficacia e funzionalità. E realizza altresì una sua specifica e personale politicità. È insomma una diversità armata con i suoi motivi più segreti e più pubblici, quella che Pasolini avventa contro i suoi bersagli.
Anche l’affermazione individuale, il successo, lo scandalo perdono quasi del tutto le loro implicazioni negative, diventando armi delle sue sfide, attacchi, provocazioni.
Negli scritti corsari si ritrova pienamente la lucida rabbia che ha segnato tante fasi della sua esperienza. Non tanto La rabbia che negli anni sessanta intitola un improbabile e sfortunato film in coppia con Giovanni Guareschi, o un poemetto omonimo della Religione del mio tempo segnato dal sofferto rapporto-conflitto tra esistenza privata e pubblica, ma la rabbia esercitata con forza contro bersagli o persecuzioni.
Pasolini in sostanza porta e accentua nell’esperienza corsara i principali filoni del suo discorso, caratterizzati dalla sua polivalente diversità: la regressione verso un mondo preindustriale o addirittura arcaico, nell’Italia del capitalismo maturo; la “nostalgia” per un mito originario dell’innocenza, contro una modernità che la nega; la difesa e valorizzazione del “sentimento del sacro”, in anni di vivaci contestazioni politiche; la preminenza della “passione” estetico-viscerale nell’Europa dei razionalismi e delle ideologie; una continua e non metaforica uscita dalle istituzioni, dalle corporazioni, dai ceti separati (a cui pur appartiene), e una quotidiana e ancor meno metaforica immersione nella realtà più marginale e degradata.
Ma con più forte determinazione che nel passato, Pasolini moltiplica e accentua le sue sfide e rovescia il suo atteggiamento regressivo, antimoderno, antilaico, antirazionale, e la sua stessa autoemarginazione, in una straordinaria capacità di disvelamento, critica, premonizione, accusa, e in una lettura per così dire anomala, strabica, quasi deviata, e tanto più acuta e profonda, antischematica, antideologica, rivelatrice e anticipatrice, dei processi di trasformazione, conflitti, guasti, involuzioni, storture della società, e delle corruzioni, degenerazioni, distruzioni delle coscienze. E questa lucidità e consapevolezza viene anche dalla forza dell’eccesso, da una visione tutta negativa e pessimistica dell’Italia come “luogo orribile” in ogni suo aspetto, e del mondo industriale neocapitalistico come “inferno” planetario.
Il libro è intessuto di curiosità significative e ricordi personali: quali tra essi ritiene di maggior utilità per la comprensione profonda di Pasolini?
C’è un episodio curioso e insieme significativo da raccontare. Nell’altalenante posizione politica di Pasolini da un decennio all’altro, c’è anche una fase socialista, che risale agli inizi degli anni sessanta: un rapporto poetico-epistolare e diretto, di simpatia e stima personale e di sintonia politica per Pietro Nenni e le prospettive del centro sinistra (anche con la lettera in versi Nenni del 1960).
Ma ecco che alla vigilia di questa fase, il 5 dicembre 1960, una poesia firmata da Pasolini arriva alla redazione dell’”Unità” di Roma, che la gira all’”Unità” di Milano e precisamente a me stesso responsabile della pagina culturale. La poesia accompagnata da un biglietto, che esce il 6 con grande evidenza nelle due edizioni in terza pagina, depreca con forza la progressiva convergenza e alleanza tra Psi e Dc, e suscita una vasta e vivace discussione, dall’”Avanti!” alla “Stampa” ad altri giornali. Ma si tratta di un falso, e Pasolini smentisce inviando all’ “Unità” un epigramma (che esce due giorni dopo in entrambe le edizioni) intitolato all’”ignoto” autore dello scherzo, giudicato da lui “una caricatura, purtroppo intelligente” del suo stile. Ricordo il nostro e mio sconcerto (Pasolini mi telefonò prendendomi un po’ in giro) e ricordo che i sospetti sull’ “ignoto” si concentrarono su Carlo Muscetta. Dopo la morte di Pasolini si registreranno pubblicazioni di altri falsi.
Qual è l’eredita di Pier Paolo Pasolini?
Pasolini resta uno dei più importanti e geniali autori del secondo Novecento, soprattutto come poeta e critico letterario, regista cinematografico e giornalista corsaro, oltre che come autore di teatro e di narrativa. Ma come ho detto già, resta un personaggio di ineguagliabile complessità e ricchezza, con un carisma multiforme.
Pasolini in sostanza con la sua produzione e il suo atteggiamento, proprio muovendosi spregiudicatamente all’interno del contraddittorio e diabolico sincronismo persecuzione-sfida-scandalo-successo, e opere-dibattito-affermazione-solidarietà (spesso intrecciati tra loro); proprio sviluppando progressivamente l’ immagine pubblica, la forza problematica e l’attiva presenza del suo personaggio, nel quadro della logica perversa dei mass media e del mercato; proprio facendo un uso “cinico” (secondo la sua definizione) delle strutture produttive e comunicative della stessa società da lui contestata; proprio con la sua esasperata contraddittorietà e con le sue trasgressioni, provocazioni, eccessi, posizioni regressive nelle opere e nella vita; ha saputo volta a volta superare gli aspetti più contingenti, caduchi, equivoci delle sue esperienze, realizzando un modello intellettuale di creatività artistica, comportamento pubblico e battaglia ideale che nessun altro scrittore del secondo Novecento ha saputo realizzare con altrettanta completezza e determinazione. In particolare poi il Pasolini corsaro ha lasciato la straordinaria lezione di una specifica e originale politicità intellettuale: quella di un oppositore solitario e irregolare fuori e contro le istituzioni, attraverso illuminanti analisi e requisitorie, e attraverso una scrittura polemico-problematica di nuova efficacia e funzionalità. Un ruolo che neppure Sciascia e Calvino hanno saputo eguagliare, succedendogli in certo senso al “Corriere della Sera”. E in generale un’esperienza che non ha avuto eredi. Anzi, un’esperienza che non poteva averne.
A tanti anni di distanza da lui, si deve riscontrare la durevole validità di certe analisi delle trasformazioni della società italiana, a cominciare dalla critica allo “Sviluppo senza progresso” e dalla questione giovanile.
Gian Carlo Ferretti, dopo anni di giornalismo e di editoria, ha insegnato all’Università di Roma Tre e all’Università di Parma. Collaboratore di quotidiani, periodici e radiotelevisione, ha pubblicato studi sulla letteratura e sull’editoria libraria del Novecento italiano. A Pasolini ha dedicato una costante attenzione critica.