“Zygmunt Bauman” di Riccardo Mazzeo

Dott. Riccardo Mazzeo, Lei è autore del libro Zygmunt Bauman, edito da Feltrinelli: quale importanza riveste, per la sociologia del nostro tempo, lo studioso polacco?
Zygmunt Bauman, Riccardo MazzeoInnanzitutto devo precisare che non si tratta di una biografia. Uscirà nella collana “Eredi”, diretta da Massimo Recalcati che conosco e apprezzo da quasi vent’anni, e così come lui si sente depositario dell’eredità di Jacques Lacan, così ha ritenuto che io potessi essere un degno erede di Bauman. Nel libro quindi non si racconta tanto la sua storia, peraltro nota ai più, bensì la trasmissione di un’eredità che, per essere generativa, dev’essere un fuoco che arde e incendia nuovi territori del pensiero. In questo senso il mio libro Esistenze rammendate (Mimesis, 2019) rappresenta un pensiero nutrito dell’immenso apporto del mio Maestro ma anche un contributo originale.

Quali vicende hanno segnato la vita del sociologo polacco?
La parola chiave per descrivere la sua vita è “esilio”. Un esilio fertile, come quelli di Derrida e Goytisolo. Il confronto con un ventaglio di mondi e la capacità di leggerli e convivervi in modo creativo. Bauman era “esiliato” a scuola, in Polonia, perché ebreo; i compagni lo picchiavano e lo insultavano, non poteva neanche andare in cortile a fare la ricreazione. Poi, dopo aver combattuto con l’armata polacca di stanza in Russia durante la seconda guerra mondiale, ed essere stato decorato e promosso capitano a poco più di vent’anni, tornato in Polonia a insegnare all’università di Varsavia, a un certo punto è stato cacciato di nuovo, con un foglio di via e la famiglia al seguito. Aveva sostenuto le ragioni degli studenti, e la nuova ventata antisemita lo aveva investito di nuovo in pieno viso. Fu costretto ad andare in Israele, dove in sei mesi imparò l’ebraico e cominciò a insegnare all’università di Haifa, ma il suo spirito libero e dialettico mal sopportava un certo fondamentalismo che prevaleva laggiù. Qualche anno dopo fu dunque felice di accettare l’incarico di dirigere la facoltà di sociologia dell’università di Leeds, dove rimase poi fino alla fine dei suoi giorni, sentendosi sempre, in ogni caso, uno straniero.

Lei è stato amico, oltre che stretto collaboratore, di Bauman: quale immagine intima emerge dalla Sua esperienza?
Quella di un Maestro di vita oltreché della sua disciplina. A differenza della quasi totalità di artisti e pensatori che scrivono cose magnifiche e si comportano in modo pessimo, nella sua vita c’era piena corrispondenza tra parola e azione. Alcune debolezze che mi sono risparmiato, io un po’ gaudente e un po’ spensierato nonostante un’etica che ritengo mi abiti, sono state eluse grazie al suo esempio. Il che non mi ha impedito di peccare, in altre circostanze, di narcisismo, egocentrismo, leggerezza perché io, appunto, non sono Bauman. Ma molti errori che avrei potuto compiere, la sua illuminante vicinanza me li ha risparmiati.

In che modo Bauman ha rivoluzionato la sociologia contemporanea?
Con un rovesciamento a 180 gradi della “avalutatività” del più grande sociologo del Novecento prima di lui, Max Weber, secondo cui la sociologia avrebbe dovuto limitarsi a sondare e descrivere i fenomeni della realtà sociale senza giudicarli. Per Bauman invece, quel che più conta è porre l’accento su quel che della società non funziona o non è equo e cambiarlo. Per questo propende per il “discolon” (gli aspetti negativi) piuttosto per l’”eucolon” (“Va tutto bene, è una bella giornata”). Il fatto è che i padri fondatori della democrazia americana si servivano ancora degli schiavi, che le suffragette hanno pagato cara la loro ribellione. Ma proprio per aver colto quel che di oscuro e ingiusto esisteva ed esservisi ribellati oggi gli schiavi in Occidente non sono più presenti (se non in forme capziose come lo sfruttamento del lavoro di tanti immigrati) e le donne possono votare.

Quali sono i capisaldi del pensiero baumaniano?
L’ambivalenza che si tende a non vedere e che invece pervade l’agire umano; la visione della società come un corpo pulsionale simile a quello che Freud aveva identificato nell’essere umano; il forcipe con cui ha estratto il “bambino malato” dell’Illuminismo che non è solo sviluppo ma non riesce a essere progresso reale, poiché la spinta verso l’ordine del mondo visto come un giardino implica l’eliminazione delle erbacce, ovvero di coloro che non corrispondono ai requisiti desiderati, e il suo libro Modernità e Olocausto è esemplare in proposito.

Qual è, a Suo avviso, la lezione più grande di Zygmunt Bauman?
Averci invitati a leggere la realtà contadina con occhi da marinaio e la vita del mare con occhi terreni; osservare cioè quel che ci è apparentemente familiare con occhi differenti, nuovi, capaci di stupore, e decodificare quel che appare remoto con le categorie a noi familiari che ci permettono di coglierne gli aspetti più profondi. Guardare fuori per vedersi dentro.

Qual è l’eredità di Zygmunt Bauman?
Un esempio di vita; la lente con cui avvederci di ciò che era nascosto in piena luce; la capacità di amare che vuol dire sempre confrontarsi con l’eteros, ciò che è diverso e talvolta spinoso, e accettare di conviverci per dare un senso alla propria vita; il coraggio di impegnarsi per rendere il mondo migliore, finanche nei periodi più ardui in cui la più fruttuosa traiettoria di azione si riduca a lanciare messaggi in una bottiglia.

Editor storico della casa editrice Erickson, Riccardo Mazzeo ha curato e tradotto più di cento libri finché nel 2014 ha dato le dimissioni per scrivere i suoi. Con Bauman ha scritto Conversazioni sull’educazione ed Elogio della letteratura, pubblicati in inglese da Polity e tradotti poi in varie lingue (in Italia il primo da Erickson e il secondo da Einaudi). Ha scritto anche libri con Edgar Morin, Agnes Heller, Miguel Benasayag, Tariq Ramadan. I suoi libri più recenti sono Esistenze rammendate (Mimesis, 2019), Bauman e Maggie. Il pensatore e la cagnolina venuti dall’est (CurcuGenovese, 2019), Immigrate. Tra gabbie esteriori e interiori, il potenziale trasformativo di sé e del mondo (Mimesis, 2021). Tiene conferenze in Italia e all’estero e attualmente si occupa di cinema e letteratura.

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