I promessi sposi, Capitolo 9: trama riassunto
Agnese, Renzo e Lucia raggiungono l’altra sponda dell’Adda, scendono dalla barca e all’alba, in calesse, giungono a Monza. Qui il gruppo si divide: Renzo parte alla volta di Milano mentre le donne sono condotte al convento dei padri cappuccini, poco fuori città. Il guardiano, dopo aver letto la lettera di Fra Cristoforo che le donne portano con loro, riferisce loro che l’unica in grado di aiutarle è una certa “Signora”.
Così è chiamata una monaca, molto rispettata perché figlia di un nobile molto potente a Milano e a Monza, che risiede appunto in quel convento e che è la sola in grado di garantire adeguata protezione a Lucia, sempre che lei si mostri umile e rispettosa nei suoi confronti e risponda a ogni domanda questa vorrà porle.
Una volta entrate in parlatorio, la “Signora” si palesa attraverso una finestrella protetta da una grata che si apre sulla parete della stanza. “Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta”. Pallida, con la testa coperta da un velo nero, la donna ha occhi scuri che si aprono sotto due sopraccigli ugualmente neri: occhi che si mostrano a volte superbi, altre chini quasi a chiedere affetto, altre ancora irosi. Anche l’abbigliamento, benché monacale, tradisce una personalità forte e particolare: “la vita era attillata con una certa cura secolaresca, e dalla benda usciva sur una tempia una ciocchettina di neri capelli; cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre corti”.
Le due donne si fanno avanti inchinandosi e, quando Gertrude (questo è il nome della monaca) si mostra curiosa di conoscere tutti i dettagli della vicenda, Lucia è turbata e imbarazzata e inizia a balbettare. Agnese viene in suo aiuto e illustra i fatti alla monaca: Lucia era promessa sposa a un giovane perbene, è stata perseguitata da un signorotto prepotente e odioso e il matrimonio è stato ostacolato da un curato pusillanime. Ma Gertrude vuole che sia Lucia a raccontarle i fatti e dunque la ragazza, fattosi coraggio, conferma quando detto dalla madre, aggiungendo che preferirebbe morire che cadere nelle mani di Don Rodrigo e implorando la monaca di concedere loro la sua protezione.
Gertrude si proclama pronta ad aiutarla, decide di ospitare le donne nell’alloggio lasciato libero dalla figlia della fattoressa. Congedati Agnese e il guardiano, si apparta con Lucia e i suoi discorsi “divennero a poco a poco così strani, che, in vece di riferirli, noi crediam più opportuno di raccontar brevemente la storia antecedente di questa infelice; quel tanto cioè che basti a render ragione dell’insolito e del misterioso che abbiam veduto in lei, e a far comprendere i motivi della sua condotta, in quello che avvenne dopo”.
Gertrude è la figlia minore di un ricco e potente principe di Milano, il quale ha deciso che tutti i figli, tranne il primogenito, sono destinati al clero, in modo tale da non intaccare il patrimonio di famiglia. La bambina è quindi predestinata a diventare monaca; i suoi primi giocattoli sono bambole vestite da monaca e il complimento migliore che riceve è “che madre badessa!”. All’età di sei anni la bambina entra come educanda nel monastero di Monza; qui, per rispetto del principe suo padre, viene trattata con ogni riguardo. Tuttavia, a mano a mano che cresce, Gertrude comprende che il destino di diventare badessa a lei riservato non è così appetibile come la famiglia l’ha indotta a credere. Anzi, la maggior parte delle altre educande sogna di uscire finalmente dal monastero e condurre una vita felice, con una famiglia, nel mondo esterno. La ragazza inizia dunque a desiderare anche per sé una vita normale, con un marito, ma sa che questa scelta la metterà in contrasto con il volere del padre. Ciò la porta a un periodo di struggimento e nervosismo, in cui la ragazza oscilla tra il desiderio di ribellarsi al padre e quello di compiacerlo. Pur avendo sottoscritto la supplica da inviare al vicario per essere ammessa al noviziato, Gertrude spera ancora di poter convincere il padre a evitarle di entrare in convento, e spera di potergliene parlare nel periodo che trascorrerà a casa prima che la sua ammissione al noviziato diventi definitiva.
Il ritorno a casa è condito dal timore di doversi confrontare con il padre e insieme dalla gioia di uscire finalmente dal monastero: “Quantunque Gertrude sapesse che andava a un combattimento, pure l’uscir di monastero, il lasciar quelle mura nelle quali era stata ott’anni rinchiusa, lo scorrere in carrozza per l’aperta campagna, il riveder la città, la casa, furon sensazioni piene d’una gioia tumultuosa.”
Tuttavia una volta tornata a casa la situazione è ancora più difficile di come l’ha immaginata. La ragazza si era preparata a scontrarsi con il padre, a rispondere ai suoi rimproveri con fermezza o con le lacrime, ma l’incontro temuto e sperato non avviene. Gertrude viene trattata con estrema freddezza non solo dal padre ma da tutti i famigliari, come se avesse commesso una grave mancanza. Non le è concesso di uscire di casa, non è ammessa nelle sale quando sono presenti visitatori, trascorre la maggior parte del tempo relegata con la servitù all’ultimo piano della grande dimora e nessuno le mostra alcun tipo di affetto. “Aveva sperato che, nella splendida e frequentata casa paterna, avrebbe potuto godere almeno qualche saggio reale delle cose immaginate; ma si trovò del tutto ingannata”.
L’unico che sembra mostrarle un po’ di compassione è un giovane paggio, di cui la ragazza finisce per innamorarsi, ma quando si decide a scrivergli un innocente bigliettino viene sorpresa da una serva che consegna il biglietto al padre.
Quest’ultimo, adirato, la punisce recludendola in camera e minacciandola di un ulteriore peggiore castigo. La minaccia della punizione è quasi peggiore della punizione stessa e in aggiunta la cameriera “carceriera” che la tiene reclusa in stanza non fa altro che sottoporla ad ulteriori intimidazioni e dispetti.
La ragazza, piena di rabbia e incapace di sopportare oltre quella situazione, inizia quindi a pensare che ritornare di propria volontà in monastero possa rappresentare una via di salvezza e si decide a scrivere una lettera al padre per implorarne il perdono dicendosi disposta a fare qualsiasi cosa lui voglia ordinarle pur di ottenerlo.
Silvia Maina